Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

II. Öffentlich-rechtliche Abteilung, Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten 2C.104/2019
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Bundesgericht

Tribunal fédéral

Tribunale federale

Tribunal federal

               

2C_104/2019

Sentenza del 2 maggio 2019

II Corte di diritto pubblico

Composizione

Giudici federali Seiler, Presidente,

Zünd, Aubry Girardin,

Cancelliere Savoldelli.

Partecipanti al procedimento

A.________,

ricorrente,

contro

Segreteria di Stato della migrazione.

Oggetto

Divieto d'entrata,

ricorso in materia di diritto pubblico contro la sentenza emanata il 6 dicembre
2018 dal Tribunale amministrativo federale, Corte VI (F-2817/2017).

Fatti:

A. 

Il 27 settembre 2013, A.________, cittadina italiana e dominicana, è stata
condannata dalla Corte delle assise criminali di Y.________ a una pena
detentiva di 36 mesi - di cui 18 sospesi condizionalmente per un periodo di
prova di tre anni - per il reato di omicidio intenzionale tentato. II 12 aprile
2013, aveva infatti ferito al collo, con un coltello, il proprio compagno.

A seguito di questa condanna, l'autorità competente ha revocato a A.________ il
permesso di domicilio di cui disponeva. Quest'ultima ha lasciato la Svizzera
nel giugno 2016, dopo aver invano ricorso contro la misura (sentenza del
Tribunale federale 2C_694/2015 del 15 febbraio 2016), trasferendosi a
X.________ (Italia).

B. 

Constatata l'esistenza di una grave ed attuale minaccia della sicurezza e
dell'ordine pubblici e dopo aver revocato un analogo provvedimento di durata
più lunga, il 6 aprile 2017 la Segreteria di Stato della migrazione ha emanato
nei confronti di A.________ un divieto d'entrata in Svizzera e nel
Liechtenstein per sette anni, ossia fino al 5 aprile 2024.

Con giudizio del 6 dicembre 2018, il Tribunale amministrativo federale ha
confermato la liceità di tale decisione.

C. 

Il 25 gennaio 2019, A.________ ha indirizzato al Tribunale federale un ricorso
in materia di diritto pubblico con cui chiede: in via principale, che il
provvedimento preso nei suoi confronti sia annullato; in via subordinata, che
la durata dello stesso sia ridotta ad un massimo di un anno rispettivamente di
cinque anni.

Il Tribunale amministrativo federale ha rinunciato a formulare osservazioni
mentre la Segreteria di Stato della migrazione ha chiesto che il gravame sia
respinto. Con scritto del 13 marzo 2019, la ricorrente ha ribadito la propria
posizione.

Diritto:

1.

Giusta l'art. 83 lett. c cifra 1 LTF, il ricorso ordinario è inammissibile
contro le decisioni in materia di diritto degli stranieri concernenti l'entrata
in Svizzera. Il motivo d'esclusione non si applica però se un gravame è
inoltrato, come qui, da uno straniero che può prevalersi dell'accordo del 21
giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681; DTF
131 II 352 consid. 1. 2 pag. 354 seg.; sentenza 2C_387/2017 del 29 maggio 2018
consid. 1). Presentata nei termini (art. 46 cpv. 1 lett. c in relazione con
l'art. 100 cpv. 1 LTF) e da persona legittimata a ricorrere (art. 89 cpv. 1
LTF), l'impugnativa è di conseguenza ammissibile quale ricorso in materia di
diritto pubblico.

2.

2.1. Di principio, il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto federale
(art. 106 cpv. 1 LTF); nondimeno, tenuto conto dell'onere di allegazione e
motivazione posto dalla legge (art. 42 cpv. 1 e 2 LTF), si confronta di regola
solo con le censure sollevate. Nell'atto di ricorso occorre spiegare in modo
conciso, riferendosi all'oggetto del litigio, in cosa consiste la lesione del
diritto e su quali punti il giudizio contestato viene impugnato (DTF 134 II 244
consid. 2.1 pag. 245 seg.). Esigenze più severe valgono poi in relazione alla
violazione di diritti fondamentali; il Tribunale federale tratta infatti simili
critiche unicamente se sono state motivate in modo chiaro, circostanziato ed
esaustivo (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 133 II 249 consid. 1.4.2 pag. 254). Per
quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento
giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1
LTF). Può scostarsene se è stato eseguito in violazione del diritto ai sensi
dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto. A meno che non ne dia
motivo la decisione impugnata, il Tribunale federale non può neanche tenere
conto di fatti o mezzi di prova nuovi, i quali non possono in ogni caso essere
posteriori al giudizio impugnato (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 343 consid.
2.1 pag. 343 seg.).

2.2. L'impugnativa rispetta i requisiti in materia di motivazione menzionati
nel considerando 2.1 soltanto in parte. Nella misura in cui li disattende,
sfugge pertanto a un esame di questa Corte. Siccome non vengono validamente
messi in discussione - con motivazione conforme all'art. 106 cpv. 2 LTF, che ne
attesti un accertamento o un apprezzamento insostenibile -, i fatti che
risultano dal querelato giudizio vincolano inoltre il Tribunale federale (art.
105 cpv. 1 LTF; sentenze 2C_550/2015 del 1° ottobre 2015 consid. 4.2.1 e 2C_539
/2014 del 23 ottobre 2014 consid. 6.2.1, nelle quali viene spiegato che, in
assenza di precise critiche, pure aggiunte e precisazioni non possono essere
prese in considerazione). Nel contempo, date rispettivamente dimostrate non
sono nemmeno le condizioni per produrre nuovi documenti giusta l'art. 99 LTF.

3. 

3.1. Giusta l'art. 67 cpv. 2 lett. a della legge federale del 16 dicembre 2005
sugli stranieri (LStrI; RS 142.20) la Segreteria di Stato della migrazione può
vietare l'entrata in Svizzera a chi ha violato o espone a pericolo l'ordine e
la sicurezza pubblici in Svizzera o all'estero.

Di regola, il divieto d'entrata viene oggi decretato per un massimo di cinque
anni; può essere pronunciato per una durata più lunga se l'interessato
costituisce un grave pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblici (art. 67
cpv. 3 LStrI). L'art. 96 cpv. 1 LStrI prescrive d'altra parte che,
nell'esercizio del loro potere discrezionale, le autorità tengano conto degli
interessi pubblici e della situazione personale.

3.2. Per i cittadini dell'Unione europea determinante è inoltre il citato
Accordo sulla libera circolazione delle persone (art. 2. cpv. 2 LStrI). In base
all'ALC, le parti contraenti ammettono nel rispettivo territorio i cittadini
dell'altra parte contraente e i membri della loro famiglia ai sensi dell'art. 3
cpv. 2 allegato I dietro semplice presentazione di una carta di identità o di
un passaporto validi (art. 1 cpv. 1 allegato I in relazione con l'art. 3 ALC);
tale diritto può essere limitato solo da misure giustificate da motivi di
ordine pubblico, pubblica sicurezza e pubblica sanità (art. 5 cpv. 1 allegato I
ALC).

Secondo la giurisprudenza, che si orienta alla direttiva CEE 64/221 del 25
febbraio 1964 ed alla prassi della Corte di giustizia dell'Unione europea ad
essa relativa (art. 5 cpv. 2 allegato I ALC), l'adozione di misure
d'allontanamento presuppone la sussistenza di una minaccia effettiva e
sufficientemente grave dell'ordine pubblico da parte della persona che ne è
toccata. Una condanna può venir presa in considerazione a giustificazione di un
simile provvedimento soltanto se dalle circostanze che l'hanno determinata
emerga un comportamento personale che implica una minaccia attuale per l'ordine
pubblico; escluso è quindi che lo stesso possa essere preso unicamente a titolo
preventivo o dissuasivo. A dipendenza delle circostanze, già la sola condotta
tenuta in passato può comunque adempiere i requisiti di una simile messa in
pericolo dell'ordine pubblico. Per valutare l'attualità della minaccia, non
occorre prevedere quasi con certezza che lo straniero commetterà altre
infrazioni; d'altro lato, per rinunciare a misure di ordine pubblico, non si
deve esigere che il rischio di recidiva sia praticamente nullo. La misura
dell'apprezzamento dipende dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più
questa appare importante, quanto minori sono le esigenze in merito al rischio
di recidiva (DTF 139 II 121 consid. 5.3 pag. 125 seg.; 136 II 5 consid. 4.2
pag. 20; sentenza 2C_903/2010 del 6 giugno 2011 consid. 4.3 non pubblicato in
DTF 137 II 233; sentenza 2C_110/2012 del 26 aprile 2012 consid. 2.2).

4. 

La procedura che ci occupa ha per oggetto la pronuncia di un divieto d'entrata
in Svizzera per una durata di sette anni (6 aprile 2017-5 aprile 2024) nei
confronti di una cittadina italiana.

Preso atto delle motivazioni alla base del provvedimento, il Tribunale
amministrativo federale ha deciso di confermarlo. In successione, ha infatti
ammesso le condizioni per derogare alla libera circolazione garantita dall'ALC,
ha considerato che il mantenimento di una misura di durata superiore a cinque
anni è in principio giustificata, ha infine rilevato che la durata di sette
anni è proporzionale e conforme all'art. 8 CEDU. Contestando in sostanza tutte
le conclusioni indicate, l'insorgente chiede per contro che il provvedimento
sia annullato o ridotto a un massimo di un anno rispettivamente di cinque anni.

5. 

Con la sua impugnativa, la ricorrente lamenta innanzitutto una lesione
dell'art. 5 allegato I ALC.

5.1. Come già ricordato, una condanna penale va considerata motivo per limitare
i diritti conferiti dall'ALC soltanto se dalle circostanze che l'hanno
determinata emerge un comportamento personale che costituisce una minaccia
attuale per l'ordine pubblico (DTF 134 II 10 consid. 4.3 pag. 24; 130 II 176
consid. 3.4.1 pag. 183 seg.; 129 II 215 consid. 7.4 pag. 222 con rinvii alla
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea). La misura
dell'apprezzamento dipende dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più
questa è importante, quanto minori sono le esigenze in merito all'ammissione di
un rischio di recidiva (DTF 139 II 121 consid. 5.3 pag. 126; 137 II 233 consid.
4.3.2 pag. 30).

5.2. Nell'ottica dell'art. 5 allegato I ALC, la stessa fattispecie è già stata
oggetto d'esame del Tribunale federale nella sentenza 2C_694/2015 del 15
febbraio 2016 (precedente consid. A).

In tale contesto, che era quello della revoca del permesso di domicilio, il
rispetto della norma citata era stato confermato. In effetti, dapprima era
stato osservato che se, da un lato, quella del 27 settembre 2013 costituiva
l'unica condanna penale subita dalla ricorrente, d'altro lato, occorreva
sottolineare che detta pronuncia concerneva un reato contro la vita di una
persona, ovvero uno degli atti più gravi contemplati dal nostro ordinamento
giuridico, di modo che la questione della recidiva andava esaminata con grande
rigore. Evocate le circostanze in cui il reato era stato commesso e
sottolineata la colpa grave di chi lo aveva compiuto, questa stessa Corte era
quindi anche giunta alla conclusione che l'esistenza di una minaccia attuale
per l'ordine pubblico andasse ammessa.

5.3. Ora, benché da quel giudizio sia trascorso qualche anno, la valutazione
svolta nella sentenza 2C_694/2015 resta attuale. Reato e condanna - molto
recenti al momento della conferma della revoca del permesso di domicilio
(sentenza 2C_694/2015 del 15 febbraio 2016 consid. 7.1) - non possono dirsi
infatti già lontani nel tempo nemmeno oggi (sentenza 2C_987/2018 del 23 aprile
2019 consid. B e consid. 4.1 e 4.5.2), che si riferisce in particolare a una
condanna del 2014 per fatti del 2012; sentenza 2C_762/2016 del 31 gennaio 2017
consid. 6.2.1).

D'altra parte, proprio da tale condanna, concernente un reato per cui occorre
esaminare l'aspetto della recidiva con particolare rigore, risulta che: la
ricorrente è passata all'atto senza trovarsi in nessuna situazione di pericolo
o angustia; la stessa ha preso in considerazione "di sacrificare una vita umana
per il fatto di essere stata scaricata in modo sbrigativo" dal partner; anche
l'atteggiamento successivo da lei tenuto (comportamento collusivo, con
tentativo di accusare la vittima di averla aggredita; molteplici cambiamenti
nella versione dei fatti), è stato improntato da fini egoistici; pronunciandosi
sull'aspetto della prognosi, la Corte delle assise criminali ha formulato un
parere solo sfumato, limitandosi a rilevare come non possa dirsi "del tutto
negativa".

5.4. Facendo in sostanza riferimento ai medesimi aspetti, e ponendo in
particolare l'accento sulla facilità con la quale l'insorgente - senza trovarsi
in stato di pericolo o minaccia, ma solo a causa dell'instabilità emozionale
del momento e di una reazione incontrollata -, ha attentato alla vita altrui,
anche il giudizio impugnato, concernente il divieto d'entrata, va quindi
condiviso e confermato.

Come detto, gli elementi indicati (importanza del bene minacciato, motivi
all'origine del compimento del reato, modalità in cui lo stesso è stato
compiuto, ecc.), che la ricorrente cerca di relativizzare senza però
dimostrarne un accertamento arbitrario (precedente consid. 2.2), permettono
infatti ancora oggi di considerare le condizioni richieste dall'art. 5 allegato
1 ALC come date.

5.5. Pure gli specifici rilievi contenuti nell'impugnativa in relazione
all'applicazione dell'art. 5 allegato I ALC non portano a un diverso risultato.
Di per sé, una situazione familiare stabile era infatti data anche al momento
in cui la ricorrente ha commesso il tentativo di omicidio per il quale è stata
condannata. Nel contempo, proprio il fatto che la stessa ammetta di avere agito
in un "gesto d'impeto", non fa che confermare quanto constatato nei
considerandi 5.3 e 5.4, ovvero il fatto che davanti a una simile instabilità,
che per poco non è costata una vita umana, ci voglia cautela.

6. 

Dopo avere confermato il rispetto dell'art. 5 allegato I ALC, occorre però
ancora esprimersi sulla durata del divieto.

6.1. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, la gravità qualificata
richiesta per pronunciare un divieto d'entrata superiore a cinque anni può
risultare dalla natura del bene giuridico minacciato (ad es. grave messa in
pericolo della vita, dell'integrità fisica o sessuale o della salute di una
persona), dall'appartenenza di un'infrazione a un ambito della criminalità
particolarmente grave, che riveste una dimensione transfrontaliera (come nel
caso di atti di terrorismo, di tratta di esseri umani, di traffico di droga e
criminalità organizzata), dalla moltiplicazione delle infrazioni commesse nel
corso del tempo, tenendo conto dell'eventuale aumento della loro gravità, o
dell'assenza di un pronostico favorevole (al riguardo, cfr. sempre DTF 139 II
121 consid. 6.3 pag. 130 seg., con riferimento ai materiali legislativi [per la
versione in lingua italiana, FF 2009 7737, 7752]; sentenza 2C_387/2017 del 29
maggio 2018 consid. 6.1 con rinvii).

6.2. Chiamato ad esprimersi su tale aspetto, il Tribunale amministrativo
federale ritiene che gli estremi per pronunciare un divieto d'entrata superiore
a cinque anni siano soddisfatti. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso,
anche questo risultato va condiviso. In effetti, benché la condanna penale
comminata all'insorgente il 27 settembre 2013 sia la sola a suo carico, essa
sanziona il compimento di un reato molto grave, quale quello di omicidio
intenzionale tentato, che implica una messa in pericolo diretta della vita
altrui (DTF 139 II 121 consid. 6.3 in fine con particolare riferimento al bene
giuridico minacciato; sentenza 2C_387/2017 del 29 maggio 2018 consid. 6.5).
D'altra parte, come sempre ben risulta dalla DTF 139 II 121 (consid. 6.2 in
fine), alla pronuncia di un divieto d'entrata di durata superiore a cinque anni
non si oppone nemmeno il fatto che la ricorrente possa richiamarsi all'ALC,
poiché in relazione all'art. 67 cpv. 3 seconda frase LStrI il legislatore ha
voluto trattare allo stesso modo sia i cittadini degli Stati membri che quelli
di Stati terzi, e non è quindi vero che tale misura sia riservata ai secondi
(al riguardo, oltre alla DTF 139 II 121, cfr. la sentenza 2C_387/2017 del 29
maggio 2018 consid. 6; MARC SPESCHA, in: Spescha/Thür/Zünd/Bolzli/Hruschka,
Kommentar Migrationsrecht, 4a ed. 2015, n. 5a ad art.67 LStrI; GAËLLE SAUTHIER,
in: Code annoté de droit des migrations, vol. II: Loi sur les étrangers [LEtr],
Amarelle/ Nguyen [curatori], 2017, n. 25 seg. ad art. 67 LStrI).

6.3. Ammessi gli estremi per pronunciare un divieto d'entrata di durata
superiore a cinque anni, tutelata va infine anche la decisione di confermare lo
stesso per sette anni.

6.3.1. In questo contesto, va innanzitutto rilevato che il Tribunale federale
ha di recente confermato divieti d'entrata anche per una durata di dieci anni
(sentenze 2C_832/2015 del 22 dicembre 2015 e 2C_270/2015 del 6 agosto 2015); in
entrambi i casi citati, oltre che essere gravi, le condanne erano però
molteplici, e non una soltanto. D'altra parte, lo stesso ha pure stabilito un
divieto d'entrata per una durata di cinque anni in un caso in cui la condanna
era singola, come nella fattispecie, ma per reati contro il patrimonio, che non
hanno mai messo realmente in pericolo l'integrità fisica altrui (sentenza
2C_762/2016 del 31 gennaio 2017), ciò che non è qui il caso. Ora, già il
raffronto di questi pregiudizi mostra che la soluzione adottata dal Tribunale
amministrativo federale merita in sostanza tutela. Nell'ottica del principio
della proporzionalità (art. 5 cpv. 2 Cost.; art. 96 LStrI; sentenze 2C_387/2017
del 29 maggio 2018 consid. 6.4 e 2C_270/2015 del 6 agosto 2015 consid. 8.1), va
infatti rilevato che se è vero che il reato di cui si è macchiata l'insorgente
è unico, altrettanto vero è che con il suo compimento la stessa ha messo
direttamente in pericolo la vita altrui e questo comportamento va quindi
giudicato severamente. Proprio per tale motivo, oltre a reggere il paragone con
i casi citati nel considerando 6.3.1, la decisione presa dal Tribunale
amministrativo federale resiste in parallelo anche a un raffronto con il caso
oggetto della sentenza 2C_387/2017 del 29 maggio 2018, in cui il Tribunale
federale ha ridotto a sette anni (ovvero, alla stessa durata del provvedimento
qui in discussione) un divieto d'entrata inizialmente pronunciato per dieci. In
quel contesto, i reati compiuti erano infatti di nuovo molteplici e non uno
soltanto; il loro compimento era però stato influenzato dalla tossicodipendenza
e, nel contempo non aveva comportato la messa in pericolo diretta della vita o
dell'integrità fisica altrui, di modo che l'aspetto che caratterizza di più la
fattispecie non era dato.

6.3.2. Altri elementi specifici, segnatamente di natura personale, che possano
portare a un differente apprezzamento e a una riduzione della durata del
divieto d'entrata, non sono d'altra parte ravvisabili. In base ai fatti
accertati nel giudizio impugnato, che vincolano anche il Tribunale federale
(art. 105 cpv. 1 LTF; precedente consid. 2.2) e che quindi non permettono di
prendere in considerazione precisazioni o sviluppi ulteriori, la vita di coppia
non è in effetti caratterizzata da particolari impedimenti, siccome la distanza
tra X.________ (Italia) e Y.________ (TI) è esigua. Nel medesimo contesto,
occorre poi sottolineare che al momento del matrimonio il coniuge - che per
altro è avvocato - conosceva la situazione della moglie e quindi doveva pure
prendere in considerazione che, alla luce del compimento di un reato così
grave, non solo venisse revocato il permesso di domicilio ma anche pronunciato
un divieto d'entrata.

6.4. A differente conclusione non conduce infine il richiamo all'art. 8 CEDU e,
in questo contesto, alla tutela della vita familiare. Quando è possibile
esigere - come nella fattispecie, in cui le distanze tra il domicilio della
ricorrente e quello del marito sono esigue - che la vita di coppia sia vissuta
all'estero, l'art. 8 CEDU non è in effetti leso (sentenze 2C_644/2014 del 9
febbraio 2015 consid. 5.2.2 e 2C_845/2012 del 13 febbraio 2013 consid. 5.2.2).
Come indicato dall'istanza precedente, va poi osservato che il rapporto tra chi
insorge e i propri figli adulti non è di dipendenza e non rientra quindi tra le
relazioni tutelate dall'art. 8 CEDU (sentenze 2C_986/2014 del 25 febbraio 2015
consid. 7.2; 2C_733/2014 del 18 dicembre 2014 consid. 6.2.2; 2C_147/2014 del 26
settembre 2014 consid. 5.4 e 2C_901/2010 del 23 marzo 2011 consid. 5.2.3;
sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re Emonet contro
Confederazione svizzera del 13 dicembre 2007, n. 39051/03, § 35).

7. 

Per quanto precede, il ricorso va respinto, poiché infondato. Le spese
giudiziarie seguono la soccombenza e vengono quindi poste a carico della
ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si assegnano ripetibili (art. 68 cpv. 3
LTF).

 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1. 

Il ricorso è respinto.

2. 

Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico della ricorrente.

3. 

Comunicazione alla ricorrente, alla Segreteria di Stato della migrazione e al
Tribunale amministrativo federale, Corte VI.

Losanna, 2 maggio 2019

In nome della II Corte di diritto pubblico

del Tribunale federale svizzero

Il Presidente: Seiler

Il Cancelliere: Savoldelli