Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

II. Öffentlich-rechtliche Abteilung, Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten 2C.204/2017
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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
                [displayimage]  
 
 
2C_204/2017  
 
 
Sentenza del 12 giugno 2018  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Zünd, De Rossa Gisimundo, Giudice supplente, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.A.________, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione,
6500 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Permesso di dimora UE/AELS, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 9 gennaio 2017 
dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2015.518). 
 
 
Fatti:  
 
A.   
Il 28 maggio 2014 A.A.________, cittadina italiana nata in Svizzera nel 1985,
dove è in parte cresciuta prima di trasferirsi in Italia, ha ottenuto un
permesso di dimora UE/AELS valido fino al 27 maggio 2019, per esercitare
un'attività lucrativa dipendente. Il 1° giugno 2014 ha quindi iniziato a
lavorare in qualità di addetta alla reception presso B.________ a X.________,
un esercizio pubblico appartenente alla C.________ SA, che tuttavia è fallita
poco dopo, facendole perdere il lavoro senza averle mai versato lo stipendio.
Il 13 febbraio 2015, la cassa cantonale di assicurazione contro la
disoccupazione le ha poi versato un'indennità per insolvenza per lo stipendio
che la C.________ SA le doveva per il periodo dal 1° giugno al 10 agosto 2014. 
 
B.   
Essendo priva di entrate finanziarie e non avendo, nel corso del suo impiego
presso la suddetta struttura, maturato un diritto all'indennità di
disoccupazione, a partire da settembre 2014, A.A.________ ha dovuto far capo
all'assistenza pubblica. Nel contempo, il 1° settembre 2014, l'Ufficio
controllo abitanti di X.________ l'ha registrata come partente alla volta di
Y.________, dove viveva a quel momento sua madre. Il 19 novembre 2014 il
Servizio regionale degli stranieri di X.________ ha tuttavia notificato la sua
partenza con destinazione sconosciuta a decorrere dal 17 agosto precedente,
l'interessata non essendo di fatto andata a vivere a Y.________. Il 16 dicembre
2014 l'Ufficio del sostegno sociale e dell'inserimento (di seguito USSI) le ha
comunicato di non poter entrare nel merito della sua richiesta di rinnovo delle
prestazioni assistenziali per il mese di dicembre 2014, in quanto il Servizio
regionale degli stranieri di X.________ aveva notificato la sua partenza, di
modo che il suo permesso di dimora UE/AELS aveva perso di validità; l'ha
comunque invitata ad informarlo qualora la situazione fosse mutata. 
 
C.   
Con decisione 27 febbraio 2015 la Sezione della popolazione del Dipartimento
delle istituzioni, dopo aver dato a A.A.________ la possibilità di esprimersi
sulla sua intenzione di rivalutare la continuazione del suo soggiorno nel
nostro Paese, le ha revocato il permesso di dimora UE/AELS nonché fissato un
termine al 10 aprile successivo per lasciare il territorio svizzero. La
decisione è stata resa sulla base dell'art. 6 dell'Accordo concluso il 21
giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea
ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (di
seguito Accordo sulla libera circolazione o ALC; RS 0.142.112.681), degli art.
2, 6 e 24Allegato I ALC, come pure degli art. 16 e 23 dell 'or dinanza
sull'introduzione della libera circolazione delle persone del 22 maggio 2002
(OLCP; RS 142.203). Nei mesi di maggio e giugno 2015, l'interessata ha
nuovamente percepito delle prestazioni assistenziali. 
Il provvedimento della Sezione della popolazione è poi stato confermato su
ricorso, dapprima dal Consiglio di Stato, con decisione del 7 ottobre 2015,
quindi dal Tribunale cantonale amministrativo, che si è espresso in merito con
sentenza del 9 gennaio 2017. 
 
D.   
Quest'ultimo giudizio è stato impugnato davanti al Tribunale federale con
ricorso in materia di diritto pubblico datato 13 febbraio 2017. Con tale atto
A.A.________ chiede che, previo conferimento al ricorso dell'effetto
sospensivo, la sentenza del Tribunale cantonale amministrativo sia annullata e
integralmente riformata nel senso che il permesso di dimora di cui è a
beneficio non venga revocato. Ella chiede altresì il risarcimento di un non
quantificato danno morale e patrimoniale cagionatole dall'agire a suo dire
arbitrario e grossolano dell'USSIe dal Servizio regionale degli stranieri.
Domanda infine di essere posta al beneficio dell'assistenza giudiziaria. 
Con decreto presidenziale del 22 febbraio 2017 al gravame è stato concesso
l'effetto sospensivo. 
Chiamati ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato
nelle motivazioni e nelle conclusioni della propria sentenza, alla quale rinvia
anche la Segreteria di Stato della migrazione SEM nelle sue osservazioni del 15
maggio 2017 con cui propone che il gravame, in quanto ammissibile, sia respin
to. D al canto suo la Sezione della popolazione postula la reiezione del
ricorso, mentre il Consiglio di Stato si è rimesso al giudizio di questa Corte.
Con replica del 7 giugno 2017 la ricorrente ha infine comunicato di mantenere
le proprie posizioni. 
 
E.   
Una richiesta di audizione personale formulata dalla ricorrente in data 17
agosto 2017 è stata respinta il 30 agosto 2017. 
 
 
Diritto:  
 
1.   
Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la sua
competenza (art. 29 cpv. 1 LTF), rispettivamente l'ammissibilità dei gravami
che gli vengono sottoposti (DTF 143 IV 85 consid. 1.1 pag. 87 e rinvii). 
 
1.1. Giusta l'art. 83 lett. c n. 2 LTF, il ricorso in materia di diritto
pubblico è inammissibile contro le decisioni in materia di diritto degli
stranieri concernenti permessi o autorizzazioni al cui ottenimento né il
diritto federale, né il diritto internazionale conferiscono un diritto (DTF 139
I 330 consid. 1.1 pag. 332). Tuttavia, quando, come nella fattispecie, il
ricorso è interposto da un cittadino che può in via di principio appellarsi
all'Accordo sulla libera circolazione per far valere un diritto a soggiornare
in Svizzera, il Tribunale federale entra in materia nonostante la clausola
menzionata, trattando la questione dell'effettivo diritto quale aspetto di
merito (DTF 136 II 177 consid. 1.1 pag. 179; sentenza 2C_222/2017 del 29
novembre 2017 consid. 1 non pubblicato in DTF 144 II 1).  
 
1.2. Presentata in tempo utile (art. 46 cpv. 1 lett. a e 100 cpv. 1 LTF) dalla
destinataria della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), l'impugnativa è
quindi nella fattispecie ammissibile quale ricorso in materia di diritto
pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF.  
 
2.   
 
2.1. Con ricorso in materia di diritto pubblico può venir censurata sia la
violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF) che di quello
internazionale (art. 95 lett. b LTF). In via generale, confrontato con una
motivazione conforme all'art. 42 LTF, il Tribunale federale applica il diritto
d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF); esso non è vincolato né agli argomenti fatti
valere nel ricorso né ai considerandi sviluppati dall'istanza precedente e può
accogliere o respingere un ricorso anche per motivi diversi da quelli da essa
invocati o su cui essa si è fondata (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1 pag. 254).
Esigenze più severe valgono tuttavia in relazione alla denuncia della
violazione di diritti fondamentali. Il Tribunale federale esamina infatti
simili censure solo se l'insorgente le ha sollevate in modo preciso (art. 106
cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246).         
Per quanto attiene invece alla violazione del diritto cantonale, essa non può
essere censurata, salvo che per i casi citati dall'art. 95 LTF. È però sempre
possibile fare valere che l'errata applicazione del diritto cantonale da parte
dell'autorità precedente comporti una violazione del diritto federale,
segnatamente del divieto d'arbitrio (art. 9 Cost.; DTF 138 I 232 consid. 2.4
pag. 236 seg. e riferimenti), ma in tal caso occorre allora che la motivazione
del ricorso rispetti le esigenze di motivazione particolarmente rigorose
applicabili alla denuncia di violazioni dei diritti fondamentali. 
 
2.2. Va precisato inoltre che gli atti scritti devono essere redatti in una
lingua ufficiale, contenere la conclusione, i motivi e l'indicazione dei mezzi
di prova ed essere firmati; nei motivi occorre spiegare in modo conciso perché
l'atto impugnato viola il diritto (art. 42 cpv. 1 e 2 LTF). Gli atti
illeggibili, sconvenienti, incomprensibili, prolissi o non redatti in una
lingua ufficiale possono essere rinviati al loro autore affinché li modifichi (
art. 42 cpv. 6 LTF), impartendo a quest'ultimo un termine per porvi rimedio,
con l'avvertenza che qualora ciò non accadesse, l'atto non sarà preso in
considerazione (vedasi DTF 138 I 367 consid. 1.1 pag. 370). Si tratta di una
facoltà di cui dispone il Tribunale federale, che può decidere secondo il
proprio apprezzamento (anche in funzione del fatto che la motivazione emani o
meno da un avvocato; cfr. DTF 134 II 244 consid. 2.4 pag. 247 seg.), ritenuto
che il ricorrente non ha un diritto all'ottenimento di un termine supplementare
(sentenze 2C_715/2011 del 2 maggio 2012 consid. 1.4 e 4A_659/2011 del 7
dicembre 2011 consid. 5) e che una motivazione che non adempie ai suddetti
requisiti può essere dichiarata immediatamente irricevibile (sentenza 1C_681/
2013 del 27 agosto 2013 consid. 2) rispettivamente può sfuggire ad un esame di
merito.  
In concreto, la memoria della ricorrente consta di ben 50 fitte pagine,
composte da lunghi paragrafi organizzati in una progressione di cui solo
raramente è possibile individuare una logica, ad esempio in funzione della
struttura della sentenza impugnata o di un altro criterio oggettivo. In quel
documento, le censure con le quali la ricorrente si confronta specificatamente
con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata si perdono tra intere
paginate di considerazioni di carattere generale, intercalate da aforismi e
massime giuridiche preconfezionate, stralci di dottrina e di giurisprudenza non
pertinenti, sia di questo Tribunale sia della Corte di giustizia dell'Unione
europea o della Corte europea dei diritti dell'uomo, nelle quali si stenta in
gran parte a trovare una compiuta motivazione giuridica che soddisfi i
requisiti di motivazione imposti dagli art. 42 cpv. 2 e (ove necessario) 106
cpv. 2 LTF. Va inoltre rammentato che non basta invocare una interminabile
serie di norme nazionali e convenzionali senza spiegare nella dovuta forma in
che modo esse sarebbero in concreto state violate dall'autorità cantonale.
L'esame del gravame si limiterà di conseguenza agli aspetti contestati che a
malapena soddisfano le esigenze di motivazione; le altre argomentazioni
sfuggono per contro ad un esame di merito. 
 
2.3. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il proprio
ragionamento giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art.
105 cpv. 1 LTF). Esso può scostarsene se è stato eseguito violando il diritto
ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto e quindi arbitrario
(art. 105 cpv. 2 LTF; DTF 136 III 552 consid. 4.2 pag. 560). A meno che non ne
dia motivo la decisione impugnata, il Tribunale federale non tiene neppure
conto di fatti o mezzi di prova nuovi, i quali non possono in ogni caso essere
posteriori al giudizio impugnato (art. 99 cpv. 1 LTF; sentenza 2C_563/2017 del
7 novembre 2017 e riferimento).  
Nella fattispecie, gli scritti 24 maggio 2017, 19 settembre 2017 e 12 marzo
2018, nonché i documenti ad essi allegati e di cui la ricorrente chiede
l'integrazione nella presente causa, sono successivi al giudizio impugnato e
costituiscono quindi dei  nova in senso proprio; essi non possono quindi essere
acquisiti agli atti (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 342 consid. 2.1 pag. 343
seg.). Lo stesso dicasi dei documenti trasmessi a questa Corte dalla Sezione
della popolazione il 7 giugno 2017 e il 22 febbraio 2018.  
 
3.   
Prima di entrare nel merito della questione giuridica principale sollevata
dalla causa in esame, è opportuno evadere le censure invocate in relazione a
garanzie di natura formale, dato che la loro violazione comporta in principio
l'annullamento della decisione impugnata, indipendentemente dall'eventuale
fondatezza delle critiche sollevate e dalle prospettive di successo del ricorso
nel merito (DTF 141 V 495 consid. 2.2 pag. 500; 139 I 189 consid. 3 pag. 191;
137 I 195 consid. 2.2 pag. 197; 135 I 187 consid. 2.2 pag. 190). 
 
3.1. La ricorrente contesta innanzitutto il fatto che, nel suo giudizio,
l'istanza inferiore abbia dichiarato inammissibile il ricorso per quanto
attiene alla richiesta di risarcimento danni morali e patrimoniali nei
confronti del Servizio regionale degli stranieri di X.________, già solo
perché, in virtù della legge ticinese sulla responsabilità civile degli enti
pubblici e degli agenti pubblici del 24 ottobre 1988 (LResp; RL/TI 2.6.1.1), il
Tribunale cantonale amministrativo non è competente per decidere su tale genere
di domande. La ricorrente sostiene essenzialmente che la richiesta formulata al
Tribunale cantonale amministrativo avrebbe dovuto venire interpretata da
quest'ultimo in modo da permettere un esercizio di uno "  ius variandi, melius
re perpensa". Posto che il ricorso non spiega (o comunque non in maniera da
dimostrarne il carattere arbitrario e manifestamente insostenibile o gravemente
lesivo di una norma o un principio giuridico chiaro, cfr. consid. 2.1) quale
avrebbe dovuto essere precisamente la portata di tale brocardo nel contesto
concreto, e anche volendo interpretare questa censura come un rimprovero mosso
ai giudici cantonali per non aver trasmesso gli atti d'ufficio all'autorità
competente, va sottolineato quanto segue. L'art. 6 della legge ticinese sulla
procedura amministrativa del 24 settembre 2013 (LPAmm; RL/TI 3.3.1.1) sancisce
che l'autorità incompetente trasmette d'ufficio gli atti a quella competente,
sia essa cantonale o federale, e ne dà comunicazione all'istante o ricorrente.
Tale obbligo (cfr. al riguardo MARCO BORGHI/GUIDO CORTI, Compendio di procedura
amministrativa ticinese, 1997, all'art. 4) è ormai l'espressione di un
principio processuale generale che vuole che una procedura amministrativa
introdotta dinnanzi ad una istanza incompetente non debba essere evasa con una
decisione di non entrata nel merito, ma va trasmessa senza indugio
dall'autorità incompetente a quella competente per evitare che l'interessato
venga inutilmente privato dell'esame della sua pretesa giuridica da parte
dell'autorità competente (DTF 140 III 636 consid. 3.6 pag. 642; 127 III 567
consid. 3b pag. 568; 108 Ib 540 consid. 2a/aa pag. 543 seg.; sentenza 1P.143/
2004 e 1P.561/2003 del 17 agosto 2004 consid. 3.3.3). Esso non vale tuttavia
qualora emerga che la competenza sarebbe di un tribunale civile o penale, nel
qual caso non occorre procedere alla trasmissione, ma va emanata una decisione
di non entrata in materia (KÖLZ/HÄNER/BERTSCHI, Verwaltungsverfahren und
Verwaltungsrechtspflege des Bundes, 3a ed. 2013, n. 398; RHINOW/KOLLER/KISS/
THURNHERR/BRÜHL-MOSER, Öffentliches Prozessrecht, 3a ed. 2014, n. 1188; MICHEL
DAUM, in: Kommentar zum Bundesgesetz über das Verwaltungsverfahren, 2008, n. 3
all'art. 8). Ritenuto che, nell'ordinamento cantonale, per le azioni di
responsabilità contro l'ente pubblico è competente il giudice civile ordinario,
che applica il Codice di procedura civile (Art. 22 LResp), occorre concludere
che il Tribunale cantonale amministrativo, pronunciandosi con un giudizio di
inammissibilità del gravame in relazione alla richiesta di risarcimento, abbia
agito correttamente. Su questo punto, il ricorso va quindi respinto.  
 
3.2. La ricorrente censura poi le conclusioni a cui sono pervenuti i giudici
cantonali in relazione ad un asserito conflitto di interessi in cui si sarebbe
trovato l'on. Norman Gobbi al momento di validare una decisione in materia di
rilascio di permessi di soggiorno a cittadini stranieri, nella sua veste di
Presidente del Consiglio di Stato e responsabile del Dipartimento delle
istituzioni e nel contempo membro di un partito che promuove una politica
restrittiva in materia di immigrazione. Mette in sostanza in discussione il
fatto che la decisione avrebbe perseguito un interesse pubblico. Sostiene che
questa sarebbe stata motivata da un interesse personale, ideologico o politico,
e che tale circostanza sarebbe provata dall'iniquo e immotivato rifiuto della
sua candidatura per lo svolgimento di un periodo di alunnato giudiziario presso
il Consiglio di Stato. Le argomentazioni della ricorrente sono prolisse e per
lo più di carattere appellatorio. Ella non spiega in modo chiaro e
circostanziato (DTF 134 I 83 consid. 3.2 pag. 88; 134 II 244 consid. 2.2 pag.
246) in che modo l'argomentazione della Corte cantonale, suffragata da
autorevole dottrina e dalla giurisprudenza, risulterebbe - non solo nella sua
motivazione bensì anche nell'esito - manifestamente insostenibile, in aperto
contrasto con la situazione reale, gravemente lesiva di una norma o di un
principio giuridico chiaro e indiscusso oppure in contraddizione urtante con il
sentimento della giustizia e dell'equità (DTF 134 II 124 consid. 4.1 p. 133;
133 II 257 consid. 5.1 pag. 260 seg.; 133 III 393 consid. 6 pag. 397). In
mancanza di una motivazione che soddisfi le esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF,
su questo punto il ricorso sfugge pertanto ad un esame di merito. A titolo del
tutto abbondanziale, va pur detto però che la censura sarebbe in ogni caso
votata all'insuccesso, ritenuto che la conclusione cui sono pervenuti i giudici
cantonali appare solida e in sintonia con la consolidata giurisprudenza in
materia (DTF 125 I 119 consid. 3d pag. 123; 107 Ia 135 consid. 2b pag. 137;
sentenza 1C_278/2010 del 31 gennaio 2011 consid. 2.2; per la giurisprudenza
cantonale ticinese in materia di ricusa di un Consigliere di Stato, si veda
sentenza del Tribunale amministrativo del Cantone Ticino del 25 maggio 2007,
in: RtiD II-2008 n. 15. Infine, per la dottrina, BENJAMIN SCHINDLER, Die
Befangenheit der Verwaltung, 2002, pag. 98 segg. e 171 segg.). Anche in
proposito la sentenza impugnata merita conferma.  
 
4.   
In merito alla questione centrale del ricorso, attinente alla revoca del
permesso di soggiorno, il Tribunale cantonale amministrativo ha poi stabilito
in sintesi che la ricorrente non poteva appellarsi ai diritti scaturenti
dall'ALC, siccome non poteva essere considerata né lavoratrice ai sensi degli 
art. 4 ALC e 6 Allegato I ALC, né persona senza attività lucrativa giusta gli 
art. 6 ALC e 24 Allegato I ALC rispettivamente l'art. 4 cpv. 1 Allegato I ALC.
Esaminando il caso dal profilo del diritto interno, i giudici cantonali hanno
in seguito riconosciuto che l'insorgente adempiva alle condizioni di revoca del
permesso di cui all'art. 62 lett. e LStr, dato che aveva già fatto capo
all'aiuto sociale e postulava ancora, anche in sede di procedura cantonale,
l'erogazione di prestazioni assistenziali per potersi mantenere. Tenuto conto
del fatto che ella si trovava in Svizzera solo dal 28 maggio 2014, che dal 27
febbraio 2015 la sua presenza in Svizzera era solo tollerata in attesa di un
giudizio definitivo in merito al permesso di soggiorno, che in questo lasso di
tempo aveva lavorato solo per un brevissimo periodo e che non risultava
integrata, la Corte cantonale ha infine indicato che il provvedimento litigioso
rispettava anche il principio della proporzionalità, ritenuto altresì che, pur
essendo nata in Svizzera, l'interessata aveva poi passato una parte importante
della sua vita in Italia, dove aveva pure conseguito il suo titolo di studio. 
 
5.   
Occorre quindi ora chiarire se la ricorrente, cittadina italiana, abbia
acquisito lo statuto di lavoratrice ai sensi dell'ALC e, in caso affermativo,
se l'abbia successivamente perso, dal momento che non esercitava (più)
un'attività lucrativa; in questo caso, per poter soggiornare in Svizzera,
dovrebbe quindi adempiere le esigenze finanziarie più restrittive poste
dall'art. 24 cpv. 1 lett. a Allegato I ALC. 
 
5.1. Al riguardo, va innanzitutto rilevato che, nella sua memoria di ricorso,
la ricorrente denuncia ripetutamente (ancorché mai in maniera diretta e
puntuale, cfr. supra consid. 2.2) un accertamento manifestamente inesatto dei
fatti (art. 97 cpv. 1 LTF) da parte del Tribunale cantonale amministrativo in
riferimento alla data in cui ella avrebbe cessato la propria attività
lavorativa presso B.________. Il provvedimento impugnato presenta in effetti
un'apparente incoerenza nell'esposizione dei fatti, affermando dapprima che " 
alla fine di giugno 2014 l'interessata è rimasta senza lavoro"e constatando poi
però che ella ha percepito "  un'indennità per insolvenza per lo stipendio che
la C.________ SA le doveva per il periodo dal 1° giugno al 10 agosto 2014".
Alla luce delle considerazioni che seguono, stabilire se l'attività lavorativa
della ricorrente sia effettivamente terminata a fine giugno 2014 o al 10 agosto
del medesimo anno è tuttavia irrilevante, per cui non si giustifica procedere
ad un'ulteriore verifica rispettivamente ad un'eventuale rettifica d'ufficio ai
sensi dell'art. 105 cpv. 2 LTF.  
 
5.2. Il lavoratore dipendente cittadino di una parte contraente che occupa un
impiego di durata uguale o superiore a un anno al servizio di un datore di
lavoro dello Stato ospitante riceve una carta di soggiorno della durata di
almeno 5 anni a decorrere dalla data del rilascio, automaticamente rinnovabile
per almeno 5 anni (art. 6 cpv. 1 Allegato I ALC). La carta di soggiorno in
corso di validità non può essere ritirata al lavoratore per il solo fatto che
non è più occupato, quando lo stato di disoccupazione dipenda da un'incapacità
temporanea di lavoro dovuta a malattia o a infortunio, oppure quando si tratti
di disoccupazione involontaria debitamente constatata dall'ufficio del lavoro
competente (art. 6 cpv. 6 Allegato I ALC). La validità della carta di soggiorno
può essere tuttavia limitata, per un periodo non inferiore ad un anno, in
occasione del primo rinnovo, qualora il possessore si trovi in una situazione
di disoccupazione involontaria da oltre 12 mesi consecutivi (art. 6 cpv. 1
Allegato I ALC).  
Occorre poi rammentare che, conformemente all'ALC e per prassi costante, il
lavoratore dipendente al beneficio di un permesso di dimora EU/AELS in corso di
validità per svolgere un'attività lucrativa in Svizzera non può essere privato
dell'autorizzazione in questione per la ragione che percepisce prestazioni
assistenziali. Fintanto che è considerato un lavoratore ai sensi dell'ALC, egli
fruisce infatti degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori
nazionali (cfr. art. 9 cpv. 1 Allegato I ALC; sentenze 2C_813/2016 del 27 marzo
2017 consid. 3.2; 2C_98/2015 del 3 giugno 2016 consid. 5.6 e 2C_835/2015 del 31
marzo 2016 consid. 3.3). 
In altri termini, per un lavoratore in possesso di un permesso di soggiorno di
cinque anni, la questione del suo diritto di soggiorno futuro si può porre solo
al momento della scadenza del suddetto permesso, a meno che il suo statuto di
lavoratore non sia nel frattempo decaduto (MARC SPESCHA, in: Kommentar
Migrationsrecht, 4a ed. 2015, n. 1 all'art. 6 Allegato I ALC, pag. 1094), per
le ragioni che saranno esposte in seguito (cfr.  infra consid. 5.4).  
 
5.3.   
 
5.3.1. L'accezione di "lavoratore" costituisce una nozione autonoma del diritto
europeo, che non dipende quindi da considerazioni nazionali (DTF 131 II 339
consid. 3.1 pag. 344; vedasi anche DTF 140 II 112 consid. 3.2 pag. 117 seg.;
sentenza della CGUE del 24 gennaio 1985 66/85  Deborah Lawrie-Blum c. Land
Baden-Württemberg, Racc. 1986 pag. 02121, punto 16; SILVIA GASTALDI, L'accès à
l'aide sociale dans le cadre de l'ALCP, in: Personenfreizügigkeit und Zugang zu
staatlichen Leistungen, 2015, pag. 141; ZÜND/HUGI YAR, Staatliche Leistungen
und Aufenthaltsbeendigung unter dem FZA, in: Personenfreizügigkeit und Zugang
zu staatlichen Leistungen, 2015, pag. 157 segg. e pag. 187; EPINEY/BLASER, in:
Code annoté des droits des migrations, vol. III, Accord sur la libre
circulation des personnes [ALCP], 2014, n. 23 all'art. 4; EPINEY/BLASER,
L'accord sur la libre circulation des personnes et l'accès aux prestations
étatiques: un aperçu, in: Libre circulation des personnes et accès aux
prestations étatiques, 2015, pag. 40). Secondo l'art. 16 cpv. 2 ALC, nella
misura in cui l'applicazione dell'ALC implica nozioni di diritto comunitario,
si terrà conto della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia delle
Comunità europee ([CGCE], diventata la Corte di giustizia dell'Unione europea
[CGUE], di seguito: Corte di giustizia) precedente alla data della sua firma.
La giurisprudenza successiva alla firma dell'Accordo è tuttavia presa in
considerazione dal Tribunale federale al fine di garantire il parallelismo con
la situazione giuridica che esisteva al momento della firma dell'Accordo e per
tenere conto dell'evoluzione della giurisprudenza dell'UE (DTF 140 II 112
consid. 3.2 pag. 117 seg.; 139 II 393 consid. 4.1 pag. 398 seg.; 136 II 65
consid. 3.1 pag. 70 seg., tutte con numerosi riferimenti).  
 
5.3.2. Come già spiegato dal Tribunale federale, la nozione di lavoratore che
delimita il campo di applicazione del principio della libera circolazione dei
lavoratori dev'essere, conformemente alla prassi della Corte di giustizia,
interpretata in modo estensivo, mentre le eccezioni e le deroghe a questa
libertà fondamentale vanno sottoposte ad un'interpretazione restrittiva. È
quindi considerato "lavoratore" colui che svolge, per una certa durata, a
favore di un'altra persona e sotto la sua direzione, delle prestazioni per le
quali percepisce una controprestazione (esistenza di una prestazione di lavoro,
di un legame di subordinazione e di una remunerazione). Ciò presuppone che
l'attività lavorativa sia reale ed effettiva, mentre esclude attività così
ridotte da apparire meramente marginali e accessorie (cfr. sentenza della CGUE
del 23 marzo 1982 53/81  D. M. Levin c. Secrétaire d'État à la Justice, Racc.
1982, punto 17; DTF 141 II 1 consid. 2.2.4 pag. 6 e consid. 3.3.2 pag. 9;
sentenza 2C_412/2014 del 27 maggio 2014 consid. 3.3).  
 
5.3.3. Va poi precisato che né la natura giuridica del rapporto di lavoro dal
profilo del diritto interno (ad esempio un contratto di lavoro  sui generis),
né la produttività più o meno elevata del lavoratore, il suo grado di
occupazione (ad esempio un lavoro su chiamata), la provenienza dei mezzi
(privati o pubblici) per remunerarlo o, infine, l'ammontare di detta
remunerazione (ad esempio uno stipendio inferiore al minimo garantito)
rappresentano, di per sé, elementi decisivi per valutare lo statuto di
lavoratore ai sensi del diritto comunitario. Peraltro, tale statuto non può
nemmeno automaticamente essere negato a chi, pur esercitando un'attività
lavorativa salariata reale ed effettiva, cerca di integrare la retribuzione per
tale attività, inferiore al minimo legale, con altri mezzi di sussistenza
leciti. Da questo profilo è altresì irrilevante stabilire da quale fonte,
pubblica o privata, propria o di terzi, provengono i mezzi di sussistenza, a
condizione che siano dimostrate la concretezza e l'effettività dell'attività
lavorativa (DTF 131 II 339 consid. 3.2 e 3.3 pag. 345 segg. e le numerose
sentenze della CGUE citate; sentenza 2C_390/2013 del 10 aprile 2014 consid.
3.1; CHANTAL DELLI, Verbotene Beschränkungen für Arbeitnehmende?, 2009, pag.
38; MARCEL DIETRICH, Die Freizügigkeit der Arbeitnehmer in der Europäischen
Union, 1995, pag. 278 seg. e pag. 286 seg.). Da quanto precede discende che lo
statuto di lavoratore ai sensi dell'ALC si applica anche ai cosiddetti "working
poor", ossia ai lavoratori che, anche se svolgono un'attività lavorativa reale
ed effettiva, percepiscono un reddito che non è sufficiente per provvedere al
loro sostentamento rispettivamente a quello della loro famiglia nello Stato di
residenza (cfr. sentenza della CGUE del 3 giugno 1986 139/85  R. H. Kempf c.
Secrétaire d'Etat à la Justice, Racc. 1986 pag. 01741, punto 14; GASTALDI, op.
cit., pag. 133; ZÜND/HUGI YAR, op. cit., pag. 162, 187 e 190).  
 
5.3.4. Ciò non toglie che, al fine di determinare se l'attività lavorativa
svolta sia reale ed effettiva, si può tenere conto dell'eventuale carattere
irregolare delle prestazioni fornite, della loro durata limitata e dell'esigua
retribuzione che esse procurano. La libera circolazione dei lavoratori
presuppone, in linea di principio, che colui che se ne prevale fruisca dei
mezzi per provvedere al proprio sostentamento, soprattutto nella fase iniziale
della sua sistemazione nello Stato ospitante o quando è alla ricerca di un
impiego. Conseguentemente, il fatto che un lavoratore effettui solo un numero
molto ridotto di ore - nell'ambito, ad esempio, di un rapporto di lavoro basato
su un contratto su chiamata - o percepisca solo redditi esigui può essere
idoneo a dimostrare che l'attività effettuata è solo marginale ed accessoria
(cfr. DTF 131 II 339 consid. 3.4 pag. 347 e le sentenze della CGUE citate; si
veda altresì la sentenza 2C_98/2015 del 3 giugno 2016 consid. 5.5).  
 
5.4. Quando invece il rapporto di lavoro prende fine, l'interessato perde di
principio lo statuto di lavoratore, essendo tuttavia inteso che, da un lato,
questo statuto può produrre degli effetti anche dopo la fine del rapporto
d'impiego e, dall'altro, che una persona che cerca realmente un lavoro
dev'essere considerata come un lavoratore (sentenza 2C_1162/2014 dell'8
dicembre 2015 consid. 3.4 in fine e rinvii). Così, secondo la giurisprudenza
relativa alle norme summenzionate, il cittadino di una parte contraente può
perdere lo statuto di lavoratore ai sensi dell'ALC e, di riflesso, vedersi
negare la proroga, rispettivamente revocare l'autorizzazione di soggiorno UE/
AELS di cui è titolare (art. 23 cpv. 1 OLCP) nei seguenti casi: 1) quando si
trova in una situazione di disoccupazione volontaria, 2) quando dal
comportamento dello stesso occorre dedurre che non esiste (più) nessuna
prospettiva reale che egli venga di nuovo impiegato in un lasso di tempo
ragionevole, o 3) quando risulta avere adottato un comportamento abusivo,
spostandosi ad esempio in un altro Stato contraente per esercitarvi un lavoro
fittizio oppure di una durata estremamente limitata, con l'unico scopo di
beneficiare di prestazioni sociali migliori di quelle che percepirebbe nel
proprio Paese o in un terzo Stato contraente (DTF 141 II 1 consid. 2.2.1 pag. 4
con numerosi rinvii anche alla dottrina; 131 II 339 consid. 3.4 pag. 347;
sentenze 2C_98/2015 del 3 giugno 2016 consid. 5.9; 2C_761/2015 del 21 aprile
2016 consid. 4.3; 2C_669/2015 del 30 marzo 2016 consid. 5.4; 2C_412/2014 del 27
maggio 2014 consid. 3.2 e 2C_390/2013 del 10 aprile 2014 consid. 3.2). La
decadenza dello statuto di lavoratore non può, alla luce di tali criteri,
essere decisa con leggerezza (SPESCHA, op. cit., n. 4 pag. 1096).  
 
6.   
 
6.1. Nel concreto caso, la revoca del permesso è stata confermata poiché, a
mente dei giudici cantonali, alla ricorrente non poteva essere riconosciuto lo
statuto di lavoratrice che le avrebbe permesso di conservare il permesso di
dimora UE/AELS per svolgere un'attività lucrativa dipendente. In particolare,
la decisione impugnata rileva che, al di là dell'indiscusso carattere
involontario della situazione di disoccupazione in cui la ricorrente si è
trovata subito dopo l'inizio della sua attività di addetta alla reception, la
sua attività è stata talmente ridotta da poterla ritenere di mero carattere
marginale e che comunque, anche se non lo fosse stata, la sua inattività
professionale si protraeva da oltre due anni durante i quali ella non ha
dimostrato di avere una prospettiva reale di impiego. Per di più, i giudici
cantonali hanno tenuto conto del fatto che ella non disponeva dei mezzi
finanziari necessari al suo sostentamento ed hanno quindi concluso che, a
quelle condizioni, non poteva beneficiare dello statuto di lavoratrice ai sensi
dell'ALC.  
 
6.2. Dagli atti di causa emerge che la ricorrente, il 28 maggio 2014, ha
ottenuto un permesso di dimora B UE/AELS della durata di cinque anni,
presentando un contratto di lavoro a tempo indeterminato come addetta alla
reception di un albergo, con un'attività al 100 % (42 ore settimanali) ed un
salario lordo mensile pattuito di fr. 3'400.--, attività che ella ha di fatto
iniziato a svolgere, seppur per un periodo che, a causa del fallimento della
sua datrice di lavoro, si è rivelato essere molto breve. Su questo punto, la
decisione impugnata presenta un'ambiguità che, pur non compromettendo l'insieme
della motivazione e l'esito finale della causa, è opportuno rimuovere con una
sostituzione parziale dei motivi (sentenza 2C_590/2015 del 21 aprile 2016
consid. 3.1), al fine di garantire maggiore chiarezza. In effetti, l'attività
lavorativa che ha portato la ricorrente a chiedere un permesso di dimora non
poteva, contrariamente a quanto affermato dai giudici cantonali, essere
considerata "talmente ridotta da poterla ritenere di mero carattere marginale"
ai sensi della giurisprudenza evocata in precedenza: di per sé reale,
effettiva, fondata su un contratto di durata indeterminata a tempo pieno e con
un salario decoroso, o comunque non insufficiente per provvedere al proprio
sostentamento, questa attività professionale si è rivelata essere di breve
durata solo a causa di un fattore esterno, involontario, ma di certo non di
carattere marginale. È quindi innegabile che l'interessata abbia, a quello
stadio, acquisito lo statuto di lavoratrice comunitaria e che quindi in quella
fase iniziale non le potevano essere rifiutati i vantaggi, in particolare
sociali, riconosciuti ai lavoratori nazionali (art. 9 cpv. 2 Allegato I ALC).
Fintantoché la lavoratrice ha mantenuto tale statuto, il fatto di aver
percepito le prestazioni dell'assistenza non poteva pertanto provocarne la
perdita (sentenze 2C_813/2016 del 27 marzo 2017 consid.3.2 e 2C_835/2015 del 31
marzo 2016 consid. 3.3).  
 
6.3.   
 
6.3.1. Dagli atti emerge tuttavia che, dopo aver perso il suo primo impiego, la
ricorrente non ne ha mai più trovato uno nuovo. Occorre quindi stabilire se
ella abbia conservato lo statuto di lavoratrice tra il mese di agosto 2014 e il
momento della decisione impugnata, ovvero il mese di gennaio 2017, periodo
durante il quale ella non ha più lavorato. Al riguardo, il Tribunale cantonale
amministrativo ha rilevato che il periodo di inattività professionale si
protraeva ormai da due anni durante i quali, nonostante i suoi ultimi sforzi di
ricerca (peraltro documentati solo a partire da aprile 2016), l'interessata non
aveva dimostrato di avere prospettive reali di impiego e nemmeno disponeva dei
mezzi finanziari necessari al suo sostentamento (cfr. art. 18 cpv. 2 OLCP). La
ricorrente adduce invece che sarebbe stata pronta a dimostrare i suoi costanti
sforzi di ricerca di un lavoro se il Tribunale le avesse chiesto di farlo.
Attribuisce l'insuccesso delle sue ricerche non tanto all'assenza di una
prospettiva reale di impiego, che invece sarebbe favorita dal titolo di studio
che lei possiede, quanto piuttosto ad un mancato aiuto da parte delle
istituzioni cantonali competenti. Queste, a suo dire, intimandole una notifica
di partenza (che lei qualifica di  "falso ideologico"e abusiva), le avrebbero
impedito di beneficiare di un congruo termine per i soggiorni dedicati alla
ricerca di un impiego nonché negato la possibilità di beneficiare delle misure
di reinserimento professionale.  
 
6.3.2. In tale frangente, è quindi decisivo chiarire se nel caso concreto si
sia verificata una delle circostanze che secondo la costante giurisprudenza del
Tribunale federale possono provocare la perdita dello statuto di lavoratrice
(consid. 5.4). Posto che era possibile di primo acchito escludere che la
ricorrente avesse adottato un comportamento abusivo con l'unico scopo di
beneficiare di prestazioni sociali migliori di quelle che avrebbe percepito nel
proprio Paese, e che, come hanno sottolineato i giudici cantonali, la
situazione di disoccupazione in cui la ricorrente si è trovata poche settimane
dopo l'ottenimento del permesso non era volontaria, occorre chiedersi se il
comportamento dell'interessata potesse effettivamente lasciar desumere che per
lei non esistesse (più) nessuna prospettiva di un nuovo impiego in un lasso di
tempo ragionevole. Ora, agli atti figurano una serie di memorie e osservazioni
indirizzate ai vari Uffici cantonali competenti, nelle quali l'interessata
ribadiva la propria volontà di mettere in atto tutto quanto possibile per
trovare un lavoro e allegava una serie di ingiustizie che riteneva di aver
subito. In realtà non ha però mai provato che, contrariamente a quanto afferma
ripetutamente, la notifica di partenza rilasciata dal Servizio regionale degli
stranieri di X.________ le abbia effettivamente precluso la permanenza sul
territorio elvetico e, pur continuando comunque di fatto a rimanervi, non si è
concretamente adoperata per trovare un impiego, nemmeno temporaneo. Venendo
meno al suo dovere di collaborazione (DTF 138 II 229 consid. 3.2.3 p. 235;
sentenza 2C_784/2013 dell'11 febbraio 2014 consid. 4.1), la ricorrente non ha
infatti fornito prove relative a concrete ricerche di un nuovo lavoro (ad es.
lettere di candidatura, verbali di colloqui di consulenza, ecc.). Per di più,
risulta dagli atti anche che la ricorrente in più di un'occasione non abbia
dato seguito alle richieste di produrre documentazione utile alla valutazione
di un'eventuale erogazione di prestazioni.  
 
6.3.3. Stando così le cose, occorre concludere che la ricorrente ha ampiamente
superato il periodo ragionevole di sei mesi durante il quale, in virtù dell'
art. 2 cpv. 1 Allegato I ALC, i cittadini di uno Stato UE, al termine di un
impiego di durata inferiore a un anno, hanno il diritto di rimanere in Svizzera
per cercarsi un nuovo lavoro corrispondente alle loro qualifiche professionali
e prendere, all'occorrenza, le misure necessarie per essere assunti. Va al
riguardo osservato che nel gennaio 2017, quando il Tribunale cantonale
amministrativo ha esaminato la vertenza, erano ormai già stati superati anche i
termini più lunghi previsti dall'art. 18 cpv. 3 OLCP, che ha concretizzato
questa regola convenzionale e che avrebbe permesso alla ricorrente di ottenere
addirittura una proroga supplementare di sei mesi a patto che ella dimostrasse
i suoi sforzi di ricerca e l'esistenza di una prospettiva reale di impiego (DTF
130 II 388 consid. 3.1 pag. 391 seg. e sentenze 2C_897/2017 del 31 gennaio 2018
consid. 4.5 e 2C_967/2010 del 17 giugno 2011 consid. 4.3). Alla luce di quanto
precede, l'opinione del Tribunale cantonale amministrativo, secondo cui la
ricorrente non poteva (più) valersi dello statuto di "lavoratrice" ai sensi
dell'ALC e, di riflesso, opporsi alla revoca del proprio permesso di dimora UE/
AELS, non viola il diritto determinante e va pertanto confermata.  
 
7.   
Giustamente poi il Tribunale cantonale amministrativo ha constatato che
l'interessata non può invocare il diritto di rimanere sancito dall'art. 4 cpv.
1 Allegato I ALC, poiché non ha maturato il diritto alla pensione e non ha
dimostrato di essere colpita da inabilità permanente al lavoro.
L'argomentazione della ricorrente secondo cui, in relazione anche con il
diritto al ricongiungimento familiare sancito dall'art. 3 Allegato I ALC, il
diritto di rimanere sussisterebbe indipendentemente dal fatto che l'interessato
e i membri della sua famiglia percepiscano o meno un eventuale contributo
sociale, non è pertinente e va integramente respinta, come pure le
considerazioni relative al principio della parità di trattamento, che in questo
contesto sono destituite di ogni fondamento. 
 
8.   
La ricorrente non ridiscute più l'opinione della Corte cantonale in virtù della
quale ella non dispone nemmeno di mezzi finanziari sufficienti suscettibili di
giustificare il rilascio di un'autorizzazione di soggiorno senza attività
lucrativa ai sensi dell'art. 24 Allegato I ALC, per cui non occorre
pronunciarsi su questo aspetto. 
 
9.   
 
9.1. Negato il diritto dell'insorgente a mantenere un'autorizzazione di
soggiorno in applicazione dell'Accordo sulla libera circolazione, il Tribunale
cantonale amministrativo ha poi rilevato che essa non poteva nemmeno
pretendervi in base al diritto interno, essendo in concreto senza dubbio
soddisfatte le condizioni per la revoca del permesso di dimora in virtù degli
art. 62 lett. e 96 LStr. Ha poi osservato che anche il principio dell'unità
familiare sancito dall'art. 8 CEDU era salvaguardato perché con decisione dello
stesso giorno era pure stata confermata l'ammissibilità della revoca del
permesso di dimora UE/AELS della madre.  
 
9.2. La ricorrente non mette più direttamente in discussione l'argomentazione
dei giudici cantonali in relazione all'ammissibilità della revoca sulla base
del diritto interno, né sostiene che un suo reinserimento in Italia, dove
peraltro ha conseguito il suo titolo di studio, le comporterebbe insormontabili
difficoltà di risocializzazione. Con tutta una serie di considerazioni prolisse
sullo statuto dei cittadini figli di immigrati e nati o arrivati in tenera età
in Svizzera (i cosiddetti stranieri di seconda generazione), sembra tuttavia
sostenere che il fatto di essere nata e vissuta per un certo periodo in
Svizzera debba giustificare l'adozione da parte dei giudici di un metro di
valutazione che tenga conto dell'eccezionalità del caso. Invoca inoltre un
diritto al ricongiungimento familiare sgorgante dall'art. 8 CEDU per poter
vivere in Svizzera con la madre, anziana, vedova e invalida, e con il fratello,
sostenendo che la sua espulsione renderebbe impossibile il mantenimento del
legame con la propria madre.  
 
9.3. Il richiamo alla protezione della vita familiare garantita dall'art. 8
CEDU non giova alla ricorrente. In effetti, sua madre non gode di un diritto di
presenza - presupposto necessario affinché ci si possa appellare alla citata
norma (sentenza 2C_955/2017 del 5 marzo 2018 consid. 5.1) - ritenuto che la
revoca della sua autorizzazione di soggiorno è stata confermata con sentenza
odierna (causa 2C_205/2017). D'altra parte, la ricorrente nulla adduce riguardo
alla situazione di suo fratello. Non va poi dimenticato che, trattandosi di
relazioni tra adulti, la garanzia invocata presuppone che tra le persone
interessate vi sia uno stato di qualificata dipendenza (DTF 137 I 154 consid.
3.4.2 pag. 159; 129 II 11 consid. 2 pag. 13 seg.), condizione che in concreto
non è stata dimostrata.  
Lo stesso dicasi con riferimento alla protezione della vita privata sgorgante
dall'art. 8 CEDU. La ricorrente - senza lavoro ed a carico della pubblica
assistenza - palesemente non soddisfa l'esigenza dell'integrazione qualificata
e superiore alla media (sentenza 2C_895/2017 del 14 novembre 2017 consid. 4.3 e
riferimenti), richiesta dalla prassi affinché il rilascio di un'autorizzazione
di soggiorno possa essere preteso sulla base del citato disposto
convenzionale. 
 
 
10.   
Infine, il provvedimento contestato risulta anche proporzionato, sia in
relazione al diritto convenzionale (ALC) che interno (art. 96 LStr). Tale
valutazione va effettuata prendendo in considerazione la situazione personale,
la durata del soggiorno e il grado d'integrazione dell'interessata in Svizzera,
nonché eventuali ripercussioni sulla sua vita privata e familiare (DTF 139 II
121 consid. 6.5.1 pag. 132 e rinvio; sentenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo in re  Trabelsi contro Germania del 13 ottobre 2011, n. 41548/06, §
53 segg.). Come ben rilevato dal Tribunale cantonale amministrativo, a
prescindere dal fatto che la ricorrente è nata in Svizzera e qui vi ha vissuto
per la prima parte della sua vita, lasciando poi volontariamente il nostro
Paese, il suo più recente soggiorno in Svizzera è stato globalmente di breve
durata e la sua integrazione non è riuscita, dato che da anni non lavora ed è a
carico della pubblica assistenza da molto tempo. Un suo trasferimento nella
zona di confine, dove ha già vissuto e studiato anche in passato e dove lingua,
cultura e stile di vita sono pressoché identici ai nostri, risulta pertanto
esigibile, non essendo nemmeno escluso che lei possa ottenere un permesso G UE/
AELS per svolgere un'attività lucrativa in Svizzera, qualora nel frattempo
avesse trovato un lavoro. Anche in proposito, il ricorso è quindi infondato.  
 
11.   
Per quanto precede, il ricorso si rivela infondato e come tale va respinto. 
 
12.   
L'istanza di assistenza giudiziaria dev'essere parimenti respinta in quanto il
ricorso appariva sin dall'inizio privo di probabilità di successo (art. 64 cpv.
1 LTF). La ricorrente non era peraltro rappresentata da un avvocato. Nel
fissare le spese giudiziarie che le vengono addossate, siccome soccombente (
art. 66 cpv. 1 LTF), viene comunque considerata la sua situazione finanziaria,
fissando un importo ridotto (art. 65 cpv. 1 e 2, art. 66 cpv. 1 LTF). Non si
assegnano ripetibili ad autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Il ricorso è respinto. 
 
2.   
La domanda di assistenza giudiziaria è respinta. 
 
3.   
Le spese giudiziarie ridotte di fr. 800.-- sono poste a carico della
ricorrente. 
 
4.   
Comunicazione alla ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento
delle istituzioni e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino nonché alla
Segreteria di Stato della migrazione SEM. 
 
 
Losanna, 12 giugno 2018 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud 

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