Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

Strafrechtliche Abteilung, Beschwerde in Strafsachen 6B.236/2012
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Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal

{T 0/2}
6B_236/2012

Sentenza del 19 dicembre 2012
Corte di diritto penale

Composizione
Giudici federali Mathys, Presidente,
Eusebio, Jacquemoud-Rossari,
Cancelliera Ortolano Ribordy.

Partecipanti al procedimento
A.________,
patrocinato dall'avv. Davide Corti,
ricorrente,

contro

Ministero pubblico del Cantone Ticino, Palazzo di giustizia, via Pretorio 16,
6901 Lugano,
opponente.

Oggetto
Tentato assassinio, dolo, arbitrio, commisurazione
della pena,

ricorso in materia penale contro la sentenza emanata
il 16 febbraio 2012 dalla Corte di appello e di revisione penale del Cantone
Ticino.

Fatti:

A.
Con sentenza del 5 agosto 2011, la Corte delle assise criminali ha dichiarato
A.________ autore colpevole di tentato omicidio intenzionale, ripetuta
minaccia, ripetuta ingiuria, furto e infrazione alla legge federale sugli
stranieri. Lo ha invece prosciolto dalle accuse di lesioni semplici qualificate
e furto d'uso. A.________ è stato quindi condannato alla pena detentiva di nove
anni e a versare all'accusatrice privata vari importi a titolo di risarcimento.

B.
Adita con appello del condannato e appello incidentale del Procuratore
pubblico, con giudizio del 16 febbraio 2012, la Corte di appello e di revisione
penale del Cantone Ticino (CARP) ha respinto il primo e accolto parzialmente il
secondo: A.________ è stato dichiarato autore colpevole di tentato assassinio,
ripetuta minaccia, ripetuta ingiuria, furto d'uso, furto, lesioni semplici
qualificate, nonché infrazione alla legge federale sugli stranieri e condannato
alla pena detentiva di tredici anni. La Corte ha inoltre ordinato un
trattamento psicoterapeutico ambulatoriale e confermato i risarcimenti
all'accusatrice privata, non oggetto di impugnativa.

In breve la condanna si fonda sui fatti seguenti:
B.a Nel febbraio 2010, per motivi di lavoro, A.________ e B.________, allora
sua convivente, dall'Italia si sono trasferiti in Svizzera. Il 3 maggio 2010,
scontento della sua situazione professionale, l'uomo ha fatto ritorno in Italia
da solo, decisione non condivisa dalla donna che è rimasta a vivere e a
lavorare in Svizzera. Poco tempo dopo, non sopportando la separazione dalla
compagna, ha iniziato a minacciarla e insultarla pesantemente.
B.b L'8 maggio 2010, si è recato a X.________ per il battesimo della nipote
della donna. Disertando per finire la cerimonia, ha fatto un giro con il
veicolo di B.________ a sua insaputa, servendosi di una chiave di riserva che
aveva conservato, per poi lasciarlo in un parcheggio diverso da quello in cui
ella lo aveva in precedenza posteggiato. In seguito, è andato a Y.________ nel
cantiere in cui lavorava la donna, è penetrato nella di lei camera e le ha
sottratto gioielli e documenti.
B.c Tra l'8 e l'11 maggio 2010, probabilmente il 10 maggio 2010, A.________ ha
fatto nuovamente incursione nella stessa camera, rompendone la porta, non ha
però trovato B.________, perché nel frattempo gliene era stata attribuita
un'altra. Il giorno seguente, in loco sono state rinvenute alcune bottiglie di
birra vuote, mozziconi di sigaretta e un cavo legato a un tubo a mo' di cappio.
B.d L'11 maggio 2010, si è introdotto di nuovo nella camera della donna, si è
nascosto sotto il letto e ha aspettato il suo ritorno per poi aggredirla
brandendo un coltello, ferendola leggermente alla pancia. L'attacco è stato
sventato dal di lei fratello, che si era frapposto tra i due. L'indomani
B.________ si è recata in polizia a cui ha riferito delle minacce ricevute, ma
non dell'aggressione.
B.e Nei giorni successivi, A.________ ha continuato a telefonare e a inviare
messaggi a B.________, dai quali traspariva un'ambivalenza di sentimenti:
alcuni di essi erano amorosi, mentre altri (la maggior parte) fortemente
ingiuriosi e minacciosi.
B.f Il 12 giugno 2010, rispondendo a una sua ennesima telefonata, la donna gli
ha chiesto di smetterla di chiamarla, ciò che lo fece adirare ancora
maggiormente. A.________ decise allora di partire alla volta di Y.________,
munito di un coltellino dalla lama affilatissima, con l'intento quanto meno di
costringerla a tornare con lui in Italia. Strada facendo, le ha inviato diversi
messaggi: in un primo tempo annunciavano il suo arrivo, con il passare delle
ore sono diventati viepiù inquietanti e minacciosi. Giunto sul posto, si è
appostato all'esterno della cucina in cui B.________ stava lavorando, spiandola
attraverso la finestra. Ha poi estratto la lama del coltellino, è entrato e da
tergo l'ha immobilizzata, con la mano sinistra le ha chiuso la bocca e con
l'altra le ha messo il coltello alla gola. Avvistando la scena, un operaio si è
lanciato contro l'uomo per liberarla e A.________ è quindi fuggito. B.________
ha riportato due ferite al collo, che solo il caso non ha tramutato in letali,
una al torace, una al dito mignolo della mano sinistra e la frattura di una
costola.

Poche ore dopo, nel cuore della notte, A.________ ha telefonato agli anziani
genitori della vittima in Romania, dicendo loro di aver tagliato la gola alla
figlia.

Anche dal carcere, dopo essere stato arrestato, egli ha scritto e telefonato
alla sua vittima, mantenendo gli stessi toni.

C.
Avverso la sentenza della CARP, A.________ si aggrava al Tribunale federale con
ricorso in materia penale, postulando in via principale la derubricazione
dell'imputazione di tentato assassinio per dolo diretto in tentato omicidio per
dolo eventuale, il suo proscioglimento dalle accuse di furto d'uso, nonché di
lesioni semplici qualificate e la conseguente riduzione della pena detentiva a
sei anni. Subordinatamente, in caso di conferma di tutte le imputazioni, chiede
che la pena sia ridotta a nove anni. Formula infine istanza di assistenza
giudiziaria e di gratuito patrocinio.

Non è stato ordinato uno scambio di scritti.

Diritto:

1.
Presentato dall'imputato, le cui conclusioni sono state disattese (art. 81 cpv.
1 LTF), diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF) resa in materia
penale (art. 78 cpv. 1 LTF) da un tribunale cantonale superiore che ha
giudicato su ricorso (art. 80 LTF), il gravame è di massima ammissibile, perché
interposto nei termini legali (art. 100 cpv. 1 LTF) e nelle forme richieste
(art. 42 cpv. 1 LTF).

2.
In relazione ai fatti del 12 giugno 2010, il ricorrente contesta di aver
attentato alla vita della vittima con dolo diretto, come invece ritenuto dalla
CARP, ma piuttosto con dolo eventuale. La conclusione dei giudici cantonali al
proposito poggerebbe su accertamenti che egli censura come arbitrari.

2.1 Commette con intenzione un crimine o un delitto chi lo compie
consapevolmente e volontariamente (art. 12 cpv. 2 prima frase CP). Oltre a
essere consapevole della concreta possibilità di realizzare la fattispecie,
l'autore deve volere agire contro il bene giuridicamente protetto. Questa
volontà è data se il sopraggiungere dell'evento o del risultato illecito
costituisce il vero scopo del comportamento dell'autore, se appare come un
presupposto necessario per raggiungere l'obiettivo da lui perseguito oppure se
rappresenta solo una conseguenza collaterale a lui indifferente o addirittura
da lui non desiderata (DTF 130 IV 58 consid. 8.2). In simili ipotesi, sussiste
dolo diretto. L'autore può agire anche con dolo eventuale (art. 12 cpv. 2
seconda frase CP): in questo caso egli ritiene possibile che l'evento o il
reato si produca e, cionondimeno, agisce, poiché prende in considerazione
l'evento nel caso in cui si realizzi, lo accetta pur non desiderandolo (DTF 137
IV 1 consid. 4.2.3). Queste due forme di dolo non si distinguono sul piano
volitivo, ma piuttosto su quello cognitivo, l'autore ritenendo il risultato
certo nel dolo diretto e possibile in quello eventuale (DTF 98 IV 65 pag. 66).

In mancanza di confessioni, il dolo, quale fatto interiore, può essere
accertato solo in base ad elementi esteriori e il giudice può pertanto dedurre
la volontà dell'interessato fondandosi su indizi estrinseci e regole
d'esperienza (DTF 133 IV 222 consid. 5.3).

Ciò che l'autore sapeva, voleva o ha preso in considerazione pertiene
all'accertamento dei fatti, che vincola il Tribunale federale, tranne se svolto
in modo manifestamente inesatto o in violazione del diritto (v. art. 105 LTF).
È per contro una questione di diritto, valutabile con piena cognizione, quella
di sapere se, sulla base dei fatti accertati, la conclusione sul dolo sia
fondata (DTF 138 V 74 consid. 8.4.1 e rinvii).

2.2 Prima di esaminare le censure ricorsuali relative al dolo, è necessario
vagliare quelle di arbitrio. Giova al proposito ricordare, che per invalsa
giurisprudenza l'arbitrio, vietato dall'art. 9 Cost., non si realizza già
qualora la soluzione proposta con il ricorso possa apparire sostenibile o
addirittura migliore rispetto a quella contestata; il Tribunale federale
annulla la pronunzia criticata solo se il giudice del merito ha emanato un
giudizio che appare - e ciò non solo nella sua motivazione bensì anche
nell'esito - manifestamente insostenibile, in aperto contrasto con la
situazione reale, gravemente lesivo di una norma o di un principio giuridico
chiaro e indiscusso oppure in contraddizione urtante con il sentimento della
giustizia e dell'equità (DTF 138 I 49 consid. 7.1 con rinvii). Per quanto
concerne più in particolare la valutazione delle prove e l'accertamento dei
fatti, il giudice - che in questo ambito dispone di un ampio margine di
apprezzamento - incorre nell'arbitrio se misconosce manifestamente il senso e
la portata di un mezzo di prova, se omette senza valida ragione di tener conto
di un elemento di prova importante, suscettibile di modificare l'esito della
vertenza, oppure se ammette o nega un fatto ponendosi in aperto contrasto con
gli atti di causa o interpretandoli in modo insostenibile (DTF 137 I 58 consid.
4.1.2).

Trattandosi di un diritto costituzionale, il ricorrente che si prevale della
violazione del divieto dell'arbitrio deve soddisfare le accresciute esigenze di
motivazione poste dall'art. 106 cpv. 2 LTF (sulle stesse v. DTF 137 V 57
consid. 1.3): critiche vaghe o di stampo appellatorio sono inammissibili (DTF
136 II 101 consid. 3).

Nella fattispecie l'argomentazione ricorsuale adempie solo in parte le citate
esigenze: in larga misura l'insorgente si limita in effetti a criticare in modo
generico e appellatorio la decisione impugnata, richiamando semplicemente
determinate prove e proponendone la sua interpretazione, senza confrontarsi
tuttavia con la dettagliata valutazione globale operata dalla CARP.

3.
3.1 Per il ricorrente sarebbe, in primo luogo, arbitrario l'accertamento
relativo alla fine della sua relazione con la vittima.
3.1.1 La CARP ha ritenuto che la coppia si è separata in modo consensuale con
il ritorno del ricorrente in Italia, situato dallo stesso in data 3 maggio
2010, circostanza confermata dalle credibili dichiarazioni della donna e di suo
fratello. I susseguenti comportamenti del ricorrente sono la prova della sua
consapevolezza al proposito: le sue minacce nei giorni immediatamente
successivi, la sottrazione dei gioielli e dei documenti della vittima e gli
atteggiamenti tipici dello stalker violento. La rottura, secondo la Corte
cantonale, è stata la conseguenza della decisione dell'insorgente, non
condivisa dalla compagna, di lasciare il lavoro e la Svizzera e non
dell'interesse della stessa per altri uomini.
3.1.2 Nessuno degli elementi avanzati nel ricorso dimostra l'insostenibilità di
questo accertamento. L'insorgente non spiega in particolare perché le
dichiarazioni della donna e del fratello, su cui è fondata la contestata
conclusione, non sarebbero credibili: entrambi hanno affermato che la fine del
rapporto amoroso ha coinciso con il ritorno del ricorrente in Italia. Il fatto
che la prima abbia sostenuto che durante il soggiorno in Svizzera la loro
relazione "andava bene" non contrasta con quanto ritenuto dalla CARP, atteso
che la donna ha poi precisato che la distanza non avrebbe permesso loro di
continuare seriamente il rapporto, motivo per cui è stato interrotto. Quanto
alle dichiarazioni del fratello, nulla indica che egli abbia esclusivamente
tratto delle deduzioni dalla decisione della coppia di vivere uno in Italia e
l'altra in Svizzera, come sostenuto nel gravame, e nemmeno le stesse possono
essere qualificate come poco attendibili perché rilasciate da un teste che non
ha saputo fornire dettagli sulla relazione amorosa della sorella e sulla sua
vita passata. La deposizione dell'uomo è stata del resto giudicata del tutto
credibile dalla CARP, in quanto resa con parole pacate, a poche ore dai fatti,
e poi confermata a sei mesi di distanza quale teste privo di interesse a
fornire una versione non conforme alla realtà. Per il ricorrente sarebbe
"contrario al normale andamento delle cose" ritenere che nel corso di un'unica
discussione, di cui nemmeno si conoscerebbe l'esatto svolgimento temporale né
il contenuto, la coppia abbia potuto porre un termine al loro decennale
rapporto. Si tratta di una considerazione appellatoria, che non fa apparire il
contestato accertamento manifestamente insostenibile e quindi arbitrario.
3.1.3 Per l'insorgente, le minacce, nonché il furto dei gioielli e dei
documenti avrebbero dovuto essere letti alla luce della perizia psichiatrica,
attestante la sua propensione ad assumere atteggiamenti dimostrativi, e come
tali dovrebbero pertanto essere considerati. Rileva che non tutti i messaggi
erano minacciosi o diffamatori, in alcuni infatti chiedeva un colloquio, ciò
che dimostrerebbe che la relazione non poteva dirsi terminata. Non si scorge
tuttavia come questi elementi rendano arbitrario l'accertamento della CARP.
Malgrado l'invio di sms da lui definiti "concilianti", egli non spiega per
quale motivo avrebbe cominciato, praticamente subito dopo il suo rientro in
Italia, a oltraggiare e minacciare la donna se davvero la relazione non poteva
dirsi conclusa. La Corte cantonale ha del resto escluso la presenza di un altro
uomo. A mente del ricorrente però, dal tenore e numero dei messaggi di altri
uomini, si desumerebbe un altro legame di natura intima che ben potrebbe
essersi instaurato già agli inizi del mese di maggio. Così argomentando, egli
si limita a formulare mere ipotesi senza concreto riscontro negli atti, ciò che
manifestamente non basta a sostanziare l'arbitrio. Benché alcuni dei messaggi
(quali ad esempio "ti amo tantissimo mi fai impazzire") lascino trasparire, per
lo meno da parte del loro autore, un sentimento più che amichevole, essi sono
tutti posteriori alla fine della relazione di almeno un mese e nessun elemento
suffraga le supposizioni ricorsuali. La CARP ha del resto rilevato, basandosi
anche sulle dichiarazioni di un teste, completamente sottaciute nel gravame,
che per il ricorrente il pensiero di un altro uomo rimaneva solo un'ipotesi,
che non aveva raggiunto la forma del soggettivo convincimento, tipica di
persone che non si spiegano la fine di un rapporto se non con la tesi di un
altro uomo. Per quanto ammissibile, la censura di arbitrio in punto alla fine
della relazione risulta quindi infondata.

3.2 L'insorgente sostiene che la CARP avrebbe interpretato anche la sua
incursione presumibile del 10 maggio 2010 in modo insostenibile e arbitrario.
Considerate le analogie con il suicidio da lui simulato prima del suo arresto e
le conclusioni dei periti psichiatrici, i fatti di quel giorno non avrebbero
avuto alcuna finalità intimidatoria, bensì lo scopo di rendere consapevole la
donna che lui era pronto a suicidarsi. Del resto, continua il ricorrente,
malgrado lo spavento percepito dal fratello della vittima, quest'ultimo, anche
dopo l'episodio dell'11 maggio 2010, ha comunque lasciato che i due
discutessero da soli.

Nuovamente il ricorrente si limita a proporre una lettura alternativa degli
eventi rispetto a quella dell'autorità cantonale. Per questa il cappio era un
messaggio chiaramente minaccioso, rivelatosi a posteriori pure inquietantemente
premonitore, che fece spaventare non poco il fratello dell'accusatrice privata.
L'insorgente, che non contesta lo stato di spavento creato, pone l'accento sui
suoi tentati suicidi, ma omette di considerare gli ulteriori elementi
dell'intera vicenda, segnatamente quanto da lui commesso il giorno seguente con
atti eterolesivi e non autolesivi (v. infra consid. 3.3). La critica risulta
quindi inammissibile in quanto appellatoria.

3.3 Il ricorrente si duole di un altro arbitrio nella valutazione dei fatti
dell'11 maggio 2010, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CARP, non
potrebbero essere interpretati come un'aggressione ai danni dell'accusatrice
privata. Prima di recarsi quel giorno a Y.________, egli l'avrebbe infatti
avvertita della sua visita; quando è sbucato da dietro la porta della sua
stanza, ella non sarebbe peraltro fuggita ma si sarebbe addirittura
intrattenuta da sola con lui. Ella non avrebbe inoltre sporto querela, perché,
secondo le sue dichiarazioni, non si sentiva parte lesa. Sicché, continua
l'insorgente, questo episodio sarebbe da interpretare come un suo ulteriore
tentativo di attirare l'attenzione della donna e non certo la manifestazione di
una sua volontà omicida. Questa conclusione sarebbe avvalorata sia dai
riscontri peritali sia dalla percezione della vicenda da parte delle altre
persone coinvolte.

Ora, secondo il racconto del fratello della vittima, giudicato manifestamente
credibile dalla CARP e non contestato dal ricorrente, questi è uscito dalla
stanza in cui si era nascosto, brandendo un coltello nella mano destra con il
braccio piegato praticamente a 90 gradi verso l'alto e la lama all'altezza del
suo orecchio. Il fratello si è subito frapposto tra lui e la donna per
fermarlo, avendo capito che la voleva colpire. Nonostante la sua
interposizione, l'insorgente, passando il braccio armato poco distante dal suo
fianco sinistro, ha cercato di colpirla, fermandosi solo quando si è accorto di
averlo ferito alla mano. Benché abbia affermato che nei primi istanti il
ricorrente non ha tentato di accoltellare la sorella, ha comunque precisato che
probabilmente non ne ha avuto il tempo, perché egli si è subito messo fra loro.
Se da un lato il fratello ha dichiarato che "non ha fatto apposta a ferir[lo]",
dall'altro lato ha aggiunto, ciò che il ricorso sottace, che il suo obiettivo
non era lui bensì sua sorella. È vero che quest'ultima sapeva della sua venuta,
non è fuggita alla sua vista e si è intrattenuta con lui, ma l'insorgente
tralascia di menzionare che per paura di incontrarlo si era fatta accompagnare
in camera dal fratello e che è rimasta sola con lui unicamente dopo che si era
calmato e disarmato. Peraltro l'indomani si è recata in polizia. Sebbene non
abbia per finire denunciato il ricorrente, non è possibile dedurne che si sia
trattato unicamente di un comportamento volto ad attirare l'attenzione della
vittima: egli non si è infatti limitato a un atto dimostrativo, ma ha diretto
l'arma verso la ex compagna per colpirla, non riuscendovi grazie all'intervento
del fratello. In simili circostanze non si intravede alcun arbitrio
nell'interpretazione data all'episodio dalla CARP, secondo la quale quanto
accaduto dimostrava che le minacce dell'insorgente non costituivano semplici
parole volte a incutere timore, bensì la manifestazione di una seria volontà,
l'intenzione di nuocere avendo superato lo stadio del pensiero ed essendo già
piuttosto consolidata.

3.4 L'insorgente contesta poi la valenza attribuita ai suoi messaggi. Gli
stessi non potrebbero essere considerati come l'anticipazione della sua volontà
omicida. Avrebbe infatti cominciato a minacciare di morte l'accusatrice privata
già prima dei fatti dell'11 maggio 2010 e ciononostante, benché avesse avuto la
possibilità di accoltellarla quel giorno, non lo avrebbe fatto.

A fronte di messaggi dal tenore "Ammazzo te e dopo io" oppure "...oggi le tolgo
la vita e dopo la mia...", la conclusione della CARP, secondo cui dagli stessi
trasparirebbe un chiaro proposito di uccidere, resisterebbe anche a un libero
esame da parte di questo Tribunale. Nonostante il ricorrente non abbia
concretizzato questa volontà già l'11 maggio 2010, in quell'occasione ha
comunque mostrato, come evidenziato senza arbitrio dalla Corte cantonale (v.
supra consid. 3.3), che le sue non erano vacue minacce, bensì l'espressione di
un serio disegno in tal senso.

3.5 A mente del ricorrente, la CARP sarebbe incorsa nell'arbitrio negando che
le ferite riportate dalla vittima il 12 giugno 2010 fossero riconducibili al
suo tentativo di sfuggire alla presa del suo aggressore. L'operaio intervenuto
a soccorso della donna avrebbe infatti affermato che, quando ha visto la scena,
ella si divincolava verso sinistra e verso destra e si dimenava. Di
conseguenza, contestata la possibilità di scaglionare in diversi momenti
l'azione, i piccoli movimenti della mano che l'operaio ha visto fare da parte
del ricorrente sarebbero da mettere in relazione solo con l'azione volta a
impedire che la vittima si liberasse dalla sua presa. Del resto, la perizia
medico-legale attesterebbe che le lesioni al collo, prodotte con almeno due
azioni distinte, hanno una soluzione di continuo di diversi centimetri. Sicché,
prosegue il ricorrente, esse non sarebbero compatibili con piccoli movimenti
nel primo frangente in cui la donna si dimenava, bensì riconducibili al momento
della colluttazione dell'insorgente con l'operaio. Peraltro, il perito avrebbe
riconosciuto che le ferite potevano pure risultare dai movimenti della stessa a
contatto con l'arma. Quanto alla ferita al costato, contrariamente all'opinione
della CARP, anche questa sarebbe stata inferta al momento dell'intervento
liberatorio dell'operaio e della conseguente colluttazione con il ricorrente.
Questa conclusione si trarrebbe dalle dichiarazioni dell'accusatrice privata e
dello stesso operaio. La prima ha infatti affermato di essere stata afferrata
da tergo al collo, di aver urlato, di aver avuto la sensazione di un filo al
collo e quindi interposto la mano, sentendo un bruciore al mignolo e
immediatamente dopo un bruciore al collo, e solo successivamente un forte
dolore al costato. Poiché l'operaio ha dichiarato di essere intervenuto subito
dopo aver udito l'urlo della donna, se ne dovrebbe dedurre che lo ha fatto
prima che subisse le lesioni al collo e al costato e che il sangue da lui
notato fosse quello del mignolo al quale la donna si sarebbe ferita cercando di
allontanare il coltello.
3.5.1 Fondandosi sulle risultanze peritali, le foto in atti e le dichiarazioni
dei protagonisti, la CARP ha ritenuto che le ferite riscontrate sulla vittima
erano riconducibili a un'azione volontaria del ricorrente e non al divincolarsi
della donna o alla colluttazione con l'operaio. Sulla scorta delle affermazioni
del perito, ha in particolare escluso che la ferita al torace e la frattura
della costola siano state arrecate nella fase dell'intervento dell'operaio.
Questi ha liberato la donna infilando le braccia sotto le ascelle
dell'aggressore, unendo le mani dietro la sua nuca e quindi strappandolo
all'indietro. La posizione così assunta ha reso impossibile, in quel frangente,
la penetrazione del coltello nel corpo della vittima. Del resto, il perito ha
rilevato che la frattura costale provava che il colpo fu portato con una forza
di consistente intensità. La CARP ha inoltre accertato che l'operaio è
intervenuto dopo che l'accusatrice privata era già stata ferita al collo,
atteso che lo stesso ha dichiarato di essersi lanciato contro il ricorrente
quando ha visto il sangue all'altezza della gola della donna. Avendo egli
notato dei movimenti della mano destra dell'aggressore, ossia quella che
impugnava il coltello, la Corte cantonale ha stabilito che l'insorgente ha
mosso l'arma. La direzione e la profondità delle ferite al collo l'hanno
indotta a ritenere che siano frutto di un'azione volontaria.
3.5.2 Gli accertamenti cantonali poggiano su una valutazione globale delle
prove e risultano scevri di arbitrio. Benché il perito medico-legale non abbia
escluso in modo assoluto che le lesioni al collo potessero essere causate dal
divincolamento della vittima, ha precisato trattarsi di un'ipotesi puramente
teorica, ritenuto che una ferita da taglio si produce sia se è il coltello a
scorrere sia se è invece il distretto corporeo interessato a muoversi, e
specificato che la profondità delle lacerazioni è indicativa di un'azione
muscolare volontaria dell'autore. Come rettamente osservato dalla CARP, le
fotografie ritraggono peraltro due tagli alla gola con direzioni fra loro
totalmente diverse, tanto da formare un angolo acuto, di certo non compatibili
con il tentativo della vittima di sfuggire alla presa del suo aggressore. Del
tutto sostenibili risultano poi le considerazioni sull'intervento dell'operaio.
Il ricorrente, ribadendo l'impossibilità di sezionare in diversi episodi
l'azione, persiste nell'addurre che le lesioni sarebbero state cagionate
durante la colluttazione, non si confronta tuttavia con la sentenza impugnata
laddove segnatamente è spiegato che in ragione dalla posizione delle braccia
non era possibile penetrare con il coltello il costato della vittima e che la
relativa frattura, tenuto conto dell'intensa forza necessaria a provocarla,
esclude che il colpo sia stato inferto accidentalmente. Quanto al momento in
cui l'operaio si è scagliato contro l'insorgente, ancora una volta il ricorso
propone una lettura alternativa delle dichiarazioni in atti, senza dimostrare
l'arbitrarietà di quella ritenuta dalla CARP. L'insorgente stesso riconosce del
resto che la vittima non ha indicato in che istante sia entrato in scena
l'operaio. Questi, dal canto suo, ha però affermato di essersi lanciato contro
l'aggressore solo dopo aver visto del sangue all'altezza della gola della donna
e non sulla sua mano.

4.
4.1 Per quanto concerne il dolo, il ricorrente sostiene che non vi sarebbero
elementi probatori relativi alle intenzioni omicide con le quali egli si
sarebbe diretto a Y.________ la sera del 12 giugno 2010. Le sue dichiarazioni
al riguardo sarebbero sempre state lineari: avrebbe voluto convincere la donna
a seguirlo in Italia, a costo di esercitare una pressione fisica o psichica.
L'aver portato seco un coltello, di dimensioni ridotte, non potrebbe essere
considerato indizio di una volontà omicida: avrebbe infatti potuto procurarsi
un'arma ben più letale direttamente al cantiere. Del resto, per l'episodio
dell'11 maggio 2010 egli avrebbe utilizzato un coltello da cucina trovato per
l'appunto in loco. Riguardo ai messaggi inviati alla sua vittima, essi non
avevano altro scopo se non quello di attirare la sua attenzione sul suo stato
di frustrazione per l'impossibilità di parlarle, nonché sulla sua gelosia e
rispondevano al suo "bisogno di rivalorizzare la stima di sé". Non potrebbero
dunque indiziare dolo. Peraltro avrebbe proferito minacce altrettanto intense e
pesanti anche prima di quel giorno, senza concretizzarle, malgrado già l'11
maggio 2010 ne avesse avuto la possibilità. Infine, neppure il fatto di aver
tenuto la lama premuta contro la gola dell'accusatrice privata quando è
intervenuto l'operaio, considerata la concitazione del momento, può far
concludere al dolo diretto.

4.2 Considerando sulla base dei fatti pertinenti, accertati come visto senza
arbitrio (v. consid. 3), che il ricorrente ha agito con dolo diretto, la CARP
non ha violato il diritto federale. Infatti, gli indizi disponibili si prestano
ad ammettere l'intenzione di uccidere. A partire dalla fine della relazione con
la vittima, il comportamento delinquenziale dell'insorgente ha registrato
un'inarrestabile progressione, manifestando la volontà di fare del male
dapprima con messaggi minacciosi e con l'episodio del cappio, per poi assumere
concretezza l'11 maggio 2010, quando ha diretto un'arma contro la donna. Come
rettamente rilevato dalla Corte cantonale, con il passare dei giorni tale
proposito si trasforma in intento omicida, esplicitato negli sms, nelle
telefonate dal 25 maggio 2010 e assumendo valenza risoluta nelle ultime cinque
ore precedenti l'aggressione. Il ricorrente è partito incollerito più del
solito contro l'accusatrice privata per la sua rinnovata richiesta di essere
lasciata in pace e si è munito di un coltellino molto affilato. Al proposito è
irrilevante che l'arma si trovasse già nel bauletto del ciclomotore con cui si
è recato in stazione o che avrebbe potuto trovarne una più letale al cantiere.
Pure i messaggi spediti quella sera sono significativi ["(...) scomparirai come
C.________, vedrai come ci si sente ad essere presi in giro, alla fine riderò
io" (C.________ essendo un'avvocata sparita nel nulla in Romania ); "Non vedo
l'ora di giocare con il tuo sangue"]. La CARP a ragione ne ha negato il
carattere dimostrativo, più volte invocato dall'insorgente, perché, oltre a
essere chiare, le minacce sono state ripetute nel tempo e seguite a due riprese
dal passaggio all'atto (l'11 maggio 2010 e il 12 giugno 2010), ciò che ha
conferito loro consistenza reale. Determinanti per ritenere il dolo diretto
risultano poi soprattutto le modalità del suo comportamento quando ha raggiunto
la vittima al cantiere: non proferendo parola durante tutta l'aggressione, l'ha
subito immobilizzata e tenuta contro il bollitore che stava pulendo, non solo
ha puntato il coltello alla sua gola, ma ha pure fatto scorrere la lama
affilatissima in due diverse direzioni, continuando a premerla sul collo anche
quando l'operaio è intervenuto per separarli. Di particolare rilievo sono poi
le zone ferite, il collo e il costato, le cui lesioni solo il caso non ha
tramutato in letali; la frattura della costola evidenzia viepiù la forza
impressa dall'insorgente nel colpire l'accusatrice privata. Non si può quindi
non concordare con la Corte cantonale quando ritiene che le aree toccate sono
sintomatiche non solo della sua volontà di uccidere, ma anche della
determinazione nel raggiungere il suo scopo.

5.
L'insorgente ritiene che il suo comportamento del 12 giugno 2010 debba essere
qualificato di tentato omicidio e non di tentato assassinio.

5.1 L'omicidio intenzionale (art. 111 CP) si qualifica come assassinio se il
colpevole ha agito con particolare mancanza di scrupoli (art. 112 CP). Per
caratterizzare questa nozione, la norma evoca, a titolo esemplificativo, la
natura particolarmente perversa del movente, dello scopo o delle modalità.
Mentre l'omicida agisce per motivi più o meno comprensibili e di regola
nell'ambito di una grave situazione di conflitto, l'assassino si
contraddistingue per la mancanza di scrupoli, l'agire a sangue freddo,
l'egoismo primitivo e crasso, l'assenza di sentimenti sociali, per essere
dunque una persona che non tiene in nessun conto la vita altrui pur di
realizzare il proprio interesse. Questi attributi - valutati secondo criteri
morali oggettivi - devono apparire come un carattere costante della personalità
dell'autore. Per determinare se sussista assassinio, occorre procedere a un
apprezzamento globale delle circostanze esterne (modalità d'esecuzione) e
interne dell'atto (movente, scopo, ecc.), ossia quelle direttamente connesse
con la sua commissione. I precedenti e il comportamento dell'autore dopo
l'illecito possono essere pertinenti nella misura in cui hanno un nesso diretto
con l'atto e forniscono un quadro della sua personalità. Vi è assassinio se,
dall'insieme delle circostanze, risulta che l'agente ha dimostrato un totale
disprezzo dell'altrui vita (DTF 127 IV 10 consid. 1a).

Secondo la giurisprudenza, il movente o lo scopo sono particolarmente perversi
se le ragioni che hanno indotto l'autore a uccidere sono specialmente
riprensibili oppure del tutto inconsistenti, segnatamente se agisce contro
remunerazione (sicariato, DTF 118 IV 122 consid. 2b pag. 125), a scopo di
rapina (DTF 115 IV 187), per eliminare una persona ritenuta a vario titolo
sgradita (DTF 101 IV 279; 118 IV 122 consid. 2b pag. 126), per ereditare o
beneficiare di prestazioni assicurative (sentenza 6S.368/2002 del 6 ottobre
2003 consid. 4) o ancora per vendicarsi (DTF 106 IV 342 consid. 2 e 4e),
precisando tuttavia che una reazione di sofferenza fondata seriamente su motivi
oggettivi imputabili alla vittima esclude di regola la qualificazione di
assassinio (DTF 118 IV 122 consid. 3d). Le modalità sono particolarmente
perverse se, in specie, l'autore fa prova di crudeltà, di perfidia, di brama di
uccidere o gode nel vedere soffrire la sua vittima (DTF 117 IV 369 consid. 19b
pag. 393; sentenza 6S.400/2001 del 10 gennaio 2002 consid. 8b).

5.2 Risulta, sempre sulla base dei fatti accertati senza arbitrio (v. consid.
3), che la fine della relazione sentimentale è riconducibile alla decisione del
ricorrente, non condivisa dalla compagna, di abbandonare il lavoro e la
Svizzera e che i due si erano lasciati in modo pacifico, al punto che è stata
la stessa donna ad accompagnarlo in Italia. L'insorgente però non è stato
capace di accettare la separazione e ha cominciato ad assillarla e minacciarla.
La donna, da parte sua, non lo ha mai vessato in alcun modo. Anzi, la CARP ha
rilevato che ha cercato di convincerlo a restare e ha sempre tenuto un
comportamento dignitoso e pacato, dando prova di comprensione, tolleranza ed
equilibrio, perché, malgrado la paura, né ha reagito in modo scomposto alla
sottrazione del veicolo, dei gioielli e dei documenti, né alle gravi minacce
proferitele. Come riportato nella sentenza impugnata, la decisione di uccidere
si è quindi sviluppata in un contesto privo di conflittualità imputabile alla
vittima. Il ricorrente non aveva nessuna ragione plausibile per uccidere
l'accusatrice privata, precisato che la sua pretesa gelosia era totalmente
immotivata (v. consid. 3.1.3) e che nessun torto può esserle ascritto per non
aver risposto alle sue insistenti chiamate.

La CARP ha quindi ravvisato il movente dell'insorgente nel suo sentimento di
estremo egoismo, che ha tramutato la vittima in un oggetto da possedere o da
distruggere (cosiddetta reificazione della vittima). Trattasi di un movente che
il Tribunale federale, già a più riprese, ha definito particolarmente perverso,
perché estremamente futile, egocentrico e rivelatore di un completo disprezzo
dell'altrui vita (v. sentenze 6S.653/1993 del 28 gennaio 1994 consid. 2c non
pubblicato in DTF 120 IV 10; 6S.155/2001 del 23 aprile 2001 consid. 2b; 6S.21/
2003 dell'11 marzo 2003 consid. 2.2; 6S.357/2004 del 20 ottobre 2004 consid.
2.2; 6S.435/2005 del 16 febbraio 2006 consid. 1.2; 6S.94/2006 del 31 agosto
2006 consid. 9.3; 6S.589/2006 del 23 febbraio 2007 consid. 6.2; 6S.44/2007 del
6 giugno 2007 consid. 3.2; 6B_156/2008 del 15 maggio 2008 consid. 2.4; 6B_535/
2008 dell'11 settembre 2008 consid. 4.4; 6B_429/2010 del 24 gennaio 2012
consid. 4).

Ma anche il modo d'agire appare particolarmente perverso. Il ricorrente ha
afferrato da tergo la vittima e in breve tempo l'ha colpita ripetutamente in
due precise parti del corpo, sedi di organi vitali, con determinazione e
violenza (la coltellata al costato ha provocato la frattura della costola): è
poi scappato, lasciandola grondante di sangue. Se è vero, come eccepito nel
gravame, che la donna è stata prontamente soccorsa, fuggendo, il ricorrente ha
comunque mostrato la sua indifferenza per la sorte della vittima. Poche ore
dopo, nel cuore della notte, ha poi telefonato ripetutamente ai genitori della
vittima, anziani e lontani migliaia di chilometri, informandoli di aver
tagliato la gola alla figlia, condotta invero gratuita e barbara.

Significativo della personalità dell'insorgente e della sua particolare
perversione, come pertinentemente spiegato dalla CARP, è anche il suo
comportamento prima e dopo l'illecito. Inizialmente ha tempestato l'accusatrice
privata, e non solo, di pesanti ingiurie e minacce, in modo primitivo e gretto.
Ha più volte fatto incursione nella sua camera, dapprima rubandole gioielli e
documenti per obbligarla a raggiungerlo in Italia, poi lasciando in loco un
inquietante cappio e quindi, passando dalla parola ai fatti, lanciandosi contro
di lei brandendo un coltello. Tutto ciò, come già visto, va ben oltre l'atto
dimostrativo: trattasi di un'inarrestabile progressione indicativa
dell'incapacità del ricorrente di affrontare la frustrazione dei suoi desideri
mediante vie diverse dalla prevaricazione e dalla violenza. Anche dopo la sua
incarcerazione, ben sapendo della paura della vittima, l'ha chiamata
telefonicamente, le ha inviato due lettere con ulteriori minacce e un biglietto
dal sinistro messaggio ("un semplice gesto ma un eterno ricordo"). La Corte
cantonale ha ravvisato in queste nuove intimidazioni un'ulteriore conferma
della persistenza di una volontà omicida e del desiderio di mantenere la donna
nel terrore.

Nemmeno i suoi tentativi di suicidio mitigano quanto esposto. La perizia ne ha
infatti evidenziato la natura dimostrativa e la CARP li ha definiti
manifestamente strumentali a una strategia di difesa, volta a farlo proporre
come un povero amante disperato. Né appaiono come gesti di rimorso per la
gravità dell'atto commesso a una donna, che peraltro sosteneva di amare. Del
resto, la Corte cantonale ha rilevato che il ricorrente nemmeno si è scusato
per quanto fatto.

In sintesi, l'insorgente ha agito senza scrupoli, in modo particolarmente
perverso, mosso da un crasso egoismo, adottando il comportamento tipico
dell'assassino. Sicché la sua condanna per tentato assassinio non viola il
diritto federale.

6.
Il ricorrente contesta pure di essersi reso colpevole di lesioni semplici
qualificate ai sensi dell'art. 123 n. 2 CP per i fatti dell'11 maggio 2010,
negando di aver agito con la volontà di accoltellare l'accusatrice privata. Il
suo atto sarebbe stato solo dimostrativo e le ferite accidentali. Questa
censura sfiora la temerarietà: alla luce dei fatti accertati in modo scevro da
arbitrio (v. consid. 3.3), egli ha diretto il coltello contro la donna,
scansando il fratello che si era frapposto. Sicché il dolo risulta
manifestamente dato.

7.
In relazione all'infrazione di furto d'uso, l'insorgente non ne critica la
realizzazione, ma sostiene che all'epoca formava ancora una comunione domestica
con l'accusatrice privata. Pur senza menzionarlo, si prevale dell'assenza di
una valida querela di parte ai sensi dell'art. 94 n. 1 cpv. 2 LCStr. La censura
pone seri problemi di ammissibilità sia in ragione della motivazione lacunosa
(v. art. 42 cpv. 2 LTF) sia perché il ricorrente adduce fatti non accertati,
senza prevalersi di alcuna violazione del diritto al riguardo (v. 105 LTF).
Risulta peraltro manifestamente infondata. La CARP ha appurato, senza arbitrio
(v. consid. 3.1), che la relazione sentimentale con la donna e la relativa
convivenza erano definitivamente cessate con il rientro dell'insorgente in
Italia in data 3 maggio 2010. Conseguentemente l'8 maggio 2010, quando ha
sottratto il veicolo della donna, i due non formavano già più una comunione
domestica giusta l'art. 110 n. 2 CP. Nulla dunque osta alla sua condanna sulla
base dell'art. 94 n. 1 cpv. 1 LCStr.

8.
Infine il ricorrente si duole della commisurazione della pena. Malgrado l'art.
47 cpv. 2 CP imponga di determinare la colpa tenendo conto, tra l'altro, del
grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico offeso, la CARP
avrebbe omesso di considerare che la vittima non è mai stata in pericolo di
vita. Inoltre avrebbe ritenuto un rischio di recidiva, laddove invece il perito
l'avrebbe chiaramente escluso, e negletto che, considerata la sua età, la pena
concretamente irrogata ostacolerebbe in modo determinante e irreversibile il
suo reinserimento. Da ultimo, egli rileva che i precedenti giurisprudenziali
sui quali la Corte cantonale si sarebbe fondata per determinare l'entità della
pena non avrebbero alcuna analogia con la fattispecie in esame.

8.1 Giusta l'art. 47 CP, il giudice commisura la pena alla colpa dell'autore.
Tiene conto della vita anteriore e delle condizioni personali dell'autore,
nonché dell'effetto che la pena avrà sulla sua vita (cpv. 1); la colpa è
determinata secondo il grado di lesione o esposizione a pericolo del bene
giuridico offeso, secondo la riprensibilità dell'offesa, i moventi e gli
obiettivi perseguiti, nonché, tenuto conto delle circostanze interne ed
esterne, secondo la possibilità che l'autore aveva di evitare l'esposizione a
pericolo o la lesione (cpv. 2).
La norma conferisce al giudice un ampio potere di apprezzamento. Il Tribunale
federale interviene solo quando il giudice cantonale cade nell'eccesso o
nell'abuso di questo potere, ossia laddove la pena esca dal quadro edittale,
sia valutata in base a elementi estranei all'art. 47 CP o appaia eccessivamente
severa o clemente (DTF 136 IV 55 consid. 5.6 pag. 61).

8.2 Sotto il profilo oggettivo, la CARP ha ritenuto decisamente molto grave il
tentato assassinio perpetrato infliggendo due pericolosissime ferite
potenzialmente letali. Se il reato non è consumato è solo grazie al caso e
all'intervento soccorritore dell'operaio. Peraltro le sequele fisiche e
psichiche per la donna non sono indifferenti. Quale elemento aggravante la
Corte ha quindi ritenuto che, quand'anche non vi sia stata morte, il ricorrente
ha comunque causato una lesione grave dell'integrità. Con il suo agire egli ha
dato prova di spregiudicatezza, temerarietà, particolare determinazione, nonché
brutalità riconducibile sia al tipo di arma utilizzata sia all'uso fattone,
ossia quello di letteralmente tentare di sgozzare la vittima. Oggettivamente
molto, rispettivamente estremamente gravi risultano poi le ripetute minacce e
ingiurie: le prime a causa del contenuto, della ripetitività e degli effetti
che continuano a persistere nelle accertate patologie psichiche, le seconde in
ragione del contenuto volgare e ripugnante, nonché della volontà che ne emerge
di non solo offendere, ma anche destabilizzare la destinataria nei suoi affetti
familiari. Di gravità oggettiva medio-bassa sono invece le lesioni semplici
qualificate, media il furto dei gioielli, media a lieve il furto d'uso e lieve
l'infrazione alla LStr. Sotto il profilo soggettivo, la CARP ha evidenziato
come il ricorrente abbia agito spinto da un egoismo tanto primitivo e crasso da
diventare egocentrismo puro. Questo egoismo raggiunge vette altissime
esaminando il tentato assassinio unitamente alle precedenti incursioni
punitive, le ripetute ingiurie e minacce proferite alla donna e alla sua
famiglia, sia prima sia dopo aver attentato alla sua vita. L'insieme dei gesti
commessi, continuano i giudici cantonali, riflettono una brutalità e una
cattiveria non comuni. La libertà dell'insorgente di decidersi a favore della
legalità era totale. Alla colpa così determinata, tenuto conto anche del
concorso di infrazioni, è stata ritenuta adeguata una pena detentiva di tredici
anni. Per quanto attiene agli elementi legati all'autore, la CARP li ha tutti
qualificati come negativi. Benché lontane nel tempo, il ricorrente né ha saputo
trarre lezione dalle sue precedenti condanne né dal carcere patito e il perito
ha pure riconosciuto un rischio di recidiva. Non sussistono fattori attenuanti:
l'insorgente non ha ammesso il reato principale, non ha collaborato, né ha
preso le distanze da quanto commesso.

8.3 La commisurazione della pena non presta il fianco a critiche. Nella misura
in cui il ricorrente adduce che la vittima non si è mai trovata in pericolo di
vita, si prevale di un fatto non accertato, senza dimostrare l'adempimento
delle condizioni dell'art. 105 cpv. 2 LTF, di modo che non può esserne tenuto
conto. Per quanto concerne il rischio di recidiva, la CARP si è fondata sulle
considerazioni del perito, che ne evidenziano l'esistenza. L'insorgente si
limita a citare ulteriori dichiarazioni dell'esperto senza tuttavia
confrontarsi con quelle richiamate dai giudici cantonali, né spiegare perché
queste ultime sarebbero inconcludenti o non pertinenti in punto al citato
rischio. Anche con riguardo ai sostenuti problemi di reinserimento dovuti
all'entità della pena irrogata, il ricorso si appalesa infondato. La CARP ha
infatti riportato il tenore dell'art. 47 CP, che menziona espressamente
l'effetto della pena sulla vita del condannato tra i criteri per la sua
commisurazione, evidenziando pure la necessità di evitare di pronunciare
sanzioni che ne ostacolino il reinserimento, e ha rammentato l'anno di nascita
del ricorrente, la sua formazione e la sua nazionalità. In simili circostanze,
sebbene non l'abbia esplicitamente segnalato, la Corte cantonale non ha
ignorato che la pena inflitta condizionerà in modo significativo il suo futuro
professionale e il suo ritorno nel paese d'origine. Non va d'altronde
trascurato che l'effetto della pena sulla vita del condannato, quale elemento
di prevenzione speciale, permette di compiere unicamente correzioni marginali,
la sanzione dovendo in ogni caso essere proporzionata alla colpa (v. sentenza
6B_190/2008 del 20 maggio 2008 consid. 4.2.1). Infine, per quanto attiene ai
precedenti giurisprudenziali richiamati dalla CARP, se è vero che non sono
tutti perfettamente paragonabili con la fattispecie, le analogie non mancano,
segnatamente in punto ai moventi e agli scopi perseguiti dagli assassini. Sono
peraltro serviti unicamente per confortare, a titolo indicativo, l'entità della
pena da irrogare in caso di reato consumato. La sanzione finalmente inflitta
tiene però ampiamente conto sia delle particolarità dei fatti in parola sia del
tentativo. Oltre a situarsi nell'ampia cornice edittale, la pena detentiva di
tredici anni risulta confacentemente adeguata alla grave colpa tanto oggettiva
che soggettiva e benché severa, non lo appare al punto da costituire un abuso
del potere d'apprezzamento.

9.
Ne segue che, in quanto ammissibile, il ricorso dev'essere respinto. Tenuto
conto della situazione finanziaria dell'insorgente e considerato che le
conclusioni ricorsuali non apparivano fin dall'inizio prive di probabilità di
successo, la domanda di assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio può
essere accolta (art. 64 cpv. 1 e 2 LTF).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.

2.
La domanda di assistenza giudiziaria e di gratuito patrocinio è accolta.

3.
Non si prelevano spese giudiziarie.

4.
L'avv. Davide Corti viene incaricato del gratuito patrocinio del ricorrente e
per la procedura in sede federale al medesimo viene corrisposta un'indennità di
fr. 3'000.--, a carico della cassa del Tribunale federale.

5.
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico, alla
Corte di appello e di revisione penale del Cantone Ticino e, per conoscenza,
alla patrocinatrice dell'accusatrice privata.

Losanna, 19 dicembre 2012

In nome della Corte di diritto penale
del Tribunale federale svizzero

Il Presidente: Mathys

La Cancelliera: Ortolano Ribordy