Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

Strafrechtliche Abteilung, Beschwerde in Strafsachen 6B.231/2008
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Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal

{T 0/2}
6B_231/2008

Sentenza del 27 aprile 2009
Corte di diritto penale

Composizione
Giudici federali Favre, presidente,
Schneider, Wiprächtiger, Ferrari, Mathys,
cancelliera Ortolano.

Parti
A.________,
ricorrente, patrocinato dall'avv. Filippo Ferrari,

contro

B.B.________,
C.B.________,
opponenti,
entrambi patrocinati dall'avv. Salvatore Maurizio Curcio,
Ministero pubblico del Cantone Ticino, Palazzo di giustizia, via Pretorio 16,
6901 Lugano,
opponente.

Oggetto
Principio accusatorio; arbitrio; omicidio colposo,

ricorso in materia penale contro le sentenze del
22 marzo 2007 e del 17 marzo 2008 emanate
dalla Corte di cassazione e di revisione penale
del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

Fatti:

A.
A.a Avendo superato le 40 settimane di gestazione, l'11 gennaio 2001
C.B.________ veniva ricoverata all'ospedale E.________ di X.________ per
sottoporsi all'induzione del travaglio.

Il 12 gennaio 2001 la gestante veniva sottoposta a una terapia di stimolazione
farmacologica, interrotta nel pomeriggio a seguito della constatazione
dell'insufficiente progressione del pretravaglio.

Il trattamento di induzione artificiale veniva ripreso sin dalle prime ore del
mattino del 13 gennaio 2001 con somministrazione di medicamenti. Verso le ore
10:20 il dr. A.________ decideva di procedere all'amnioressi. Questa veniva
eseguita tra le ore 10:36 e le 10:38. In quel frangente, erano presenti in sala
parto C.B.________, suo marito, la levatrice F.________, il dr. A.________ e la
sua assistente dr.ssa G.________.
A.b Pochi attimi dopo la rottura della membrana amniotica si verificava una
marcata decelerazione del battito cardiaco fetale. Accortasi dell'anomalia, la
levatrice la comunicava immediatamente al medico che stava per abbandonare la
sala parto. Normalizzatosi il battito fetale, il dr. A.________ lasciava la
sala parto alle ore 10:42 affidando la paziente all'ostetrica. Prima di uscire
il ginecologo ordinava alla dr.ssa G.________, medico assistente in ginecologia
e ostetricia, di occuparsi degli altri pazienti degenti in ospedale.

Il tracciato cardiotocografico (CTG) segnalava nuove importanti decelerazioni
del battito cardiaco fetale alle ore 10:50, 10:53 e 11:00.

Verso le ore 11:07 si verificava un nuovo tracollo del battito cardiaco.
F.________ visitava allora la partoriente, facendola distendere in posizione di
Trendelenburg, ossia con le gambe rialzate rispetto alla testa, in modo da
tentare di diminuire la pressione del corpo del bambino sul follicolo.

Alle ore 11:11 F.________ contattava il dr. A.________ sul cellulare per
avvertirlo di quanto scoperto e chiedergli di rientrare subito in ospedale. Il
medico affermava che sarebbe rientrato subito, ma non forniva alla levatrice
alcuna disposizione su come comportarsi nell'attesa.
Il dr. A.________ giungeva in sala parto alle ore 11:32/11:33, 20 minuti circa
dopo la telefonata. Procedeva senza indugio a effettuare a sua volta una visita
ginecologica per verificare se vi fosse effettivamente qualcosa di irregolare,
rispettivamente se l'ipotesi avanzata dalla levatrice di prolasso del funicolo
fosse fondata. Da questo esame non emergeva alcuna anomalia.
A.c Dal ritorno del ginecologo in sala parto, il tracciato CTG registrava altre
7 decelerazioni associate ad altrettante contrazioni e risalite ai livelli di
partenza. La prima avveniva alle ore 11:35, la seconda alle 11:42, la terza
alle 11:45, la quarta alle 11:52, la quinta alle 11:57. Le ultime due
decelerazioni si verificavano alle ore 12:02/12:03 e alle ore 12:05 quando la
frequenza toccava una punta minima di poco sopra 55 bpm.
A.d Alle ore 12:10, il dr. A.________ decideva di effettuare una seconda
ispezione ginecologica per appurare a quale stadio si trovasse l'evoluzione del
parto. Non appena introdotto il dito indice nel canale uterino, egli si
accorgeva del prolasso del cordone ombelicale. Capendo la gravità della
situazione, il medico ordinava subito alla levatrice di adottare le misure
organizzative per procedere all'intervento chirurgico d'urgenza. Quest'ultima
telefonava direttamente in sala operatoria, contravvenendo alla procedura dei
giorni festivi che imponeva il componimento del numero interno 111.
A.e Pochi istanti dopo la diagnosi, il ginecologo trasportava personalmente la
partoriente in sala operatoria (a una decina di metri dalla sala parto). Né
l'anestesista né la sua assistente erano presenti, probabilmente perché ancora
all'oscuro dell'intervento d'urgenza, non essendo stato attivato il numero 111.
Verso le ore 12:28/12:30, giungeva in sala operatoria l'anestesista di
picchetto, sostituto del titolare. I tempi venivano ulteriormente dilatati di
qualche minuto (tra 6 e 8 minuti) a causa delle difficoltà dell'anestesista
nell'attivare i macchinari. Alle 12:36 il dr. A.________ procedeva
all'operazione chirurgica. Due minuti dopo, il neonato veniva estratto dal
grembo materno e affidato all'équipe pediatrica.
A.f Da subito le condizioni del neonato sono apparse critiche. Un'ora dopo il
parto, il bambino ha cominciato a presentare crisi epilettiche con tremolio
grossolano irregolare delle estremità. Cinque mesi dopo il parto, il 7 giugno
2001 alle ore 00:05 D.B.________ è deceduto all'Ospedale H.________ di
Y.________.

Secondo i referti autoptici, la causa finale della morte del neonato è stata
"un'insufficienza respiratoria su estesa polmonite", originatasi da infezioni
recidivanti per mancanza di riflessi protettivi della tosse e della
deglutizione, a loro volta risultato della grave patologia neurologica
conseguente al parto, patologia concretizzata in tetraplegia, epilessia e
completa dipendenza dalle cure intensive.

B.
Con decreto d'accusa del 22 novembre 2002 il Procuratore pubblico dichiarava il
dr. A.________ autore colpevole di omicidio colposo per avere cagionato, per
negligenza, la morte del piccolo D.B.________ (nato il 13 gennaio 2001), e
meglio per avere in data 13 gennaio 2001, in occasione del travaglio pre-parto
della madre, signora C.B.________, presso l'ospedale E.________ di X.________,
tenuto una condotta sanitaria imprudente e in contrasto con le regole dell'arte
medica.

In applicazione della pena, il Procuratore pubblico proponeva la condanna del
dr. A.________ a 90 giorni di detenzione, sospesi condizionalmente per un
periodo di prova di 2 anni. La parte civile veniva rinviata al competente foro
per le proprie pretese risarcitorie.

Il dr. A.________ sollevava opposizione al suddetto decreto.

C.
Previa discussione sull'eccezione della difesa sulla pretesa violazione del
principio accusatorio, al dibattimento il Giudice della Pretura penale
completava il decreto d'accusa aggiungendo il seguente punto:

- per aver attivato con ritardo il personale sanitario della sala operatoria
indispensabile per l'effettuazione dell'intervento di taglio cesareo.

Con sentenza del 10 novembre 2005, in applicazione del principio in dubio pro
reo, il Giudice della Pretura penale assolveva il dr. A.________
dall'imputazione di omicidio colposo e respingeva le pretese di risarcimento
avanzate dalla parte civile.

D.
Adita dal Procuratore pubblico, con sentenza del 22 marzo 2007 la Corte di
cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino
(CCRP) ne accoglieva il ricorso, annullava la decisione del Giudice della
Pretura penale e riconosceva il dr. A.________ autore colpevole di omicidio
colposo. La CCRP rinviava gli atti a un nuovo giudice della Pretura penale per
commisurare la pena del condannato e statuire sugli oneri processuali.

In sostanza, la Corte rimproverava al ginecologo l'omessa manipolazione
precauzionale per contenere il deflusso del liquido amniotico dopo
l'amnioressi, allo scopo di contrastare lo schiacciamento del funicolo da parte
del corpo del bambino, nonché l'abbandono prematuro della sala parto da parte
del medico malgrado la marcata decelerazione del battito cardiaco fetale.
L'autorità cantonale biasimava inoltre l'ingiustificato attendismo del medico
(mancata messa in preallarme della sala operatoria e mancata istruzione della
levatrice) sulle misure da prendere in attesa del suo rientro in ospedale. Essa
criticava altresì il ginecologo per non aver, nemmeno al suo rientro in
ospedale, attivato il meccanismo di allerta in modo tale da assicurare
l'operatività dell'équipe medica nel momento critico.

Esaminando il nesso causale tra le lesioni del bambino e le omissioni
rimproverate al medico, la CCRP affermava che il mancato tempestivo intervento
del taglio cesareo era stato la condicio sine qua non della morte del piccolo
D.B.________. Essa precisava che contenere il deflusso del liquido amniotico
con la mano avrebbe potuto evitare lo schiacciamento del funicolo e un attento
monitoraggio della paziente avrebbe consentito di aumentare le possibilità di
diagnosticare il prolasso per tempo. Disattendendo tali prescrizioni, il dr.
A.________ aveva contribuito ad accrescere i rischi per il neonato. Dare poi
istruzioni precise alla levatrice in attesa del suo ritorno, dopo avere
lasciato in modo incomprensibile l'ospedale circa mezz'ora prima,
sollecitandola a far rientrare il medico assistente precipitosamente congedata
nonostante i segnali d'allarme, avrebbe verosimilmente portato a una situazione
meno improvvisata, accrescendo perciò le probabilità di guarigione e
assicurando al piccolo uno specialista in loco durante l'assenza
(ingiustificata) del ginecologo. Preallertare la sala operatoria avrebbe infine
permesso di operare seduta state se se ne fosse presentata la necessità.

E.
Avverso la sentenza di condanna il dr. A.________ inoltrava un ricorso in
materia penale al Tribunale federale che, con sentenza 6B_138/2007 del 27
ottobre 2007, dichiarava inammissibile, in quanto l'avversato giudizio non
costituiva una decisione impugnabile ai sensi degli art. 90 segg. LTF.

F.
L'11 gennaio 2008 il Giudice della Pretura penale condannava il dr. A.________
alla pena pecuniaria di 75 aliquote giornaliere di fr. 350.-- ciascuna per un
totale di fr. 26'250, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due
anni, nonché a una multa di fr. 10'000.--, fissando in 100 giorni la pena
detentiva sostitutiva in caso di mancato pagamento. A.________ veniva altresì
condannato al pagamento delle tasse e spese giudiziarie di fr. 9'084.--.

G.
Con sentenza del 17 marzo 2008 la CCRP respingeva, nella misura della sua
ammissibilità, il ricorso presentato dal condannato.

H.
Con tempestivo ricorso in materia penale A.________ si aggrava al Tribunale
federale. Postula l'annullamento delle sentenze emanate il 22 marzo 2007 e il
17 marzo 2008 dalla CCRP, della sentenza resa l'11 gennaio 2008 dal Giudice
della Pretura penale e chiede il suo proscioglimento dall'accusa di omicidio
colposo.

I.
Invitati a esprimersi sul gravame, la CCRP rinuncia a formulare osservazioni e
si rimette al giudizio del Tribunale federale; il Procuratore pubblico postula
la conferma delle sentenze di condanna senza formulare particolari
osservazioni; le parti civili chiedono che il ricorso sia respinto.

Diritto:

1.
1.1 Il ricorrente contesta innanzitutto la mancata estromissione dal processo
di primo grado della parte civile. Fondandosi sulla convenzione conclusa il 7
giugno 2005 tra l'assicurazione del medico e dell'ente ospedaliero e i genitori
del piccolo D.B.________, egli ritiene che questi ultimi non potessero più
pretendere alla loro veste di parte civile nel procedimento a suo carico,
essendo sprovvisti di qualsiasi pretesa residuale di risarcimento. All'apertura
del dibattimento, l'insorgente ha chiesto quindi la loro estromissione.
Rimprovera il Giudice della Pretura penale per aver arbitrariamente respinto la
sua richiesta adducendo la possibile esistenza di ulteriori o più ampie
rivendicazioni pecuniarie dei coniugi B.________ e critica la CCRP per aver
sovvertito, a suo detrimento, la decisione di assoluzione di prima istanza,
senza previamente esaminare l'eccezione che egli aveva sollevato al cospetto
del primo giudice. Di conseguenza, a mente del ricorrente, il processo sarebbe
nullo.

1.2 Il Tribunale federale ha già avuto l'occasione di affermare che
l'ammissione al processo penale della parte civile può comportare per
l'accusato degli svantaggi consistenti segnatamente in un prolungamento della
procedura o in una sua maggiore complessità. Ciò nonostante l'accusato non è
per questo leso nella propria situazione giuridica; di regola e salvo
circostanze particolari, si tratta di semplici svantaggi di fatto che non
ledono l'accusato nei suoi interessi giuridicamente protetti (sentenza 1P.582/
1994 del 12 ottobre 1994 e sentenza 1P.461/1994 del 30 settembre 1994). Nella
fattispecie, il ricorrente si limita a sostenere che la parte civile è
intervenuta molto attivamente nel processo, opponendosi sistematicamente a
tutte le richieste, istanze e eccezioni dell'accusato davanti al primo giudice,
giudice che però ha statuito in favore dello stesso accusato prosciogliendolo
dall'imputazione di omicidio colposo. L'insorgente non tenta nemmeno di
dimostrare più precisamente in che modo gli interventi della parte civile
avrebbero inciso sulla sentenza di secondo grado, atteso che il ricorso per
cassazione inoltrato dalla parte civile è decaduto per la mancata motivazione
della dichiarazione di ricorso. In particolare, il ricorrente non sostiene che
i fatti, o parte di essi, siano stati accertati sulla sola scorta delle misure
d'istruzione richieste dalla parte civile. In simili circostanze, la
motivazione del ricorso risulta carente, l'insorgente non dimostrando né in che
modo e misura la sua situazione giuridica sia stata modificata, né in che
maniera l'intervento della parte civile nel processo di primo grado - il cui
esito del resto gli era favorevole - abbia avuto un'effettiva incidenza sulla
sentenza di condanna pronunciata dalla CCRP. Difettando di una motivazione
sufficiente, la censura è inammissibile.

2.
Il ricorrente lamenta in seguito la violazione dell'art. 6 CEDU, in particolare
la violazione del diritto di essere sentito e del principio della parità delle
armi. Queste garanzie sarebbero state disattese perché l'insorgente non ha
potuto consultare la risposta dei periti giudiziari alle perizie di parte
sottoposte loro dal Procuratore pubblico.

2.1 L'incarto cantonale comprende i seguenti documenti medici: perizia
I.________-J.________ dell'agosto 2002, allestita su richiesta del Procuratore
pubblico; perizia K.________ del 7 maggio 2003, allestita su richiesta del
ricorrente; valutazione del tracciato CTG da parte del dr. L.________ datata 19
dicembre 2003 e fornita su richiesta del ricorrente; interpretazione della
cardiotocografia (CTG) del 15 dicembre 2003 del dr. M.________; valutazione del
tracciato CTG, del 22 dicembre 2003, effettuata dal dr. N.________ su richiesta
del ricorrente; valutazione del tracciato CTG realizzata dal dr. O.________ il
15 gennaio 2004 su richiesta del ricorrente; valutazione del tracciato CTG del
16 febbraio 2004 effettuata dal dr. P.________ su richiesta del ricorrente.
Ora, l'insorgente non sostiene né tenta di dimostrare l'esistenza di un
ulteriore documento in cui i periti I.________ e J.________ si sarebbero
espressi sugli atti da lui prodotti. La critica non verte dunque sull'accesso
del ricorrente ad atti dell'incarto penale che sarebbero stati, per ipotesi,
tenuti segreti.

Il ricorrente non contesta che i periti I.________ e J.________ fossero
presenti al dibattimento davanti al Giudice della Pretura penale. Non sostiene
di essere stato impedito di interrogare questi periti e di aver potuto
confrontare la loro opinione a quella, segnatamente, del dr. K.________ che è
stato ascoltato in contraddittorio, così come i periti giudiziari (v. verbale
del dibattimento del 10 novembre 2005 pag. 7). Si tratta quindi unicamente di
sapere se il diritto di essere sentito dell'insorgente gli garantiva la
possibilità di disporre, prima del dibattimento, di prese di posizione scritte
dei periti giudiziari sulla documentazione prodotta dal ricorrente, in
particolare sull'opinione espressa dal perito di parte.

2.2 A differenza dei periti ufficiali, il perito privato è il perito di una
parte. Il suo rapporto non costituisce, in definitiva, che un'allegazione di
parte (DTF 97 I 320 consid. 3 pag. 325). Nell'ambito della procedura penale, è
stato giudicato non lesivo del diritto di essere sentito dell'accusato il fatto
che i periti ufficiali avevano potuto prendere posizione sulle allegazioni del
perito di parte, mentre a quest'ultimo non era stato concesso di potersi
pronunciare a sua volta per iscritto sulle determinazioni del perito ufficiale.
Del resto, sotto il profilo dei principi di un equo processo e della parità
delle armi, bastava che l'esperto privato avesse potuto determinarsi oralmente
sul rapporto ufficiale (DTF 127 I 73). In definitiva, è quindi sufficiente, una
volta preso atto delle opinioni dei periti privati e ufficiali, che il
confronto delle loro posizioni possa svolgersi al dibattimento, foss'anche
oralmente, come avvenuto nel caso concreto. La censura è quindi infondata.

3.
Il ricorrente si duole pure della violazione del principio accusatorio. Non
sostiene, o comunque non in modo sufficientemente motivato, che il diritto
cantonale di procedura gli accordi una protezione più vasta di quella che egli
può dedurre dalla Costituzione federale e dalla CEDU delle cui disposizioni si
prevale. È pertanto sufficiente esaminare le sue critiche alla luce delle norme
federali e convenzionali invocate.

3.1 Il processo penale moderno è basato sul principio accusatorio. Esso può
pertanto essere celebrato soltanto se un'autorità distinta da quella giudicante
ha dapprima raccolto, nell'ambito di una procedura preliminare, gli elementi di
fatto e le prove rilevanti e ha in seguito sottoposto al giudizio di un giudice
i reati contestati all'imputato in un atto d'accusa. L'atto (rispettivamente il
decreto) di accusa assolve dunque una doppia funzione: da un lato circoscrive
l'oggetto del processo e del giudizio, dall'altro garantisce i diritti della
difesa (DTF 133 IV 235 consid. 6.2 pag. 244; 126 I 19 consid. 2a pag. 21 e
rinvii). In quanto espressione del diritto di essere sentito, contemplato
dall'art. 29 cpv. 2 Cost., il principio accusatorio può essere anche dedotto
dagli art. 32 cpv. 2 Cost. e 6 n. 3 CEDU, i quali non esplicano tuttavia
portata distinta. Questo principio implica che il prevenuto sappia esattamente
quali fatti gli sono rimproverati e a quali pene e misure rischia di essere
condannato, dimodoché possa adeguatamente far valere le sue ragioni e preparare
efficacemente la sua difesa (DTF 126 I 19 consid. 2a pag. 21). Il principio
accusatorio non impedisce all'autorità giudiziaria di scostarsi dai fatti o
dalla qualificazione giuridica ritenuti nell'atto d'accusa, a condizione
tuttavia che vengano rispettati i diritti della difesa (DTF 126 I 19 consid. 2a
e 2c). Il principio è leso quando il giudice si fonda su una fattispecie
diversa da quella indicata nell'atto di accusa, senza che l'imputato abbia
avuto la possibilità di esprimersi sull'atto di accusa adeguatamente e
tempestivamente completato o modificato (DTF 126 I 19 consid. 2c). Se
l'accusato è condannato per un'infrazione diversa da quella indicata nell'atto
d'accusa, occorre esaminare se egli poteva, tenuto conto delle circostanze del
caso concreto, prevedere questa nuova qualificazione giuridica dei fatti, in
caso affermativo non sussiste alcuna violazione dei diritti della difesa (DTF
126 I 19 consid. 2d/bb pag. 24).

3.2 Nella fattispecie, il ricorrente intravede una violazione dei diritti testé
esposti nella completazione dell'atto d'accusa operato dal Giudice della
Pretura penale - deciso dopo l'escussione dei periti - con l'aggiunta di un
ulteriore punto, e cioè il rimprovero di "aver attivato con ritardo il
personale sanitario della sala operatoria indispensabile per l'effettuazione
dell'intervento di taglio cesareo". L'insorgente si duole viepiù del rifiuto
del giudice di accogliere, dopo aver completato l'accusa su questo punto, la
richiesta di rimando del dibattimento formulata dalla difesa.

3.3 In concreto, la qualificazione giuridica dell'infrazione rimproverata al
ricorrente figurava dall'inizio nel decreto d'accusa. Era nota all'insorgente.
Il decreto d'accusa formulava parimenti il rimprovero generale d'aver "tenuto
una condotta sanitaria imprudente e in contrasto con le regole dell'arte
medica", in seguito precisava: "in particolare per avere: intempestivamente
proceduto alla rottura artificiale delle membrane amniotiche (cd. "amnioressi")
alle ore 10:38, in presenza di situazione ostetrica sfavorevole (mobile fetale
ancora troppo alto nello scavo pelvico); omesso l'effettuazione del complesso
di manovre ostetriche atte a limitare il prolasso del funicolo (cordone)
ombelicale e le sue conseguenze, in particolare per aver omesso di contenere
con mano in vagina una fuoriuscita troppo rapida del liquido amniotico, con
conseguente trascinamento di un'ansa del funicolo; omesso di sorvegliare la
paziente, nonostante una prima decelerazione del battito cardiaco fetale
avvenuta subito dopo l'amnioressi, abbandonando la sala parto dopo soli 4
minuti da tale operazione; omesso la diagnosi della grave sofferenza fetale
acuta, successiva all'amnioressi, se non dopo ca. 1 ora e 40 minuti (ore
12:10), vale a dire quando la grave asfissia peripartale in seguito al prolasso
del cordone ombelicale aveva, con ogni verosimiglianza, cagionato gravi lesioni
cerebrali irreversibili al feto; con la conseguenza che il piccolo D.B.________
subiva gravi danni neurologici che resero necessario il suo immediato
trasferimento al Q.________ di Z.________ e ne determinavano la successiva
morte in data 7 giugno 2001 presso l'Ospedale H.________".

Risultava quindi già chiaramente dal decreto di accusa, nella sua formulazione
iniziale, che al ricorrente veniva rimproverato un omicidio colposo in
relazione alla violazione delle regole dell'arte medica in occasione del
travaglio per il parto della madre della vittima. Occorre ora esaminare se la
completazione dell'atto d'accusa, mediante l'aggiunta di un'ulteriore
violazione delle regole dell'arte, poteva sorprendere il ricorrente al punto da
impedirgli di esercitare compiutamente i suoi diritti della difesa. A questo
proposito, bisogna rilevare come la perizia giudiziaria avesse servito da base
per la formulazione del decreto d'accusa e menzionasse già il rimprovero
relativo al ritardo nell'attivazione del personale sanitario indispensabile
all'intervento di taglio cesareo (perizia I.________-J.________ pag. 14).
Analogamente, il perito privato del ricorrente evidenziava che "l'origine della
grave asfissia è da ricercarsi, quindi, chiaramente nel ritardo con cui è stato
dato inizio all'intervento operatorio dopo aver deciso di eseguire un taglio
cesareo urgente" (perizia K.________, versione italiana, pag. 7). In simili
circostanze, il ricorrente non poteva non considerare che, sotto il profilo
medico, potesse essergli rimproverato di aver attivato tardivamente il
personale della sala operatoria. Il rimprovero relativo a questa particolare
violazione delle regole dell'arte medica non era dunque così estraneo
all'incarto da rendere la completazione del decreto d'accusa su questo punto
una sorpresa tale per il ricorrente dall'impedire od ostacolare l'esercizio dei
suoi diritti della difesa. D'altronde risulta che, ancor prima della contestata
aggiunta al decreto d'accusa, il ricorrente abbia potuto richiedere e ottenere
una perizia privata, anche se in definitiva gli si è rivelata sfavorevole su
questo punto. Egli si è parimenti potuto esprimere sul principio e il contenuto
della testimonianza del dr. R.________ (verbale del dibattimento del 10
novembre 2005 pag. 12) che si è espresso sull'organizzazione dei preallarmi del
personale specialistico in vista della possibilità di procedere a un taglio
cesareo d'urgenza (sentenza del 10 novembre 2005 consid. 36 pag. 37 seg.). Non
si scorge dunque in cosa il ricorrente - che non espone di quali altre misure
d'istruzione sia stato privato - sarebbe stato spogliato dell'esercizio dei
suoi diritti della difesa. La critica cade quindi nel vuoto.

4.
L'insorgente rimprovera poi alla CCRP di aver ritenuto che egli non avesse
eseguito correttamente la manipolazione precauzionale, successiva
all'amnioressi, volta a contenere il deflusso del liquido amniotico. Egli
evidenzia come il giudice di prima istanza fosse giunto alla conclusione
opposta e considerato che, a seguito delle testimonianze dei periti, il
rimprovero relativo alla mancata effettuazione del complesso di manovre
ostetriche atte a limitare il prolasso del funicolo si fosse rivelato infondato
(sentenza del 10 novembre 2005 consid. 30 pag. 33).

4.1 Il ricorrente rileva a qualche ripresa che la CCRP era vincolata dagli
accertamenti di fatto del giudizio di prima istanza. Mancando qualsiasi
riferimento alle disposizioni topiche del codice di procedura penale cantonale
e qualsiasi approfondimento su questo punto, non v'è ragione di vagliare il
ricorso sotto il profilo di un'eventuale applicazione arbitraria delle norme di
procedura cantonale (v. art. 106 cpv. 2 LTF). La doglianza va quindi intesa
come una censura di arbitrio nella valutazione delle prove effettuata dalla
CCRP.

4.2 È innanzitutto opportuno osservare che la perizia I.________-J.________
evidenzia il rischio di prolasso del cordone ombelicale qualora l'amnioressi
sia effettuata quando la parte presentata non è bene impegnata e non si bada a
evitare, con la mano introdotta nella vagina, una fuoriuscita troppo rapida di
liquido amniotico (perizia giudiziaria pag. 8-9). La perizia aggiunge pure che
nella fattispecie una simile manovra non risultava essere stata effettuata, il
dr. A.________ essendosi allontanato dalla sala parto circa 4 minuti dopo aver
eseguito l'amnioressi. La perizia privata prodotta dal ricorrente non
contraddice questa valutazione. In quest'ultima perizia si legge che non si
evince dalla cartella clinica della signora C.B.________ che la manovra
precauzionale sia stata effettuata (perizia K.________, versione italiana, pag.
2) e che l'abbandono evidentemente prematuro della partoriente da parte del dr.
A.________ (circa 4 minuti dopo l'esecuzione dell'amnioressi) parla a sfavore
dell'esecuzione di tale precauzione (idem, pag. 3). Alla luce di perizie
concordanti su questo aspetto, non era dunque arbitrario ritenere che, da un
lato, la manovra precauzionale descritta fosse indicata nelle circostanze del
caso concreto e che, dall'altro, il ricorrente non l'avesse eseguita. Su questo
punto, il ricorrente non può dedurre alcunché in suo favore
dall'interpretazione fornita alle sue stesse dichiarazioni relative alla
presenza o meno della mano, al controllo del deflusso delle acque e
all'utilizzo delle dita per verificare la presenza o meno del cordone
ombelicale in quel momento. Queste sue dichiarazioni sono in sostanza
contraddette dalla perizia da lui stesso commissionata, sicché non è arbitrario
scostarsene.

Ciò posto, non è possibile rimproverare alla CCRP di essere incorsa in arbitrio
per aver considerato che, se la rottura della membrana amniotica è stata
eseguita correttamente sia per la scelta del momento che per l'esecuzione come
tale dell'operazione, altrettanto non si può affermare della successiva
manipolazione precauzionale per contenere il deflusso del liquido amniotico. Il
ricorrente non può dedurre alcunché in suo favore nemmeno dalla constatazione
del giudice di prima istanza per cui i periti hanno accertato che l'addebito di
aver omesso di contenere con mano in vagina una fuoriuscita troppo rapida del
liquido amniotico si è rivelato infondato. La semplice opinione del giudice non
permette da sola di dimostrare che l'opinione contraria è arbitraria.
D'altronde, la CCRP ha esposto in modo dettagliato le ragioni per cui riteneva
infondata la conclusione del primo giudice, sottolineando che se nel corso del
dibattimento i periti hanno convenuto che è impossibile contenere la
fuoriuscita del liquido amniotico mantenendo le dita in vagina e che
l'operazione ha come scopo quello di evitare (respingendo se del caso la testa
con le dita) che con l'uscita delle acque il cordone ombelicale venga
schiacciato dal corpo del bimbo, contenere il deflusso delle acque appariva per
contro possibile con la mano intera, conformemente a quanto si evinceva dalle
perizie (sentenza del 22 marzo 2007, consid. 8b pag. 15). La censura è quindi
infondata.

5.
Il ricorrente critica in seguito la CCRP per avergli rimproverato di aver
prematuramente abbandonato la sala parto dopo aver effettuato l'amnioressi.
Egli non contesta di essersene andato. Non contesta nemmeno di essersi
allontanato dalla sala 4 minuti dopo la rottura artificiale della membrana
amniotica. Precisa tuttavia che, secondo le dichiarazioni dibattimentali del
perito K.________, la sua presenza in sala parto dopo questa operazione
s'imponeva essenzialmente per motivi di natura psicologica (necessità di
rinfrancare la paziente).

A prescindere dalle ragioni addotte dall'esperto per giustificare la necessità
di restare vicino alla paziente, esse consentono nondimeno di qualificare di
prematuro l'abbandono della sala parto da parte del ginecologo. Per il resto,
l'argomentazione del ricorrente concerne il nesso causale tra il suo
allontanamento dopo l'amnioressi e la morte del bambino. Su questo punto si
tornerà in seguito in relazione alle questioni attinenti alla causalità
naturale (v. infra consid. 7).

6.
L'insorgente rimprovera ancora alla CCRP di aver ritenuto a suo carico un
ingiustificato attendismo per non aver messo in preallarme la sala operatoria.

6.1 L'insorgente si prevale anzitutto delle affermazioni del dr. R.________,
sentito dal Giudice della Pretura penale nel corso del dibattimento. Nella
sentenza del 10 novembre 2005 vengono riprese le dichiarazioni del teste dr.
R.________, attivo da alcuni decenni nell'ospedale E.________ di X.________. Il
teste ha affermato che tra i diversi ospedali esistono prassi differenti, in
ragione, tra l'altro, delle caratteristiche morfologiche degli istituti. Egli
ha illustrato come nel nosocomio in questione non si sia mai ricorsi a un
preallarme del personale specialistico in vista della possibilità di procedere
a un taglio cesareo d'urgenza. Difatti, la sala parto e quella operatoria sono
sullo stesso piano e distano pochissimi metri, per cui si può passare in
brevissimo tempo dall'una all'altra. Inoltre il sistema di chiamata attraverso
il numero telefonico interno 111 ha sempre funzionato. L'unico caso che egli
ricorda in cui vi sono stati problemi è proprio quello qui in discussione. A
dire del dr. R.________, il ricorrente non avrebbe dunque avuto motivo di
preallertare la sala operatoria.

6.2 Nella misura in cui l'insorgente si limita a opporre l'opinione del teste
R.________ a quelle dei periti di parte e giudiziari sulle quali la Corte
cantonale ha fondato il suo giudizio, la sua argomentazione risulta
sostanzialmente appellatoria e dunque inammissibile. È comunque possibile
osservare che il fatto che la sala operatoria sia poco distante dalla sala
parto non è determinante nel caso specifico. L'intervento essendo avvenuto
durante la fine settimana (un sabato), l'esistenza di una procedura di chiamata
diversa (numero telefonico interno 111 anziché il numero diretto della sala
operatoria) dimostra precisamente che in simili circostanze, il ginecologo non
poteva contare sulla presenza del personale adeguato pronto a intervenire in
sala operatoria o nelle immediate vicinanze, sebbene il personale sia, come
sostiene il ricorrente, di picchetto. Quest'ultima allegazione non trova
peraltro alcun riscontro nella sentenza cantonale e neppure le affermazioni per
cui il personale in questione era costantemente raggiungibile e disponibile a
pochi metri dalla sala in cui sarebbe dovuto intervenire. Del resto, anche se
il personale si trovava a breve distanza, questo non significava ancora che
l'équipe al completo fosse pronta ad agire a breve con il materiale necessario,
come dimostra l'evolversi degli eventi nel caso concreto. In fine, l'esistenza
o meno di una procedura formale prestabilita per informare il personale non
dispensava il ricorrente, posto di fronte a una particolare situazione, di
prendere le misure adeguate volte a ridurre al massimo i tempi d'intervento.
Nella misura in cui è ammissibile, la censura è quindi infondata.

7.
Nel gravame viene inoltre contestata l'esistenza di un nesso causale tra le
omissioni rimproverate al ricorrente e il decesso della vittima. In relazione a
talune omissioni la CCRP si è fondata sulla teoria del rischio accresciuto
(Risikoerhöhungstheorie). Secondo la giurisprudenza, il campo d'applicazione di
questa teoria è limitato ai casi in cui è necessario valutare lo svolgimento
ipotetico dei fatti sul quale non è possibile raccogliere, sotto il profilo
probatorio, delle dichiarazioni, in particolare qualora occorra determinare
quale sarebbe stato il processo di guarigione di un'affezione se la diagnosi e
il trattamento fossero stati corretti (DTF 116 IV 306 consid. 2c; sentenza
6P.140/1999 del 21 dicembre 1999 pubblicata in Rep. 1999 101, consid. 4b; ). La
fattispecie in esame pone precisamente questo tipo di questione, dal momento
che si tratta di determinare quale sarebbe stato lo stato di salute della
vittima se fossero state adottate le diverse misure di prudenza, soprattutto di
ordine medico. Il ricorrente non solleva alcuna specifica censura in merito. La
sua argomentazione verte essenzialmente sull'esistenza stessa di un nesso
causale.

7.1 Gli accertamenti di fatto della sentenza della CCRP afferenti la causalità
naturale si fondano essenzialmente sull'analisi compiuta dai periti giudiziari,
senza dimenticare tuttavia quella del perito di parte nonché le altre opinioni
mediche prodotte dal ricorrente. Ora, l'insorgente non tenta di dimostrare che
globalmente la perizia giudiziaria non sarebbe probante per quel che concerne
l'insieme dei fatti accertati, che essa sarebbe contraddittoria nelle sue
conclusioni o che sarebbe sprovvista di qualsiasi forza probatoria. Egli non
rimprovera nemmeno alla CCRP di aver statuito senza disporre di una
superperizia. Evidenzia le rispettive formazioni e specializzazioni dei periti
giudiziari (uno specialista in medicina legale e un medico universitario), ma
egli stesso fa comunque riferimento all'opinione dei periti giudiziari nella
misura in cui gli è favorevole (segnatamente in relazione alla corretta
esecuzione dell'amnioressi; ricorso pag. 37). Peraltro, la valutazione delle
cause del decesso rientrava con ogni evidenza nelle competenze di uno
specialista in medicina legale e il solo fatto che uno specialista eserciti
nell'ambito universitario non permette di concludere che sia scollegato con le
difficoltà quotidiane dell'attività medica, i centri ospedalieri universitari
essendo per definizione degli istituti di cura e dunque incentrati non solo
sull'insegnamento e la ricerca, ma anche sulla pratica medica. D'altronde, il
ricorrente neppure cerca di dimostrare che il perito in questione avrebbe
svolto delle funzioni puramente accademiche nel corso della sua attività
professionale. Nell'argomentazione del gravame non si scorge pertanto nessuna
critica sufficientemente motivata che permetta di dubitare del valore dei
documenti medici sui quali la Corte cantonale si è fondata, anche se la
valutazione dei periti diverge su taluni punti, in particolare
sull'interpretazione dei tracciati CTG. Occorre quindi unicamente esaminare se
la conclusione a cui è giunta la CCRP è arbitraria alla luce degli elementi di
cui disponeva.

7.2 La CCRP ha innanzitutto vagliato il carattere causale del ritardo
accumulato tra il momento in cui il ricorrente ha diagnosticato il prolasso del
funicolo (ore 12:10) e quello in cui il taglio cesareo è stato effettuato (ore
12:36). Riferendosi alle concordanti conclusioni dei periti giudiziari e di
parte, la Corte ha ritenuto che il mancato tempestivo intervento di taglio
cesareo è stato la condicio sine qua non della morte del piccolo D.B.________
(sentenza del 22 marzo 2007, consid. 12b pag. 29), precisando che su tale
aspetto non v'è mai stata contestazione. Ciò che il ricorrente non critica,
dichiarandosi assolutamente d'accordo con l'affermazione per cui, se la sala
operatoria fosse stata pronta quando è stata richiesta, il bambino si sarebbe
salvato (ricorso pag. 46). Non v'è pertanto motivo di scostarsi da questo
accertamento di fatto, sufficiente da solo per fondare un verdetto di
colpevolezza, riservato il caso di interruzione del nesso causale.

7.3 La CCRP ha tuttavia viepiù esaminato, sotto il profilo della teoria del
rischio accresciuto, la causalità delle altre omissioni rimproverate al
ricorrente.
7.3.1 Essa ha ritenuto che un contenimento del deflusso del liquido amniotico
con la mano e un attento monitoraggio della paziente avrebbero permesso di
evitare lo schiacciamento del funicolo, rispettivamente di aumentare le
possibilità di diagnosticare il prolasso per tempo. Disattendendo tali
prescrizioni, il ricorrente ha contribuito ad accrescere i rischi per il
bambino. Inoltre, fornire istruzioni precise alla levatrice in attesa del suo
ritorno, dopo avere lasciato in modo incomprensibile l'ospedale circa mezz'ora
prima, e domandarle di far rientrare il medico assistente, precipitosamente
congedata malgrado i segnali d'allarme, avrebbe verosimilmente portato a una
situazione meno improvvisata e accresciuto perciò le chances di guarigione del
bambino. Preallertare la sala operatoria avrebbe consentito di operare seduta
stante se, come è successo, se ne fosse presentata la necessità. Infine, un
atteggiamento più attivo sia al suo rientro in ospedale che dopo la diagnosi di
prolasso avrebbe permesso di intervenire chirurgicamente entro breve o/e
alleviare la sofferenza fetale in questa attesa. Le omesse corrette condotte
mediche si sono così rivelate causali.
7.3.2 Il ricorrente non rimette in discussione l'esistenza del nesso causale
ritenuto dalla Corte cantonale per quel che concerne la manovra tesa a
contenere il deflusso del liquido amniotico con la mano. Non è dunque
necessario attardarsi su questo punto.
7.3.3 L'insorgente contesta invece che esista un nesso causale con l'omissione
di monitorare con attenzione la paziente. Egli rivela che il ragionamento della
CCRP sottintende che se il ginecologo fosse rimasto in sala parto, avrebbe
potuto diagnosticare il prolasso per tempo. Sennonché, obietta il ricorrente,
non è dato di sapere in che momento sia avvenuto il prolasso (ricorso pag.
43-44).

Le opinioni largamente divergenti dei periti sulla lettura dei tracciati CTG
fanno dubitare della conclusione a cui è giunta la CCRP, laddove ha ritenuto
che un attento monitoraggio della paziente avrebbe consentito al ricorrente di
diagnosticare per tempo il prolasso del funicolo. Non occorre però dilungarsi
oltre su questo punto, dal momento che, come si vedrà qui di seguito, già solo
il ritardo accumulato nella realizzazione del taglio cesareo permette di
fondare un verdetto di colpevolezza nei confronti del ricorrente.
7.3.4 Il ricorrente critica poi la CCRP per aver ritenuto causale l'omessa
preallerta del personale della sala operatoria, ciò che avrebbe ritardato la
realizzazione dell'intervento cesareo. A questo proposito, egli insiste in
particolare sul fatto che il prolasso non sarebbe stato diagnosticabile prima
delle ore 12:10, in altre parole prima di quest'ora non sussisteva alcuna
necessità di intervenire con taglio cesareo.

Come correttamente osservato dal ricorrente, esiste una fondamentale divergenza
di valutazione tra i periti in merito alla lettura e all'interpretazione dei
tracciati CTG. In breve, i periti giudiziari ritengono che i tracciati del
giorno del parto consentivano molto presto di accorgersi dell'esistenza di un
prolasso del funicolo, rispettivamente di una sofferenza fetale. Per contro per
il perito di parte, in sostanza, la diagnosi di danno cerebrale irreversibile
non può essere formulata con certezza prima della nascita del neonato
unicamente sulla base delle modificazioni dei tracciati CTG (perizia
K.________, versione italiana, pag. 4). Le modificazioni CTGrafiche sono
compatibili con la compressione meccanica del funicolo dovuta all'attività
uterocinetica e, di conseguenza, con la temporanea compromissione del flusso
ematico placentare. Il perito sottolinea l'importanza della compensazione del
flusso, ossia del ripristino della frequenza basale su valori normali durante
gli intervalli delle crisi, descritte come brevi. Sempre secondo il perito di
parte, i tracciati CTG non permettono di trarre conclusioni sullo stato del
feto. È molto improbabile che le lesioni cerebrali e ad altri organi del
piccolo D.B.________ si siano manifestate già nella fase di decelerazioni
variabili registrate dal tracciato, ma il danno effettivo si è sviluppato
nell'intervallo tra le ore 12:10 (diagnosi di prolasso del funicolo) e le ore
12:38 (nascita del bambino) (idem, pag. 5). Nonostante le decelerazioni
variabili parzialmente severe, ma in presenza di rapida ripresa con frequenza
basale normale e le buone oscillazioni nelle pause tra le contrazioni, i
tracciati CTG non costituiscono un'indicazione assoluta all'immediato
espletamento del parto (idem, pag. 6), ossia al taglio cesareo.

Quanto agli altri pareri medici prodotti dal ricorrente, il dr. O.________
conferma che non c'erano motivi di procedere a un taglio cesareo prima delle
ore 12:12. Di stesso avviso anche il dr. N.________. Il dr. L.________ ritiene
che l'interpretazione del tracciato CTG da parte del ricorrente sia stata
rispettosa delle regole dell'arte. Infine, il dr. M.________ si limita a
descrivere il tracciato, senza fornire alcuna valutazione sull'interpretazione
dello stesso da parte dell'insorgente o sulla necessità di procedere a un
taglio cesareo.
Ciò posto, la CCRP non sembra aver ritenuto che le lesioni cerebrali si siano
prodotte prima delle ore 12:10. Essa non ha neppure, in questo contesto,
formalmente concluso che la decisione di procedere al taglio cesareo avrebbe
dovuto essere presa prima delle ore 12:10. Ha tuttavia ritenuto che, sebbene
non permettessero di concludere per l'esistenza di lesioni prima delle ore
12:10 né per l'esistenza di una grave sofferenza fetale, i tracciati in
questione costituivano comunque dei "segnali d'allarme" o dei "tracciati
sospetti" a cui si aggiungevano, per esempio, le inquietudini della levatrice
durante l'assenza del ricorrente che l'hanno poi spinta a contattarlo sul suo
telefono cellulare, sospettando un prolasso del cordone ombelicale. Orbene,
malgrado le critiche formulate dall'esperto di parte, la sua perizia consente
di confermare quanto meno il carattere inconsueto, persino inquietante dei
tracciati in questione e di qualificarli di "segnali d'allarme", come già aveva
fatto il primo giudice (sentenza del 10 novembre 2005, consid. 32 pag. 33).
D'altronde, i tracciati CTG hanno indotto il ricorrente a eseguire egli stesso,
alle ore 11:32, un'esplorazione vaginale al fine di accertare un eventuale
prolasso del funicolo (v. segnatamente perizia K.________, versione italiana,
pag. 3), ciò che dimostra che i tracciati non erano totalmente normali (v.
sentenza del 10 novembre 2005 consid. 34 pag. 36: "segnali di sospette
anomalie"). Il perito K.________ osserva pure che i tracciati erano compatibili
con una compressione meccanica del funicolo e con la temporanea compromissione
del flusso ematico, ciò che rivelava con ogni evidenza una complicanza. In
simili circostanze, non appare arbitrario ritenere che il ricorrente si
trovasse in presenza di segnali sufficientemente inquietanti nel loro insieme
da giustificare una preallerta della sala operatoria già prima delle ore 12:10,
sebbene i tracciati CTG non consentissero ancora di concludere formalmente a un
prolasso del funicolo, all'esistenza di una sofferenza fetale o di lesioni
organiche del feto. Non appare arbitrario neppure ritenere che una simile
allerta avrebbe permesso di effettuare il taglio cesareo per tempo, evitando i
ritardi accumulati col procedere degli eventi. Il ricorrente non può nulla
dedurre in suo favore, sotto il profilo dell'interruzione del nesso causale,
dai problemi sorti quando il personale della sala operatoria è stato allertato
e dal ritardo con cui sono stati attivati i macchinari necessari per
l'anestesia. La censura è quindi infondata.

8.
A mente del ricorrente, il nesso causale tra la sua omissione e la morte del
bambino sarebbe stato interrotto. Non contesta, a ragione, che tra la mancata
preallerta della sala operatoria e il decesso di D.B.________ esista un
rapporto di causalità naturale. Difatti, se il ginecologo avesse preallertato
la sala operatoria, l'équipe medica - anestesista compreso - sarebbe stata
pronta a intervenire senza ritardi al momento in cui si è palesata l'urgenza di
procedere a un taglio cesareo. Egli stesso afferma che, se la sala operatoria
fossa stata pronta, il piccolo si sarebbe salvato (ricorso pag. 46).
L'insorgente ritiene però che il decesso è giuridicamente la conseguenza della
scelta di non prestare ulteriori cure al bambino: dalla perizia giudiziaria
risulta che il piccolo è deceduto, a cinque mesi dal parto, in seguito a
polmonite causata da infezioni recidivanti dopo che era stato scelto di non
apprendere misure intensive per mantenere in vita il bambino (intubazione,
rianimazioni medicamentose o meccaniche, oppure antibiotici).

8.1 A seguito del mancato tempestivo intervento di taglio cesareo, D.B.________
è nato con un'encefalopatia ipossico-ischemica e difficoltà respiratorie.
Immediatamente affidato all'équipe pediatrica, il giorno stesso è stato
condotto al Q.________ di Z.________. Di fronte ai problemi di salute del
neonato, è stato deciso, in caso di peggioramento respiratorio acuto e/o
peggioramento dello stato generale, di non intraprendere ulteriori cure per
mantenerlo in vita (quali l'intubazione, rianimazioni medicamentose o
meccaniche, cure di antibiotici, ... ), eccezion fatta per aspirazioni,
somministrazioni di ossigeno e analgesie. Il 6 febbraio 2001, D.B.________ è
stato trasferito al reparto di pediatria dell'Ospedale H.________ di Y.________
dove è deceduto il 7 giugno 2001.

8.2 Per giurisprudenza invalsa, la causalità adeguata viene meno, il
concatenamento dei fatti perdendo in tal modo la sua rilevanza giuridica,
allorché circostanze eccezionali, quali ad esempio la colpa di un terzo o della
vittima stessa, sopravvengano senza che potessero essere previste. Il loro
carattere imprevedibile non è di per sé sufficiente per interrompere il nesso
di causalità adeguata: la causa concomitante deve avere un peso tale da
risultare la scaturigine più probabile e immediata dell'evento considerato, e
relegare così in secondo piano tutti gli altri fattori, in particolare il
comportamento dell'agente (DTF 133 IV 158 consid. 6.1; 131 IV 145 consid. 5.2).
Il nesso causale tra l'omissione e l'evento è quindi riconosciuto anche laddove
il comportamento dell'agente non è la causa diretta o l'unica causa del
risultato considerato (DTF 131 IV 145 consid. 5.2).

Orbene dagli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza impugnata e qui non
contestati si evince che la causa finale della morte del neonato è stata
"un'insufficienza respiratoria su estesa polmonite, originatasi da infezioni
recidivanti per mancanza di riflessi protettivi della tosse e della
deglutizione, a loro volta risultato della grave patologia neurologica
conseguente al parto, patologia concretizzata in tetraplegia, epilessia e
completa dipendenza dalle cure intensive" (sentenza del 22 marzo 2007 consid. H
pag. 5). In simili circostanze, la decisione di non prodigare ulteriori cure
volte a mantenere in vita il bambino (quali l'intubazione, la rianimazione,
ecc.) in caso di peggioramento respiratorio acuto e/o peggioramento dello stato
generale non appare né eccezionale né tanto meno imprevedibile al punto da
relegare in secondo piano il comportamento del ricorrente. Difatti, se
quest'ultimo avesse preallertato la sala operatoria, il taglio cesareo sarebbe
stato effettuato per tempo e il bambino non avrebbe poi subito le lesioni che
lo hanno reso dipendente dalle cure intensive e, di riflesso, non si sarebbe
posta la questione di una rinuncia a cure volte a mantenerlo in vita. Non v'è
dunque stata alcuna interruzione del nesso di causalità adeguata tra le
omissioni rimproverate al ricorrente e la morte del piccolo D.B.________. La
censura si palesa così infondata.

9.
In merito alla sentenza del 17 marzo 2008 della CCRP, il ricorrente sostiene
che i giudici di questa autorità avrebbero dovuto astenersi in quanto gli
stessi avevano in precedenza già preso parte alla decisione di condanna del 22
marzo 2007. Egli lamenta la violazione del loro dovere di astenersi. Sennonché,
disattendendo crassamente il suo dovere di allegazione e motivazione (v. art.
106 cpv. 2 LTF), non spiega su che base e in virtù di quale norma cantonale o
federale i giudici in questione avrebbero dovuto astenersi. La critica si
palesa così inammissibile.

10.
Il ricorrente si duole infine della violazione del diritto di essere sentito
nell'ambito della seconda fase del procedimento volta a commisurare la pena.
Difatti, né il Giudice della Pretura penale nella sua sentenza dell'11 gennaio
2008 né la CCRP nel suo giudizio del 17 marzo 2008 hanno considerato gli
argomenti addotti dal qui ricorrente. Egli infatti ha fatto valere, quale
elemento di riduzione della sua colpa, lo sbaglio dell'infermiera che,
componendo un errato numero telefonico d'emergenza, ha oggettivamente provocato
il ritardo nell'esecuzione del taglio cesareo.

10.1 Il diritto di essere sentito sancito all'art. 29 cpv. 2 Cost. comprende
pure il diritto di ottenere una decisione motivata. Quest'ultimo impone
all'autorità di pronunciarsi nei considerandi sulle allegazioni delle parti,
riferendosi agli argomenti da queste addotti. Una motivazione può comunque
essere ritenuta sufficiente quando l'autorità menziona, almeno brevemente, i
motivi che l'hanno spinta a decidere in un senso piuttosto che nell'altro e
pone quindi l'interessato nella condizione di rendersi conto della portata del
giudizio e delle eventuali possibilità di impugnazione. L'autorità non deve
tuttavia pronunciarsi su tutti gli argomenti sottopostile, ma può occuparsi
delle sole circostanze rilevanti per il giudizio, atte a influire sulla
decisione di merito (DTF 133 I 270 consid. 3.1; 129 I 232 consid. 3.2 pag. 236;
126 I 97 consid. 2b).

10.2 La CCRP ha osservato che con le sue argomentazioni il ricorrente si
proponeva con tutta evidenza di ridiscutere liberamente le sue responsabilità e
quindi i fatti ritenuti nella sentenza di condanna del 22 marzo 2007. L'oggetto
del procedimento che ne è seguito verteva unicamente sulla commisurazione della
pena da infliggere al ginecologo riconosciuto autore colpevole di omicidio
colposo e pertanto, in questo contesto, le sue censure risultavano
inammissibili. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame,
l'autorità cantonale ha considerato le critiche del ricorrente e ha pure
motivato il suo rifiuto di entrare nel merito, rispettando così il diritto di
essere sentito dell'insorgente. In realtà, questi avrebbe dovuto far valere
tali argomenti - tesi a contestare i fatti accertati nella sentenza di condanna
del 22 marzo 2007 - in questa sede, ciò che ha effettivamente fatto. Così com'è
formulata, la censura risulta quindi infondata.

11.
Infine, in modo estremamente laconico, il ricorrente lamenta la violazione
dell'art. 6 CEDU. Sostiene che il capovolgimento della sentenza di assoluzione
con contestuale rinvio a giudice subordinato per commisurazione della pena lo
abbia privato di argomenti difensivi al cospetto di ogni grado di giudizio.

La doglianza, lungi dall'ossequiare le severe esigenze di motivazione poste per
le censure di violazione del diritto internazionale (art. 42 cpv. 2 e 106 cpv.
2 LTF nonché DTF 133 IV 286 consid. 1.4), risulta inammissibile. Sia come sia,
almeno in questa sede il ricorrente ha potuto presentare insieme tutte le sue
censure, sia di ordine processuale che materiale. In simili circostanze, non si
scorge e nel gravame non viene spiegato in che modo l'art. 6 CEDU sarebbe stato
violato. La doglianza oltre che inammissibile è quindi pure infondata.

12.
Da tutto quanto appena esposto risulta che, nella misura in cui è ammissibile,
l'impugnativa in esame dev'essere respinta e le sentenze impugnate confermate.

Le spese giudiziarie seguono la soccombenza e sono pertanto addossate al
ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Agli opponenti C.B.________ e B.B.________,
patrocinati da un avvocato, viene assegnata un'indennità per spese ripetibili
della sede federale, indennità posta a carico dell'insorgente (art. 68 cpv. 1 e
2 LTF). Agendo nell'esercizio delle sue attribuzioni ufficiali, al Ministero
pubblico non vengono accordate spese ripetibili (art. 68 cpv. 3 LTF).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.

2.
Le spese giudiziarie di fr. 4'000.-- sono poste a carico del ricorrente.

3.
Il ricorrente rifonderà agli opponenti un'indennità di fr. 2'000.-- a titolo di
ripetibili della sede federale.

4.
Comunicazione ai patrocinatori delle parti, al Ministero pubblico e alla Corte
di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

Losanna, 27 aprile 2009
In nome della Corte di diritto penale
del Tribunale federale svizzero
Il presidente: La cancelliera:

Favre Ortolano