Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

I. Öffentlich-rechtliche Abteilung, Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten 1C.415/2008
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Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal

{T 1/2}
1C_415/2008

Sentenza del 24 agosto 2009
I Corte di diritto pubblico

Composizione
Giudici federali Féraud, Presidente, Aemisegger, Reeb, Fonjallaz, Eusebio,
Cancelliere Crameri.

Parti
Comune di San Nazzaro,
patrocinato dall'avv. Fabrizio Filippo Monaci,
ricorrente,

contro

1. Comune di Caviano,
2. Comune di Contone,
3. Comune di Gerra Gambarogno,
4. Comune di Indemini,
5. Comune di Magadino,
6. Comune di Piazzogna,
7. Comune di Sant'Abbondio,
8. Comune di Vira Gambarogno,
opponenti.

Oggetto
aggregazione dei Comuni di Caviano, Contone, Gerra Gambarogno, Indemini,
Magadino, Piazzogna, San Nazzaro, Sant'Abbondio e Vira Gambarogno,

ricorso contro il decreto legislativo emanato il 19 agosto 2008 dal Gran
Consiglio del Cantone Ticino.
Fatti:

A.
Nel 2003 le autorità dei Comuni di Caviano, Contone, Gerra Gambarogno,
Indemini, Magadino, Piazzogna, Sant'Abbondio, Vira Gambarogno e San Nazzaro
hanno avviato uno studio sulle possibilità di sviluppo del Gambarogno. Lo
studio, allestito nel 2005, confrontate diverse ipotesi, proponeva lo scenario
di un "Comune unico". Il 21 ottobre 2005 l'Associazione dei Comuni, Circolo del
Gambarogno, ha chiesto al Consiglio di Stato del Cantone Ticino l'avvio formale
della procedura di aggregazione. La proposta di fusione è stata appoggiata da
otto Comuni: San Nazzaro non vi ha aderito. La votazione consultiva ha avuto
luogo il 25 novembre 2007. San Nazzaro si è opposto al progetto con 227 voti
contrari (60%) e 154 (40%) favorevoli, mentre negli altri otto Comuni la
proposta ha avuto ampio consenso (1336 voti favorevoli, ossia il 67%).
B. Con decreto legislativo del 23 giugno 2008, pubblicato, dopo la scadenza
infruttuosa del termine di referendum, nel Bollettino ufficiale del Cantone
Ticino n. 40/2008 del 19 agosto 2008 (pag. 504 segg.), il Gran Consiglio ha
decretato l'aggregazione dei Comuni di Caviano, Contone, Gerra Gambarogno,
Indemini, Magadino, Piazzogna, San Nazzaro, Sant'Abbondio e Vira Gambarogno in
un nuovo Comune, denominato Comune del Gambarogno.

C.
Contro questo decreto il Comune di San Nazzaro presenta un ricorso in materia
di diritto pubblico al Tribunale federale, chiedendo di annullarlo. Dei motivi
si dirà nei considerandi.
Con decreto presidenziale del 15 ottobre 2008, al ricorso è stato conferito
effetto sospensivo.

D.
I Comuni di Caviano, Contone, Gerra Gambarogno, Indemini, Magadino, Piazzogna,
Sant'Abbondio e Vira Gambarogno, sottolineato di condividere il progetto di
aggregazione e di opporsi all'esclusione del ricorrente dallo stesso,
propongono di respingere il gravame. Il Consiglio di Stato, per sé e in
rappresentanza del Gran Consiglio, con osservazioni del 4 novembre 2008, chiede
di respingerlo in quanto ammissibile.

Diritto:

1.
1.1 Il Tribunale federale esamina d'ufficio se e in che misura un ricorso può
essere esaminato nel merito (DTF 134 II 186 consid. 1).

1.2 La legittimazione a ricorrere del Comune è data, poiché deriva dal fatto
che la sua aggregazione coatta, imposta con il contestato decreto, lo farebbe
scomparire come ente a sé stante, toccandolo nella sua autonomia e nella sua
esistenza (art. 50 cpv. 1 Cost. e 16 cpv. 1 e 2 Cost./TI; art. 89 cpv. 2 lett.
c LTF; DTF 131 I 93 consid. 1; 134 I 204 consid. 2.2; sentenza 1C_41/2008 del
26 maggio 2009 nella causa Comune di Muggio consid. 1.2; messaggio del 28
febbraio 2001 concernente la revisione totale dell'organizzazione giudiziaria
federale, FF 2001 pag. 3886).

1.3 Secondo l'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, il gravame dev'essere motivato in modo
sufficiente, spiegando nei motivi perché l'atto impugnato viola il diritto (DTF
133 II 249 consid. 1.4.1). Il Tribunale federale esamina in linea di principio
solo le censure sollevate; esso non è tenuto a vagliare, come lo farebbe
un'autorità di prima istanza, tutte le questioni giuridiche che si pongono, se
queste ultime non sono presentate nella sede federale (DTF 134 IV 36). Per di
più, quando il ricorrente invoca, come in concreto, la violazione di diritti
costituzionali (principi di proporzionalità e di uguaglianza fra determinati
comuni ticinesi), il Tribunale federale, in applicazione dell'art. 106 cpv. 2
LTF, esamina le censure sollevate soltanto se siano state esplicitamente
sollevate e motivate in modo chiaro e preciso (DTF 134 II 244 consid. 2.2; 133
II 249 consid. 1.4.2). In questa misura, argomentazioni vaghe o meramente
appellatorie e semplici rinvii agli atti cantonali non sono quindi ammissibili
(DTF 134 I 83 consid. 3.2; 129 I 113 consid. 2.1). Si vedrà in seguito, che
l'atto di ricorso, di 92 pagine, come a ragione rilevato dal Consiglio di
Stato, talvolta prolisso e ripetitivo, adempie solo in parte queste esigenze di
motivazione.

1.4 Riservati i casi dell'art. 95 lett. c-e LTF, la violazione del diritto
cantonale o comunale non costituisce di per sé un motivo di ricorso, ma può
configurare una violazione del diritto federale ai sensi dell'art. 95 lett. a
LTF, segnatamente qualora disattenda il divieto dell'arbitrio ai sensi
dell'art. 9 Cost. (DTF 134 II 349 consid. 3). Chiamato a esaminare
l'applicazione di una norma del diritto cantonale o comunale sotto il profilo
dell'arbitrio, il Tribunale federale si scosta quindi dalla soluzione ritenuta
dall'ultima istanza cantonale solo se appaia manifestamente insostenibile, in
palese contraddizione con la situazione effettiva, non sorretta da ragioni
oggettive e lesiva di un diritto certo. Non basta, inoltre, che la decisione
impugnata sia insostenibile nella motivazione, ma occorre che lo sia anche nel
suo risultato (DTF 134 II 124 consid. 4.1; 133 II 257 consid. 5.1), ciò che
spetta al ricorrente dimostrare (DTF 133 II 396 consid. 3.2).
1.4.1 Il comune può far valere, invocando la sua autonomia, che il Gran
Consiglio nell'applicazione delle norme federali, cantonali o comunali sarebbe
incorso nell'arbitrio o, nella misura in cui si tratti del diritto
costituzionale cantonale o federale, che l'avrebbe interpretato o applicato in
maniera errata. In tale ambito, per quanto queste critiche siano strettamente
connesse con quella dell'asserita lesione dell'autonomia comunale, può addurre
la violazione di disposizioni che disciplinano i compiti dei comuni e la loro
fusione, nonché delle garanzie costituzionali di procedura e sostenere che
l'autorità cantonale avrebbe disatteso la portata di diritti costituzionali.
Quando il ricorso per violazione dell'autonomia comunale o concernente
l'esistenza di un comune è fondato su norme di livello costituzionale, il
Tribunale federale esamina liberamente la decisione impugnata; restringe invece
la cognizione all'arbitrio riguardo all'applicazione di norme di grado
inferiore, all'accertamento dei fatti e alla valutazione delle prove (DTF 131 I
91 consid. 1; 129 I 392 consid. 2.1).
1.4.2 Sulla base dell'art. 89 cpv. 2 lett. c LTF, il ricorrente può far valere
la violazione di garanzie conferitegli dalla costituzione cantonale o da quella
federale: questa norma riprende la giurisprudenza relativa al ricorso di
diritto pubblico (messaggio del 28 febbraio 2001, citato, 3886). In tale
ambito, il ricorrente può addurre anche una violazione del divieto
dell'arbitrio (art. 9 Cost.), nella misura in cui questa censura sia in stretta
relazione con la lesione dell'autonomia (DTF 134 I 204 consid. 2.2).

1.5 ll ricorrente lamenta un accertamento dei fatti manifestamente errato e
incompleto, quindi arbitrario. Ora, il Tribunale federale fonda la sua sentenza
sui fatti accertati dall'autorità inferiore (art. 97 cpv. 1 e 105 cpv. 1 LTF):
può scostarsene solo qualora l'accertamento sia avvenuto in modo manifestamente
inesatto o in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF, cioè in maniera
arbitraria (art. 105 cpv. 2 LTF, disciplina analoga a quella dell'art. 97 cpv.
1 LTF; DTF 133 II 249 consid. 1.2.2 e 1.4.3). La parte ricorrente, che intende
contestare i fatti accertati dall'autorità inferiore, deve quindi spiegare in
maniera circostanziata per quale motivo ritiene che le condizioni di una delle
eccezioni previste dall'art. 105 cpv. 2 LTF sarebbero realizzate (DTF 133 IV
286 consid. 1.4 e 6.2).

2.
2.1 Il ricorrente fa valere in primo luogo una violazione del diritto a un
processo equo e quello di adire un tribunale. Al riguardo richiama l'art. 191b
cpv. 1 Cost., relativo alle autorità giudiziarie dei Cantoni, e in particolare
l'art. 29a Cost., concretato dall'art. 86 cpv. 2 e 3 LTF, concernente la
garanzia della via giudiziaria, in vigore dal 1° gennaio 2007, secondo cui
nelle controversie giuridiche ognuno ha diritto al giudizio da parte di
un'autorità giudiziaria, riservati casi eccezionali per i quali la
Confederazione e i Cantoni possono escludere per legge la via giudiziaria.

2.2 Ora, ricordato che l'impugnato decreto legislativo è entrato in vigore nel
2008 ed il Cantone Ticino non ha fatto capo alla possibilità offerta dall'art.
130 cpv. 4 LTF, torna applicabile l'art. 130 cpv. 3 LTF, secondo cui entro due
anni dall'entrata in vigore della LTF i Cantoni emanano le disposizioni di
esecuzione concernenti la competenza, l'organizzazione e la procedura delle
giurisdizioni inferiori nelle cause di diritto pubblico ai sensi degli art. 86
cpv. 2 e 3 e 88 cpv. 2 LTF, incluse quindi le norme necessarie alla garanzia
della via giudiziaria di cui all'art. 29a Cost. (cfr. DTF 133 I 286 consid. 1
in fine; 130 I 82 consid. 1.2; sentenza 2P.312/2006 del 4 dicembre 2006).

2.3 Contrariamente all'assunto ricorsuale, anche quando, come in concreto, il
Tribunale federale statuisce dopo il 1° gennaio 2009, il termine transitorio di
due anni istituito dall'art. 130 cpv. 3 LTF, scadente il 31 dicembre 2008,
rimane determinante per l'attuazione della garanzia della via giudiziaria. Essa
non è quindi applicabile ai casi in cui la decisione cantonale di ultima
istanza è stata pronunciata prima di tale data: né il Cantone Ticino ha
adottato, durante il termine transitorio, oltre nuove disposizioni, una prassi
disarmonizzante (sentenze 2C_271/2008 del 27 novembre 2008 consid. 3; 1C_267/
2008 del 27 ottobre 2008 consid. 2.1 e 2C_373/2008 del 12 giugno 2009 consid.
1.2).

2.4 Del resto, allo scopo di adeguare l'apparato giudiziario amministrativo
ticinese agli art. 29a e 191b Cost. e 86 cpv. 2 LTF, norme invocate dal
ricorrente, il Gran Consiglio ha emanato, il 2 dicembre 2008, la legge sulla
revisione della giurisdizione amministrativa, pubblicata nel BU n. 4/2009 del
27 gennaio 2009, con entrata in vigore immediata. Essa elenca, con il sistema
enumerativo, i rimedi di diritto a livello cantonale previsti per le differenti
leggi. Riguardo all'impugnazione nella sede cantonale di atti legislativi e di
decreti concernenti fusioni coatte, detta legge non istituisce alcuna autorità
di ricorso. Nel relativo messaggio n. 5994 del 13 novembre 2007, il Governo
cantonale rileva, richiamando l'art. 87 LTF, che contro gli atti normativi del
Gran Consiglio e del Consiglio di Stato non vi è l'obbligo per i Cantoni di
istituire un'autorità giudiziaria di ricorso. Riguardo all'art. 86 cpv. 3 LTF,
secondo cui per le decisioni di carattere prevalentemente politico i Cantoni
possono istituire, quale autorità di grado immediatamente inferiore al
Tribunale federale, un'autorità diversa da un tribunale, nel citato messaggio
si rileva che si possono sottrarre a detto esame quegli atti di governo,
emanati dal Gran Consiglio o dal Consiglio di Stato, di natura essenzialmente
politica, nei quali vi è un potere di apprezzamento estremamente ampio: si
precisa che si tratta in particolare anche delle decisioni in materia di
aggregazioni comunali. Il Governo cantonale sottolineava che le fusioni di
Comuni rappresentano atti aventi uno spiccato carattere politico, ragione per
cui suggeriva di non prevedere in questo campo alcuna facoltà di ricorso al
Tribunale cantonale amministrativo: il legislatore cantonale ha seguito la
proposta.

Si può aggiungere che, con messaggio n. 6208 del 5 maggio 2009, il Consiglio di
Stato, esprimendosi su un'iniziativa parlamentare tendente tra l'altro
all'introduzione di una norma di clausola generale di competenza al Consiglio
di Stato e al Tribunale cantonale amministrativo, in sostituzione dell'attuale
sistema di clausola enumerativa nelle differenti leggi, si è dichiarato
disposto ad avviare la procedura per una modifica legislativa in tal senso.
Visto quanto precede, in concreto, la questione non dev'essere tuttavia
esaminata oltre.

2.5 L'accenno ricorsuale a una lesione dell'art. 32 cpv. 3 Cost., poiché
sarebbe stata disattesa la garanzia del doppio grado di giurisdizione, è privo
di qualsiasi consistenza, ritenuto che l'invocata norma si applica alla
procedura penale.

Certo, al riguardo il ricorrente sostiene, in maniera del tutto generica, che
la mancata garanzia del doppio grado di giurisdizione può in certi casi
configurare una violazione del diritto di essere sentito (art. 29 Cost.; cfr.
sentenza 4P.236/2003 del 16 marzo 2004 consid. 5.1). Esso non tenta tuttavia di
spiegare perché il diritto di essere sentito sarebbe stato leso nella
fattispecie (sull'asserita carenza di informazione della popolazione prima
della votazione consultiva vedi consid. 12.2). Del resto, nelle osservazioni al
ricorso a ragione il Consiglio di Stato sottolinea che la criticata decisione è
stata preceduta da uno studio di aggregazione, da numerose serate
d'informazione, dal rapporto governativo alla cittadinanza, da incontri della
Direzione del Dipartimento delle istituzioni, dalla votazione consultiva,
dall'inoltro da parte del Municipio di San Nazzaro di un documento del 20
dicembre 2007 e di missive indirizzate al Governo e alla Commissione speciale
aggregazioni, da un'audizione di una delegazione del Municipio davanti a detta
Commissione, ecc. In siffatte circostanze non è quindi ravvisabile alcuna
violazione del diritto di essere sentito (DTF 131 I 91 consid. 3.1).

3.
3.1 Il ricorrente, richiamato l'art. 50 Cost. relativo all'autonomia comunale,
fa dapprima valere una violazione del diritto costituzionale ticinese,
segnatamente degli art. 16, concernente la garanzia dell'autonomia comunale, e
20 Cost./TI, relativo alla fusione di Comuni. Al riguardo, giova ricordare che
il principio della legalità, cui esso accenna, non è leso nell'ambito di
aggregazioni coatte fondate su disposizioni cantonali (DTF 131 I 91).

3.2 Sempre a proposito dell'asserita violazione di norme costituzionali, e con
riferimento ad aggregazioni di altri comuni ticinesi, il ricorrente adduce il
mancato rispetto dei principi di proporzionalità (art. 5 cpv. 2 e 36 cpv. 3
Cost.) e della parità di trattamento (art. 8 Cost.). Questi principi non hanno
tuttavia portata propria rispetto al divieto dell'arbitrio (art. 9 Cost.; DTF
135 I 43 consid. 1.3), invocato dal ricorrente in relazione all'applicazione
degli art. 2, 8 e 9 della legge ticinese del 16 dicembre 2003 sulle
aggregazioni e separazioni dei Comuni (LASC), i cui presupposti a suo dire non
sarebbero adempiuti nella fattispecie.

3.3 L'art. 50 cpv. 1 Cost. garantisce l'autonomia comunale "nella misura
prevista dal diritto cantonale". Secondo questa norma, l'autonomia comunale è
un istituto di diritto cantonale, che esiste unicamente se e in quanto
quest'ultimo la consacra: essa, contrariamente al ripetitivo e infondato
assunto ricorsuale, non impedisce, di massima, un'aggregazione coatta (DTF 131
I 91; 94 I 351; sentenze 1P.265/2005 in re Comune di Bignasco del 18 aprile
2006, consid. 2.2, in RtiD 2004 II n. 4 pag. 17, con numerosi riferimenti anche
alla dottrina; 1P.700/2000 in re Comune di Sala Capriasca del 12 marzo 2001,
consid. 3, in RDAT 2001 I n. 1 pag. 3; REGULA KÄGI-DIENER, in Die
schweizerische Bundesverfassung, 2a ed. 2008, n. 9 e 13 ad art. 50; AUER/
MALINVERNI/HOTTELIER, Droit constitutionnel suisse, 2a ed. 2006, vol. I, n. 233
e 301; URSIN FETZ, Gemeindefusion, 2009, pag. 153; VINCENT MARTENET, La fusion
de communes entre elles ou avec le canton, in L'avenir juridique des communes,
2007, pag. 185). Compete in ogni caso ai Cantoni stabilire l'estensione e la
misura dell'autonomia comunale (BEATRIX ZAHNER, Gemeindevereinigungen -
öffentlichrechtliche Aspekte, 2005, pag. 19, 22 e 28; RENÉ RHINOW, Die
Bundesverfassung 2000, pag. 91). Ne segue che, nella misura in cui il
ricorrente fa valere la violazione della sua autonomia riferendosi
all'esistenza o all'integrità del suo territorio, occorre fondarsi unicamente
sul diritto cantonale (DTF 131 I 91 consid.2).

3.4 L'art. 16 Cost./TI definisce il Comune un ente di diritto pubblico e ne
garantisce l'esistenza (cpv. 1); lo dichiara inoltre autonomo nei limiti della
Costituzione e delle leggi (cpv. 2). Contrariamente al generico e inconsistente
assunto ricorsuale, questa garanzia concerne l'istituto comunale, non il
singolo comune (vedi il messaggio per la revisione totale della Costituzione
ticinese, pubblicato nel 1995 in edizione speciale della RDAT, pag. 48; EROS
RATTI, Il Comune, vol. IV, 2003, pag. 26). L'affermazione del ricorrente di non
poter condividere la relativa giurisprudenza del Tribunale federale, conforme
peraltro alla dottrina cantonale, secondo cui questa disposizione non impedisce
la modificazione della ripartizione territoriale tra i comuni né
l'aggregazione, anche coatta, non viola di per sé la garanzia costituzionale,
non induce chiaramente a riconsiderarla (sentenze in re Comune di Bignasco,
consid. 2.3-2.6 e in re Sala Capriasca, consid. 3, citate; GIORGIO BATTAGLIONI,
Aspetti giuridici della fusione dei Comuni ticinesi in, RDAT 2000 I, pag. 25).

3.5 Il ricorrente insiste poi su un'asserita violazione dell'art. 20 Cost./TI,
in particolare del suo terzo capoverso. L'invocata norma ha il seguente tenore:
"1 I Comuni non possono fondersi con altri Comuni o dividersi senza il consenso
dei loro cittadini e l'approvazione del Gran Consiglio.
2 Il Cantone favorisce la fusione dei Comuni.
3 Il Gran Consiglio può decidere la fusione e la separazione di Comuni, alle
condizioni previste dalla legge.
4 ..."
Al riguardo sostiene che sarebbe necessario determinare la vera ratio legis di
questa norma e, allo scopo, fa accenno ad alcuni passaggi dei lavori
preparatori, del messaggio governativo, del rapporto della Commissione speciale
del Gran Consiglio e ai dibattiti parlamentari. Insiste sull'assunto secondo
cui la fusione coatta sarebbe stata prevista in particolare per i comuni con
scarso potenziale demografico, che non sarebbero più in grado di svolgere i
loro compiti sotto il profilo politico, amministrativo e finanziario,
presupposti dai quali dipende l'autonomia comunale stessa, e al fine di
garantirne l'efficienza. Ne deduce, che la fusione coatta dovrebbe limitarsi ai
comuni demograficamente insufficienti, impossibilitati a svolgere correttamente
le loro funzioni per mancanza di autonomia finanziaria, politica o
amministrativa e quindi a casi eccezionali. Ricordato che San Nazzaro è un
Comune finanziariamente ed economicamente forte, asserisce, a torto come si
vedrà, che la giurisprudenza nelle cause in re Sala Capriasca e Bignasco
avrebbe confermato detta interpretazione, sottolineando che nella prima
sentenza si rilevava che la fusione coatta è imponibile solo in via eccezionale
e quale "ultima ratio". Accenna infine alla dottrina (RATTI, op. cit., pag. 24
segg.), disattendendo tuttavia che la duplice condizione cumulativa - consenso
dei cittadini e approvazione del Gran Consiglio - si riferisce all'aggregazione
volontaria, di cui all'art. 20 cpv. 1 Cost./TI, e non a quella coatta, al cui
proposito il richiamato autore rileva soltanto che "non è sempre facile" e che
non sarebbe "così scontata".
3.5.1 Ora, già nelle sentenze appena citate, con le quali il ricorrente
peraltro non si confronta, il Tribunale federale aveva esaminato il contenuto,
la portata e la ratio di questa disposizione e della sua modifica, approvata
con votazione popolare del 25 settembre 2005, che non aveva comunque alterato
la disciplina delle fusioni coatte. Infatti, la norma costituzionale era stata
completata con un terzo capoverso, che, come più volte ribadito dal Tribunale
federale, conferiva al Gran Consiglio la competenza di decretare una fusione
anche senza il consenso dei cittadini di un comune o contro la loro volontà,
attuando la cosiddetta fusione coatta: sostanzialmente l'art. 20 cpv. 3 Cost./
TI costituisce quindi una norma speciale, che deroga al principio generale
espresso nel primo capoverso del disposto (consid. 3 a 6). I selettivi e
unilaterali accenni ricorsuali a determinati passaggi giurisprudenziali a
sostegno della sua tesi non inducono manifestamente a riesaminare la questione,
già decisa.
3.5.2 Il ricorrente sostiene che l'interpretazione, a suo dire corretta,
dell'art. 20 Cost./TI sembrerebbe essere quella di garantire l'autonomia al
comune che è in grado di assolvere il mandato sancito dall'art. 16 Cost./TI. In
tal caso, la sua esistenza non potrebbe essere annullata da una norma di rango
inferiore, segnatamente dalla LASC, ma soltanto nei ristretti limiti dell'art.
20 cpv. 3 Cost./TI da esso indicati. Per contro, qualora un comune non sia più
in grado di svolgere autonomamente i propri compiti sotto il profilo
finanziario, amministrativo e politico, e pertanto non sia più funzionale né
funzionante, la sua esistenza non può più essere garantita.
D'altra parte il ricorrente, insistendo sull'assunto unilaterale secondo cui
dai lavori preparatori della norma costituzionale emergerebbe un'asserita
volontà di attuare una fusione coatta solo in presenza di comuni che rimanendo
soli non sarebbero più in grado di assicurarsi un'autonomia finanziaria,
economica e amministrativa, misconosce che questi requisiti non sono affatto
stati ripresi nella norma costituzionale e, in siffatti termini, neppure nella
LASC. Del resto, anche nel messaggio governativo alla LASC, oltre alle
aggregazioni per necessità, si parlava di quelle per opportunità, promosse
nelle fasce di territori situate a ridosso dei centri urbani, relative a comuni
ancora solidi (pag. 7). Sulle premesse di una fusione coatta, con particolare
riferimento alla situazione finanziaria del comune, non stabilite dall'art. 20
cpv. 3 Cost. ma dalla LASC, si dirà in seguito. Il ricorrente parrebbe inoltre
disattendere, che la sua personale interpretazione della norma costituzionale e
della LASC né è stata condivisa dalla citata Commissione né dal Governo né, per
finire, dal Parlamento cantonale.

3.6 Insistendo ripetutamente sull'esito negativo della votazione consultiva, il
ricorrente sembra non voler prendere atto che, secondo la costante e invalsa
giurisprudenza, la fusione, qualora un siffatto consenso non sia imposto dalla
normativa cantonale, può essere decretata anche senza l'accordo di tutti i
Comuni interessati (sentenza in re Sala Capriasca consid. 5 e 6; DTF 131 I 91
consid. 2; 94 I 351 consid. 4b/bb; 27 I 324 consid. 1). Ora, è notorio che,
nonostante le ridondanti e ininfluenti disquisizioni ricorsuali, nel Cantone
Ticino l'accordo dei cittadini non è richiesto dall'art. 20 cpv. 3 Cost./TI,
ciò che è del resto manifesto e insito nel concetto di fusione coatta (vedi
anche il chiaro rapporto governativo alla LASC, pag. 24 e 28). Le critiche di
violazione degli art. 50 Cost., 16 e 20 Cost./TI sono quindi manifestamente
infondate.

4.
4.1 Il ricorrente adduce poi l'asserita incostituzionalità della LASC,
ravvisando una violazione del principio della legalità (art. 5 cpv. 1 Cost.).
Ammesso che la ratio legis della LASC è conforme alla Costituzione cantonale,
esso adduce un'asserita incostituzionalità degli art. 2 cpv. 1 e 2, 8 cpv. 1 e
9 lett. b LASC. L'art. 9 LASC, decisivo per decretare una fusione coatta, ha il
seguente tenore:
"Con il voto della maggioranza assoluta dei suoi membri, tenuto conto
dell'esito della votazione consultiva in tutto il comprensorio, il Gran
Consiglio può decidere l'aggregazione anche quando i preavvisi assembleari non
sono favorevoli, in particolare:
a) quando la pregiudicata struttura finanziaria e le limitate risorse
economiche di un Comune non gli permettono più di conseguire il pareggio della
gestione corrente;
b) se la partecipazione di un Comune alla costituzione di un nuovo Comune è
necessaria per ragioni geografiche, pianificatorie, territoriali, di sviluppo
economico, di funzionalità dei servizi e di apporto di risorse umane e
finanziarie;
c) se perdura l'impossibilità di un Comune di costituire i suoi organi o di
assicurare una normale amministrazione o quando gli organi comunali si
sottraggono in modo deliberato ai loro doveri d'ufficio."
4.1.1 Nella sentenza in re Comune di Sala Capriasca (consid. 6) il Tribunale
federale aveva ritenuto la costituzionalità della fusione coatta prevista dalla
previgente legge sulla fusione e separazione di Comuni del 6 marzo 1945 (LFSC).
Questa conclusione vale a maggior ragione per la LASC e in particolare per il
suo art. 9, la cui costituzionalità è pure già stata riconosciuta dal Tribunale
federale nella sentenza in re Comune di Bignasco (consid. 3), alla quale per
brevità si rinvia, ricordato che le citate condizioni non devono essere
adempiute cumulativamente. Le diffuse disquisizioni ricorsuali non inducono a
scostarsi da quel giudizio.
4.1.2 Il ricorrente lamenta in particolare l'incostituzionalità dell'art. 9
lett b LASC che, a suo dire, contraddirebbe lo spirito dell'art. 20 cpv. 3
Cost./TI.
Nella fattispecie la fusione si fonda sull'art. 9 lett. b LASC: i motivi
previsti dalla lett. a, in particolare la struttura finanziaria del Comune, in
sostanza unico argomento sul quale insiste il ricorrente e del quale si dirà in
seguito, e dalla lett. c, non sono infatti stati invocati. Giova qui ricordare
che nel messaggio sulla LASC è stato posto l'accento sugli obiettivi perseguiti
con le aggregazioni indicati all'art. 2: essi, contrariamente all'assunto
ricorsuale, non sono di natura prettamente finanziaria, ma tendono piuttosto a
permettere la creazione di entità comunali propositive, a favorire la
valorizzazione e la gestione del territorio e alla rivitalizzazione delle zone
periferiche (pag. 6 seg.). Va da sé, che questi motivi possono costituire la
giustificazione classica per legittimare un'aggregazione coatta (cfr. DTF 131 I
91 consid. 3).

Infine l'accenno, appellatorio, circa un'asserita carenza di densità normativa
dell'art. 9 lett. b LASC, non sufficientemente delimitata, e l'assunto secondo
cui i comuni autonomi rientranti in un progetto aggregativo non avrebbero
coscienza di poter essere oggetto di un'eventuale fusione coatta, nonostante la
loro sufficiente forza finanziaria e il netto responso negativo delle urne,
chiaramente non dimostrano una lesione dell'art. 20 cpv. 3 Cost./TI.

4.2 Anche riguardo al criticato art. 2 LASC gli argomenti ricorsuali sono
incentrati sull'assunto secondo cui una fusione coatta potrebbe essere imposta
soltanto quando il Comune si trova in una situazione di precarietà e si fondano
sulla citata esegesi dell'art. 20 Cost./TI da esso proposta, interpretazione
che come si è visto non regge. D'altra parte, come rettamente rilevato dalle
autorità cantonali e dagli altri otto Comuni, il ricorrente neppure tenta di
dimostrare perché in particolare gli obiettivi del ricambio nelle cariche
pubbliche, il miglioramento del potere contrattuale del Comune nei confronti
delle istanze superiori, il perseguimento di entità territoriali coerenti, la
localizzazione ottimale delle infrastrutture di servizio alla popolazione e la
riduzione del numero dei consorzi (art. 2 cpv. 2 lett. a-d ed f LASC) sarebbero
incostituzionali e non sarebbero raggiunti con la criticata fusione.

4.3 Pure l'asserita incostituzionalità dell'art. 8 cpv. 1 LASC, secondo cui il
Gran Consiglio decide, secondo l'interesse generale, sulla proposta di
aggregazione, è chiaramente infondato. Al riguardo, infatti, il ricorrente si
limita in sostanza a sostenere che l'interesse generale non corrisponderebbe a
quello dei Comuni toccati dal progetto aggregativo, bensì soltanto a quello
perseguito del Comune che si oppone a un'aggregazione coatta.
4.3.1 Dal messaggio governativo sulla LASC, ribadito il ruolo centrale del Gran
Consiglio quale rappresentante dei cittadini di tutto il Cantone, risulta
chiaramente che l'interesse generale si riferisce anche a fusioni che in uno o
più comuni non raggiungono la maggioranza dei consensi, ricordato che in tale
ambito la decisione parlamentare sarà guidata dagli obiettivi indicati all'art.
2 LASC. È stato sottolineato che in tale contesto il Parlamento saprà valutare
la volontà di tutto il comprensorio e l'importanza di una logica di progetto,
ovviando a voti negativi di singoli Comuni spesso "ancorati a peculiarità di
"campanile" e da taluni ancora confusi con rimarchevole espressione di
democrazia" (pag. 15). Nel citato messaggio, contrariamente all'assunto
ricorsuale, è stato chiaramente espresso che in presenza di preavvisi comunali
negativi il Gran Consiglio terrà conto dell'esito della votazione in tutto il
comprensorio, ciò significa che "dovrà, ma pure potrà, essere debitamente
considerata la volontà espressa a maggioranza nel comprensorio e non solo nel
singolo Comune" (pag. 28). Al riguardo giova ricordare che anche l'art. 9 LASC
impone al Gran Consiglio di tener conto dell'esito della votazione consultiva
in tutto il comprensorio e non solo, come a torto ripete il ricorrente, del
comune che si oppone alla fusione.
4.3.2 Privo di fondamento è pure l'assunto ricorsuale secondo cui l'art. 8 LASC
sarebbe applicabile solo alle fusioni volontarie, perché la Commissione della
legislazione, tuttavia non seguita dal Parlamento, aveva proposto di scindere
detta norma in due articoli, di cui uno riguardante le aggregazioni con
preavviso favorevole e l'altro quelle con preavvisi solo parzialmente
favorevoli. Il ricorrente disattende che, esprimendosi sull'art. 8, nel
messaggio governativo sulla LASC si precisava che lo stesso poneva le premesse
per poter procedere di massima ad aggregazioni che, fra gli altri,
coinvolgevano anche un comune finanziariamente e amministrativamente solido,
per quanto per posizione geografica, importanza del suo territorio, delle sue
risorse umane e finanziarie appariva un tassello indispensabile del nuovo
comune. È del resto palese, come a ragione rilevato dal Consiglio di Stato
nelle osservazioni al ricorso, che l'interesse generale è quello dei Comuni
interessati dal processo aggregativo e che lo stesso può prevalere, a
determinate condizioni, su quello di un singolo comune che vi si opponga,
poiché altrimenti sarebbe vanificata la facoltà del Gran Consiglio, prevista
dall'art. 20 cpv. 3 Cost./TI, di decidere una fusione coatta.
4.3.3 Anche in tale ambito il ricorrente si limita ad asserire, in maniera del
tutto generica, che la prassi ticinese confonderebbe l'interesse generale con
la politica cantonale delle aggregazioni, che sarebbe confortata da parecchi
studi ma non dalla Costituzione. Il ricorrente sostiene, con un'argomentazione
come si è visto infondata, che nella misura in cui le fusioni coatte ticinesi
si fonderebbero sull'interesse generale, inteso quale riflesso della politica
cantonale delle aggregazioni, tale interpretazione sarebbe pacificamente
contraria alla Costituzione cantonale. Al riguardo, occorre ribadire che non
spetta al Tribunale federale esprimersi a livello teorico su un'asserita
politica ticinese delle aggregazioni: esso è solo chiamato a vagliare se una
determinata aggregazione coatta, sottoposta al suo giudizio, rispetti o no le
esigenze poste dalla legge cantonale. Ora, anche in questo ambito, il
ricorrente si dilunga in disquisizioni meramente teoriche e in interpretazioni
personali fondate talvolta anche su presupposti imprecisi ed errati, che non
considerano il chiaro tenore delle norme applicabili e il fatto, notorio e
additato dalla dottrina più recente a modello (Fetz, op. cit., pag. 164), che
nel Cantone Ticino, alle condizioni fissate dalla legge cantonale, aggregazioni
coatte sono possibili.

Pure l'assunto ricorsuale secondo cui il Cantone giustificherebbe le fusioni
coatte con l'intendimento di salvare i progetti aggregativi, mentre dovrebbe
attenersi soltanto all'esame della precarietà del Comune da "coattare", è privo
di fondamento. A torto infatti il ricorrente vorrebbe ridurre e parificare
l'interesse generale dell'art. 8 LASC a quello del Comune opponente. Priva di
motivazione e di ogni consistenza è poi l'affermazione secondo cui l'art. 8
LASC avrebbe un carattere puramente declaratorio e si applicherebbe soltanto
alle fusioni volontarie. Ne segue, che l'asserita incostituzionalità di questa
norma non è minimamente dimostrata.

5.
5.1 Il ricorrente insiste sulla circostanza che, nella sentenza in re Sala
Capriasca, il Tribunale federale aveva rilevato che l'art. 20 cpv. 3 Cost./TI
si applica "in via eccezionale" (consid. 6 e 8). Su questo tema il Tribunale
federale si è espresso nelle sentenze in re Comune di Bignasco e Comune di
Muggio, alle quali si rinvia. D'altra parte, sia nel messaggio governativo sia
nel rapporto granconsiliare sia ancora durante i dibattiti parlamentari
concernenti l'aggregazione litigiosa, le autorità cantonali hanno tenuto conto
di questa esigenza, valutando ripetutamente e sotto vari aspetti l'esito
negativo della votazione consultiva a San Nazzaro e, come si vedrà, l'assenza
di alternative valide. Esse hanno infatti considerato, contrariamente al
ricorrente che a torto non vi accorda alcun peso, l'interesse generale ai sensi
dell'art. 8 LASC, segnatamente quello degli altri Comuni chiaramente favorevoli
all'aggregazione a nove.

5.2 Sempre riguardo al requisito dell'eccezionalità, il ricorrente afferma che
l'aggregazione coatta sarebbe ormai divenuta una costante prassi ticinese,
indicando in particolare i progetti che hanno avuto esito negativo nella
votazione consultiva, ma che non di meno sono sfociati in una fusione coatta
(sullo stato delle aggregazioni ultimate, abbandonate, votate e non votate nel
Cantone Ticino vedi: www.ti.ch/DI/DI/SezEL/riforma/). Del resto, con scritto
del 14 luglio 2009, il Dipartimento delle istituzioni ha sottoposto in
consultazione ai Municipi dei Comuni ticinesi un progetto di revisione della
LASC. Il ricorrente adduce, manifestamente a torto, che il Tribunale federale
avrebbe avallato questa prassi. Esso continua infatti a misconoscere che il
Tribunale federale non deve esprimersi a livello teorico e generale sulla
politica delle aggregazioni nel Canton Ticino, ma esaminare se, nei singoli
specifici casi sottoposti al suo giudizio, l'impugnata fusione leda in maniera
arbitraria la normativa cantonale. Non gli spetta infatti di pronunciarsi
compiutamente su progetti non oggetto di ricorso.

6.
6.1 Come rettamente rilevato dal Consiglio di Stato nelle osservazioni al
ricorso, le motivazioni dell'impugnato decreto, che seppure emanato dal Gran
Consiglio non costituisce un atto di natura legislativa bensì amministrativa,
ossia una decisione concernente l'applicazione del diritto (DTF 131 I 91
consid. 3.1 e rinvii), sono contenute nel messaggio governativo n. 6058 del 16
aprile 2008 e nel relativo rapporto della Commissione speciale aggregazione dei
Comuni del Gran Consiglio dell'11 giugno 2008.

6.2 Nel citato messaggio, il Governo ha ricordato che nel 2003 le autorità
comunali, e per esse l'Associazione dei Comuni del Gambarogno, Circolo del
Gambarogno (ASSCO), avevano avviato le prime riflessioni su una possibile
riorganizzazione istituzionale della regione, commissionando a un consulente
esterno, con la collaborazione della Sezione degli enti locali, uno studio
sulle possibilità di sviluppo del Gambarogno, sfociato nel 2005 nel "rapporto
sulle opzioni di sviluppo istituzionale, organizzativo e territoriale del
comprensorio del Gambarogno". Confrontate diverse ipotesi, lo studio proponeva
lo scenario di un "Comune unico" come quello più opportuno ed efficace,
considerato come ogni suddivisione in più entità comportasse una riduzione dei
vantaggi, senza proporne di nuovi. Il 21 ottobre 2005 l'ASSCO ha chiesto
l'avvio formale della procedura di aggregazione ai sensi dell'art. 4 LASC. il
Governo ha incaricato questa associazione, e per essa il suo Comitato direttivo
composto dei Sindaci dei nove Comuni, dei presidenti del Consorzio piano
regolatore e dell'Ente turistico del Gambarogno, di presentare una proposta di
fusione, trasmessa poi all'Esecutivo cantonale il 23 agosto 2007. La proposta
era appoggiata da otto Comuni, eccetto San Nazzaro che, a maggioranza, non vi
ha aderito.

La votazione consultiva ha avuto luogo il 25 novembre 2007. San Nazzaro si è
chiaramente opposto al progetto con 227 voti contrari (60%) e 154 (40%)
favorevoli, mentre negli altri otto Comuni la proposta ha avuto ampio consenso
(1336 voti favorevoli, ossia il 67%), con percentuali di sì comprese tra il 66
e l'84%. Dopo questo scrutinio, il Municipio di San Nazzaro ha trasmesso al
Direttore del Dipartimento delle istituzioni un documento "Comune di San
Nazzaro. Possibili convergenze e collaborazioni con il nuovo Comune del
Gambarogno. Progetto che mantiene le proprie peculiarità anche a otto Comuni",
nel quale ribadiva la sua volontà di voler rimanere comune a sé stante.
6.2.1
Sempre nel citato messaggio, il Governo ha sottolineato la posizione centrale
di San Nazzaro, che divide la parte alta e bassa del comprensorio. Ha ritenuto
che senza di esso la contiguità territoriale sarebbe puramente formale, poiché
il collegamento Piazzogna - Indemini - Gerra esiste solo sulla carta, ma non è
praticabile. L'Esecutivo cantonale ha poi esaminato i vari scenari (l'abbandono
del progetto o la sua realizzazione con otto Comuni, senza San Nazzaro) e la
proposta di aggregazione posta in votazione (nove Comuni): non ha esaminato
oltre la possibilità di un'eventuale fusione limitata all'Alto Gambarogno,
rilevato che già nel quadro del menzionato studio erano state approfondite e
scartate varianti diverse da quelle del comprensorio unico. Ha poi rifiutato
l'abbandono del progetto, ritenendo che l'opposizione di San Nazzaro rivestiva
una valenza importante ma non decisiva, poiché non poteva condizionare le
aspirazioni di tutto il comparto. Il Governo ha quindi esaminato le due
ipotesi: aggregazione a otto con "isola" di San Nazzaro oppure fusione coatta.
Riguardo a quest'ultima opzione, esso ha accertato che nel comprensorio il
nuovo Comune è sorretto da un vasto, solido e diffuso appoggio popolare, mentre
una proposta senza San Nazzaro, con la conseguente cesura nel mezzo, non
avrebbe analogo sostegno. Valutando l'interesse generale, esso ha tenuto conto
degli scopi delle fusioni indicati all'art. 2 LASC, ricordando che i Comuni di
Indemini e Contone si trovano in una situazione di dissesto finanziario, che ne
impone il risanamento. La soluzione, che non poteva essere disgiunta dal
discorso aggregativo nel quale è previsto un sostegno finanziario di sei
milioni di franchi, implicava un comprensorio unito, comprensivo quindi di San
Nazzaro.

6.2.2 Il Governo ha ritenuto che l'opposizione di San Nazzaro era
verosimilmente riconducibile al suo moltiplicatore d'imposta (75%), inferiore a
quello previsto per il nuovo Comune (85%). Ha aggiunto che si poneva tuttavia
il discorso di una ridistribuzione regionale delle risorse, per cui nell'ottica
cantonale non poteva essere privilegiato un discorso di autonomia sul breve
termine a discapito di uno sviluppo istituzionale (l'aggregazione dell'intero
comparto) che tenesse conto anche del principio di solidarietà e che
promuovesse un benessere duraturo su un più importante comparto territoriale.
Solo il Gambarogno unito poteva quindi rappresentare un potenziale forte,
differenziato e complementare quale interlocutore dei limitrofi agglomerati
urbani di Bellinzona e Locarno.

6.2.3 Riguardo alla necessità del coinvolgimento del Comune ricorrente, il
Governo ha rilevato ch'esso avrebbe potuto continuare, perlomeno
nell'immediato, la propria strada, essendo pure immaginabile che venga
accerchiato dal nuovo Comune e che sia possibile trovare in tale ambito
modalità di organizzazione più o meno onerose ed efficaci. La costituzione di
enti maggiormente democratici, responsabili, autonomi e promotori di progetti,
oltre agli aspetti territoriali, non poteva tuttavia prevedere la creazione di
un'enclave, ricordate altresì le importanti risorse finanziarie iniettate quali
misure di sostegno nel progetto aggregativo. L'inserimento di San Nazzaro, ha
concluso quindi il Governo, si imponeva per manifeste ragioni di natura
territoriale, ritenuto che la sua assenza avrebbe diviso in due la fascia
lacustre, interrompendo i collegamenti con i tre Comuni del Basso Gambarogno:
sotto il profilo pianificatorio, organizzativo e gestionale, una siffatta
cesura sarebbe un puro controsenso. La legislazione in materia di aggregazioni
(art. 2 cpv. 2 lett. c LASC) indica infatti come obiettivo la costituzione di
entità territoriali coerenti. Per di più, il progetto della valorizzazione
della riva lago avrebbe avuto un senso solo se l'aggregazione comprendeva
l'intera riva. La mancata inclusione di San Nazzaro impedirebbe pure di
sciogliere numerose e importati forme di collaborazione intercomunale,
segnatamente la riduzione del numero dei Consorzi. San Nazzaro rappresenta
circa un sesto/settimo del territorio, il 15% degli abitanti, il 13% dei posti
lavoro, il 18% delle risorse fiscali e il 15% delle spese, per cui ha un peso
significativo, anche se non assolutamente decisivo. Esso assume comunque una
posizione centrale, senza la quale la parte bassa del comprensorio si
troverebbe maggiormente emarginata, con un conseguente eccessivo sbilanciamento
verso la parte alta del comparto.

6.3 Nel rapporto dell'11 giugno 2008 sul citato messaggio, la Commissione
speciale aggregazione dei Comuni rileva che, nel comprensorio, San Nazzaro
risulta tra i Comuni con le risorse fiscali per abitante più alte e con
l'indice di forza finanziaria più elevato, ma pur sempre inferiore alla media
cantonale, ritenuta la differenza più sostanziale nel moltiplicatore applicato.
Al riguardo ha tuttavia precisato che il ricorrente ha compiuto gli
ammortamenti al tasso minimo prescritto dalla legge, per cui il suo raddoppio,
previsto da una recente revisione legislativa, comporterebbe un maggior onere
di oltre 200'000.-- franchi. Anch'essa ha ritenuto che, benché i motivi
dell'opposizione siano più di uno, il moltiplicatore abbia sicuramente svolto
un ruolo non trascurabile. Ha ricordato che prima di decidere essa ha udito
tutte le parti, concludendo che nella fattispecie, rispetto all'esito negativo
del voto consultivo in un singolo comune, doveva prevalere una valutazione
dell'interesse generale. Ha quindi ritenuto l'inclusione di San Nazzaro come
ampiamente giustificata proprio per la salvaguardia dell'integrità del
comprensorio, visto che nel caso in esame la coerenza territoriale, sovente
evocata nei recenti dibattiti parlamentari, è innegabile. L'esclusione di San
Nazzaro, pur non rompendo topologicamente la contiguità del territorio,
causerebbe una separazione di fatto tra Alto e Basso Gambarogno, il
collegamento montano attraverso Indemini essendo del tutto teorico.
L'esclusione penalizzerebbe inoltre i nuclei del Basso Gambarogno, che
resterebbero tagliati fuori dal resto del Comune: senza San Nazzaro, il
baricentro del nuovo Comune sarebbe spostato decisamente verso il polo di
Magadino e Contone. Importanti progetti, come la valorizzazione della riva del
lago, non potrebbero essere realizzati. Si tratterrebbe inoltre di una
soluzione parziale, con indubbio carattere di provvisorietà: soluzione che,
avversata oggi, sarebbe con tutta probabilità inevitabile domani.

6.4 Nel rapporto di minoranza del 19 giugno 2008, criticata la LASC, ci si è
limitati ad addurre che le aggregazioni coatte "proprio non le condividiamo" e
a sostenere che finora sarebbero stati forzatamente fusionati solo comuni che
presentavano situazioni finanziarie catastrofiche.

6.5 Nell'ambito dei dibattiti parlamentari sono stati essenzialmente ribaditi
gli esposti a favore e a sfavore della fusione coatta già presenti negli atti
preparatori. I parlamentati intervenuti hanno poi ribadito la facoltà del Gran
Consiglio di procedere a un'aggregazione coatta, la valenza del principio della
solidarietà intercomunale, nonché della volontà della maggioranza della
popolazione di un comprensorio rispetto a quella di un singolo comune,
rilevando che l'esclusione di San Nazzaro renderebbe oltremodo difficile
disciplinare per il tramite di convenzioni puntuali i vari rapporti con il
nuovo Comune, permettendo inoltre la creazione di un comprensorio con
contiguità, ma senza coerenza territoriale.

7.
7.1 Il Comune ricorrente, sottolineata la sua assenza di precarietà, insiste
sulla sua ottima situazione socio-economica e finanziaria, nonché demografica,
ritenuto l'aumento negli ultimi decenni della popolazione domiciliata di 700
persone e con una popolazione estiva, grazie all'importante numero di case
secondarie (circa il 70%), di 4'000 residenti. Rileva l'assenza di carenze
amministrative o finanziarie. Ribadisce poi, a sfavore della sua fusione
coatta, l'asserito mancato adempimento dell'esigenza dell'"ultima ratio",
poiché la stessa, a suo dire, potrebbe essere imposta solo a comuni precari
sotto tutti gli aspetti ma non riferita all'intero progetto aggregativo, che
potrebbe essere abbandonato, nuovamente discusso, sospeso o continuato anche
senza la sua partecipazione.

7.2 La tesi ricorsuale non può essere seguita. In effetti, il ricorrente si
limita in sostanza ad addurre, anche se in maniera perentoria, che senza il
consenso dei cittadini di un comune una fusione coatta non sarebbe
realizzabile. Come si è visto, tale assunto non regge, ricordato che nel
Cantone Ticino l'aggregazione coatta era peraltro già contemplata nella
precedente legge del 1945, come rilevato nella sentenza in re Sala Capriasca
(consid. 6).

7.3 Riguardo alla contestata necessità della sua partecipazione al progetto
aggregativo, il ricorrente sostiene che il nuovo ente manterrebbe la sua
validità anche con otto Comuni e ricorda ch'esso non è il Comune più forte del
progetto. Con questo accenno esso però non dimostra affatto l'arbitrarietà
della tesi governativa, secondo cui il suo apporto di risorse umane e
finanziare, anche se non decisivo, costituisce nondimeno un peso significativo
per il progetto. La necessità della partecipazione di San Nazzaro, anche sotto
il profilo di una forte giustificazione socio-economica, è d'altra parte
chiaramente condivisa dagli altri otto Comuni, per i quali a lungo termine non
è minimamente immaginabile e senza prospettiva politica una sua via solitaria
fuori dal territorio del Gambarogno.

7.4 Il ricorrente contesta, in maniera meramente appellatoria, l'argomentazione
della Commissione speciale aggregazione dei Comuni circa la necessità dello
scioglimento dei consorzi e delle convenzioni in vigore. Adduce che il nuovo
Comune subentrerebbe nei diritti e negli obblighi di quelli precedenti (art. 13
cpv. 3 LASC), per cui, considerata la surrogazione, non occorrerebbe cambiare
nulla. La tesi manifestamente non regge, ritenuto che l'aggregazione coatta
permette di superare, seguendo una nuova concezione, queste forme di
collaborazione intercomunale, riconosciute come delicate sotto il profilo
democratico. Senza la partecipazione di San Nazzaro, come rettamente ritenuto
dalla Commissione, è manifesto che queste collaborazioni regionali dovrebbero
essere riesaminate e adattate alla nuova situazione, in particolare per quanto
riguarda i Consorzi del piano regolatore, già in fase di revisione, e del
Centro scolastico del Gambarogno. Certo, come rilevato nel messaggio
governativo e indicato dal ricorrente, sarebbe possibile trovare modalità più o
meno onerose ed efficaci per organizzare queste nuove collaborazioni: ciò non
corrisponde tuttavia allo scopo previsto dall'art. 2 lett. f LASC, tendente
alla riduzione del numero dei consorzi. Nella fattispecie, la fusione coatta è
infatti concepita, come sottolineato dagli altri Comuni interessati, come la
logica continuazione dei rapporti di collaborazione già esistenti, per cui essa
non è inappropriata (DTF 131 I 91 consid. 3.3. pag. 101).

7.4.1 Certo, il ricorrente sostiene, invero sempre in maniera generica
limitandosi in sostanza a elencare le unità amministrative che non subirebbero
cambiamenti e le possibilità di una loro riorganizzazione, che il progetto
aggregativo a livello pratico potrebbe essere mantenuto anche senza la sua
partecipazione. Asserendo poi che le fusioni sarebbero sussidiarie ai consorzi,
esso non dimostra tuttavia l'arbitrarietà della criticata soluzione, di certo
conforme allo spirito della legge ticinese. Manifestamente a torto esso
sostiene, insistendo sull'"ultima ratio" e richiamando l'art. 19 Cost./TI, che
una fusione coatta potrebbe aver luogo soltanto qualora il comune interessato,
fatto uso di tutte le collaborazioni intercomunali possibili, rimanga in
condizioni di precarietà. Questa sua apodittica interpretazione non risulta
dalla richiamata dottrina (GUIDO CORTI, Introduzione in, Il Comune, 1997, pag.
2 e 3) e ancor meno dalla sentenza in re Sala Capriasca (consid. 8), emanata
anch'essa per di più prima dell'adozione dell'art. 2 lett. f LASC, nella quale
si precisa semplicemente che la fusione coatta va affrontata tenendo conto
anche degli altri mezzi istituzionali.

Il legislatore ticinese, adottando l'art. 2 lett. f LASC, ha in effetti
dimostrato la chiara volontà di voler ridurre il numero dei consorzi, che, come
sottolineato nei dibattiti parlamentari sulla fusione in esame, denotano un
certo deficit di democrazia, affinché le decisioni importanti vengano adottate
dal popolo, attraverso la possibilità del referendum. L'accenno ricorsuale ad
altre forme di collaborazione sovraccomunale, associazioni di comuni,
convenzioni raccolta rifiuti, scolastiche e Corpo pompieri del Gambarogno,
dimostrano peraltro che i problemi attuali non possono essere risolti nel
contesto di un singolo Comune e che l'esclusione di San Nazzaro comporterebbe
inevitabilmente la definizione di nuove collaborazioni con il nuovo Comune. La
scelta di regolare le necessarie collaborazioni nel quadro di un nuovo Ente
pubblico non è quindi per nulla arbitraria, anche sotto l'aspetto democratico.
In effetti, come precisato nel rapporto alla cittadinanza, il nuovo Comune
subentrerà nei consorzi, negli enti e nelle convenzioni, di cui fanno parte gli
attuali Comuni, in modo che l'attuale rete di collaborazioni intercomunali
potrà essere semplificata e il potere decisionale e di controllo restituito
all'autorità comunale e di conseguenza, indirettamente, a tutti i cittadini,
rafforzando quindi in pratica l'autonomia del nuovo Comune.
7.4.2 Per di più, nelle loro osservazioni al ricorso, i Comuni favorevoli alla
fusione insistono proprio sul fatto che la costituzione di numerosi consorzi, e
in particolare quello per la gestione del piano regolatore, è dimostrativa
dell'integrazione della regione in un unico territorio. Aggiungono che sarebbe
difficile risolvere la questione di alcuni consorzi, in particolare quello del
piano regolatore, e ancor più problematico scindere la gestione di un
territorio unitario per restituire a San Nazzaro competenze nel frattempo
trasferite al Consorzio regionale, sottolineando i problemi che si creerebbero
anche nella ridefinizione del Consorzio scolastico. Essi ricordano che, anche
dopo il voto negativo di San Nazzaro, i loro amministratori hanno ribadito che
un'aggregazione senza il ricorrente non entrava in linea di conto, visto che
gli interessi del Gambarogno sono largamente dipendenti dalle possibilità di
realizzare l'aggregazione completa: per loro, la criticata fusione presenta una
forte giustificazione socio-economica, per cui l'esclusione di San Nazzaro
diminuirebbe l'impatto e i vantaggi di importanti progetti che richiedono un
sostegno unitario della regione.

7.5 Il ricorrente disquisisce poi sulle nozioni di fusioni "per necessità" e di
"opportunità" alle quali si accenna nel messaggio governativo sulla LASC (pag.
7). Secondo la sua interpretazione, quando la fusione costituirebbe
un'"opportunità", essendo il comune autonomo e sufficiente, occorrerebbe
imperativamente il consenso degli interessati alla realizzazione del progetto,
poiché l'opportunità escluderebbe l'"ultima ratio", mentre solo qualora si
tratterebbe di "necessità", per comuni in situazioni precarie, sarebbe
ipotizzabile una fusione coatta. Al riguardo, adduce semplicemente che in
concreto era stato commissionato uno studio esplorativo sulle "opportunità" di
sviluppo del Gambarogno, per cui, sebbene la contestata fusione sia stata
ritenuta la soluzione migliore, non significherebbe ch'essa sia l'unica e
l'ultima valida. Con quest'argomentazione esso disconosce tuttavia che il
Tribunale federale non deve determinare quale sia la soluzione ottimale, ma
soltanto decidere se quella impugnata sia addirittura insostenibile e quindi
arbitraria, tenendo conto non soltanto di un singolo aspetto, come quello
dell'autonomia finanziaria di un comune sul quale insiste il ricorrente, ma del
risultato globale della ponderazione dei vari interessi in gioco, segnatamente
anche di quelli degli altri Comuni interessati dall'aggregazione. Ora, sia il
Governo sia il Parlamento cantonale sia gli altri Comuni hanno chiaramente
spiegato perché l'unica alternativa alla criticata variante unitaria, ossia la
fusione a otto Comuni, non poteva comunque, a lungo termine, entrare in linea
di conto. È del resto manifestamente errata la concezione propugnata dal
ricorrente che nel caso in cui un comune partecipi a un progetto di fusione per
opportunità, quella coatta sarebbe esclusa per legge.
8. Sempre in tema di "ultima ratio", il ricorrente sostiene che nel Cantone
Ticino sarebbe disattesa l'esigenza dell'"eccezionalità" delle fusioni coatte.
Su questo tema il Tribunale federale si è recentemente espresso nella causa
Comune di Muggio (consid. 3.4 e 4.3). Come si è visto, anche nella causa in
esame le autorità cantonali hanno tenuto conto di questa esigenza, valutando
ripetutamente e sotto vari aspetti l'esito negativo della votazione consultiva
a San Nazzaro e le peculiarità di questo Comune, ma pure, rettamente,
l'interesse degli altri Comuni chiaramente favorevoli all'aggregazione.

8.1 Il Consiglio di Stato ha infatti considerato che l'aggregazione nella forma
coatta deve costituire l'eccezione, proponendo tuttavia di attuarla nel caso in
esame, perché l'inclusione del Comune di San Nazzaro s'imponeva per ragioni di
natura territoriale e la sua esclusione avrebbe compromesso la realizzazione di
tutto il progetto aggregativo (art. 9 lett. b LASC), caldeggiato dagli altri
Comuni. Nelle osservazioni al ricorso, questi ultimi fanno valere che un Comune
del Gambarogno senza San Nazzaro apparirebbe come una sorta di "mostro"
geografico, venendo meno la contiguità territoriale. Nei dibattiti parlamentari
è poi stata sottolineata la necessità della tutela di un'entità territoriale
ben definita, precisando che la fusione non fa altro che sancire "de jure" una
situazione già esistente "de facto". Del resto, anche in tale ambito, il
ricorrente si limita a ribadire la sua tesi secondo cui la fusione coatta
potrebbe essere decretata soltanto quale "ultima ratio" riguardo a un comune
dalla situazione precaria e non a un progetto. La critica è inconsistente. Per
di più, il ricorrente disattende che in concreto l'esigenza dell'"ultima ratio"
non si riferisce affatto alla situazione finanziaria, bensì alla posizione
geografica del Comune, a ragioni pianificatorie e territoriali, di sviluppo
economico, di funzionalità dei servizi e al suo apporto di risorse umane e
finanziarie.

8.2 Il ricorrente disattende inoltre che il criterio della solidarietà
intercomunale, proprio dell'aggregazione in esame, è già stato esaminato dal
Tribunale federale nella sentenza in re Sala Capriasca. In quel giudizio,
contrariamente all'assunto ricorsuale, è stato ritenuto come chiaro che non si
possa restringere una fusione forzata ai soli Comuni deboli e deficitari sotto
vari punti di vista, perché il risultato né sarebbe di dissolvere o diminuire
il disagio né tanto meno di formare nell'interesse generale le volute e
appropriate entità efficienti, constatando che un bisogno di solidarietà
intercomunale possa essere imprescindibile (consid. 6 e 7). L'affermazione del
ricorrente, secondo cui questa conclusione non sarebbe condivisibile perché il
criterio su cui fonda non compare nei lavori preparatori alla Costituzione
cantonale, non induce chiaramente a rivederla, ritenuto ch'esso risulta dal
senso e dalla portata dell'art. 9 lett. b LASC. Per di più, anche nel messaggio
governativo alla LASC si fa esplicito riferimento alla "solidarietà
intercomunale", indicando che, contrariamente alla tesi ricorsuale, la legge
offre le premesse per poter procedere ad aggregazioni che coinvolgono anche un
comune finanziariamente e amministrativamente solido (pag. 27-29). Il
ricorrente disattende del resto, che neppure le esigenze dell'"ultima ratio" e
dell'"eccezionalità", sulle quali è incentrato il gravame, figurano nella
Costituzione cantonale e nella legge di applicazione.

D'altra parte, anche in questo contesto, esso si limita a insistere
sull'infondato assunto che il Costituente avrebbe previsto la fusione coatta
solo per i casi di precarietà. A torto sostiene quindi che si potrebbe parlare
di solidarietà solo dal punto di vista del comune favorevole all'aggregazione e
non di quello che vi si oppone. Irrilevante è inoltre il rilievo che la
sentenza in re Sala Capriasca si riferiva alla LFSC del 1945, ritenuto che pure
detta decisione si fondava sull'art. 20 cpv. 3 Cost./TI. In merito alla sua
solidarietà intercomunale indica poi solamente ch'esso contribuisce alla
perequazione intercomunale, impegno che tuttavia è stabilito dalla legge.
9. Secondo il ricorrente, la criticata aggregazione lederebbe il principio
della proporzionalità (art. 5 cpv. 2 e 36 cpv. 3 Cost.). Anche sotto questo
profilo, esso adduce semplicemente che la fusione non sarebbe idonea, adeguata
e necessaria in quanto è già totalmente autonomo. Insistendo su un asserito
interesse del Cantone, il ricorrente disattende ancora una volta che si tratta
dell'interesse prevalente degli altri otto Comuni.

10.

10.1 Il ricorrente censura poi una violazione del principio di uguaglianza
(art. 8 Cost.). Come si vedrà, l'assunto non regge: contrariamente a quanto da
esso sostenuto, non si è infatti in presenza di situazioni simili e l'asserita
disparità di trattamento non è dimostrata (DTF 131 I 91 consid. 3.4 pag. 103).

Del resto, proprio dai richiami della Commissione speciale aggregazione dei
Comuni, riferiti peraltro a un'altra fusione, risulta ch'essa ha ritenuto come
ogni singola situazione sia diversa, per cui è impossibile stabilire una regola
generale per determinare quando un'aggregazione coatta sia giustificata. In
effetti, sia la specificità di qualsiasi aggregazione di comuni sia il fatto
stesso della necessità di procedere in materia a determinate scelte per la
determinazione del comprensorio fanno sì che difficilmente una fusione possa
essere assimilata ad un'altra. In questo senso, nell'ambito delle aggregazioni
dei comuni, il principio dell'uguaglianza di trattamento non può che avere una
portata limitata e si identifica in sostanza con il divieto dell'arbitrio.

10.2 Al riguardo il ricorrente elenca asseriti casi analoghi trattati
differentemente dal suo, segnatamente quello del Comune di Cadro con Lugano,
per il quale il Consiglio di Stato aveva proposto di abbandonare
l'aggregazione, unitamente a quella di Villa Luganese. Il Parlamento ha
decretato la fusione di Villa Luganese con Lugano, creando un'enclave, in
dispregio di un discorso di coerenza territoriale (su questi casi cfr. le
sentenze 1C_181/2007 del 9 agosto 2007, 1C_45/2008 e 1C_53/2008 del 19 marzo
2008). Certo occorre dare atto al ricorrente, che già nella sentenza in re Sala
Capriasca era stato posto l'accento sull'esigenza di un comprensorio unitario
(consid. 7). Al riguardo occorre nondimeno rilevare che il Tribunale federale,
ricordato che detta fusione era stata impugnata soltanto da cittadini di un
altro Comune non legittimati a insorgere, non ha potuto esprimersi nel merito.

Considerata la genericità delle esposizioni del ricorrente, del resto in
violazione del suo obbligo di motivazione (art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF), su
altri singoli progetti aggregativi invocati, sui quali il Tribunale federale
non si è pronunciato nel merito, esso non può essere chiamato a esprimersi al
riguardo.

Ciò vale segnatamente per i progetti della Media Leventina, della Verzasca, del
Medio Malcantone, di Cugnasco e Gerra Verzasca (Piano), con la particolarità
del quartiere di Gerre di Sotto quale enclave del Comune di Locarno, ma anche
per il progetto di fusione di Chiasso, che dopo la votazione negativa di
Vacallo e Morbio Inferiore è stato accantonato, come nel caso del progetto di
Pedemonte (Comuni di Cavigliano, Tegna e Verscio) in seguito al voto contrario
di Tegna. Il ricorrente rileva inoltre l'abbandono del progetto d'aggregazione
di Stabio-Ligornetto a causa dell'esito negativo della votazione consultiva.
Questi accenni, che non tengono conto degli altri criteri posti a fondamento di
quelle decisioni, non dimostrano l'asserita disparità di trattamento.

Quali casi asseritamente differenti, trattati in maniera analoga al suo, esso
indica quello di Lugaggia, nell'ambito della fusione della Capriasca, rilevando
che Sala, seppure non in una situazione finanziaria precaria, è stata oggetto
di fusione coatta perché si trovava, come San Nazzaro, al centro del
comprensorio, mentre il Governo vi aveva però escluso Lugaggia per l'importante
scarto tra i voti contrari e quelli favorevoli e poiché la sua presenza nel
nuovo Comune non era stata ritenuta determinante (consid. 9). Ora, vista la sua
situazione territoriale e finanziaria, il ricorrente rettamente è stato
trattato come Sala e non come Lugaggia.

Il ricorrente richiama poi la fusione coatta di Dongio, nel quadro del progetto
Acquarossa, Comune che si trova all'esterno del comprensorio aggregativo ma con
una situazione finanziaria precaria, come era anche il caso per il Comune di
Bignasco. L'aggregazione coatta di Aquila, sebbene pur disponendo di poche
risorse non presentasse una situazione finanziaria particolarmente degradata,
era anch'essa giustificata tra l'altro per motivi di coerenza territoriale. La
fusione di Muggio è stata dettata principalmente dalle sue precarie condizioni
economiche e finanziarie. Anche questi casi non sono quindi paragonabili a
quello in esame. È infatti a torto che il ricorrente sostiene ch'esso sarebbe
stato trattato alla stregua di comuni che versano in situazioni precarie. Il
suo coinvolgimento non è infatti stato dettato da queste ragioni, bensì, oltre
che dai motivi sopraccitati, dalla sua particolare posizione geografica.

Del resto, il ricorrente medesimo, esprimendosi sul progetto di aggregazione
del Monteceneri, sottolinea che né per il Gambarogno né per l'Alto Vedeggio si
tratta di fusioni paragonabili a quelle che negli anni scorsi hanno interessato
le Valli, per cui lui stesso nega o per lo meno affievolisce le asserite
similitudini.

Il ricorrente insiste sull'asserita disparità con l'aggregazione del
Monteceneri, il cui esito non è comunque ancora definitivo, dovendosi il
Tribunale federale ancora esprimere su determinati aspetti.
Il ricorrente adduce poi altri casi di Comuni precari, nell'ambito dei quali i
progetti aggregativi sono stati abbandonati: il progetto Media-Leventina, dove
solo quattro Comuni erano favorevoli e ben undici contrari alla fusione; il
progetto Verzasca, dove su nove Comuni soltanto quattro erano favorevoli,
mentre cinque si sono opposti; quello del Medio-Malcantone in cui la
maggioranza dei votanti (56.6%) ha respinto il progetto aggregativo. Ora, come
peraltro ammesso dal ricorrente stesso, questi chiari esiti delle votazioni non
sono per nulla paragonabili a quello del progetto in esame, per cui non vi è
alcuna disparità di trattamento.

10.3 Per di più, proprio i casi invocati dal ricorrente dimostrano chiaramente
che l'eventuale esito negativo di una votazione consultiva, di per sé, non
comporta affatto un'aggregazione coatta, ma che le autorità cantonali vagliano
compiutamente ogni singolo progetto, a volte anche con esito diverso tra il
Governo e il Parlamento, che sfocia, in ossequio al principio della
proporzionalità, sia in un abbandono sia in una sospensione del progetto sia
ancora in una fusione coatta, proprio a dipendenza delle peculiarità delle
singole fattispecie difficilmente comparabili. Come già rilevato, il principio
della parità di trattamento ha una portata attenuata nella materia in esame,
nell'ambito della quale all'autorità cantonale spetta un potere d'apprezzamento
piuttosto importante (cfr. sentenza in re Sala Capriasca, consid. 9).

11.

11.1 Il ricorrente fa pure valere un'applicazione arbitraria della LASC. In
tale ambito, egli riprende in sostanza le censure d'incostituzionalità di detta
legge, quelle dell'asserita assenza di un interesse generale e della necessità
dell'aggregazione, dell'affermata pretesa impossibilità di una fusione coatta
nell'ambito di un progetto di opportunità, dilungandosi sulla sua situazione
finanziaria, sulla portata della votazione consultiva e sull'esigenza
dell'"ultima ratio". Queste critiche, come si è visto, non reggono. Riguardo
agli scopi perseguiti dall'art. 2 LASC, il ricorrente si limita a rilevare che
riguardo alla funzionalità dei servizi in futuro gli interlocutori saranno solo
due, San Nazzaro e il nuovo Comune. Critica poi, tuttavia in maniera meramente
appellatoria, i già citati argomenti contrari esposti dalle autorità cantonali.

11.2 Sul motivo principale della fusione, segnatamente sulla sua posizione
geografica all'interno del contestato progetto, il ricorrente praticamente non
si esprime, come del resto nemmeno lo fa sulla delicata questione, decisiva,
dell'esigenza di creare un'entità territoriale coerente, conformemente
all'obiettivo dell'art. 2 cpv. 2 lett. c LASC (sulla contiguità territoriale
vedi anche il rapporto n. 5355 del 19 novembre 2003 della Commissione della
legislazione sul messaggio concernente la LASC, pag. 8 seg. e il rapporto
relativo alla fusione di Villa Luganese). Esso spende poche righe su questo
punto determinante, mentre si diffonde in maniera inutilmente prolissa su
questioni già esaminate e decise dal Tribunale federale, per finire con
rilevare che anche in futuro il transito sul suo territorio sarà garantito a
tutti e che il concetto di coerenza territoriale avrebbe dimostrato tutti i
suoi limiti nel caso della fusione di Villa Luganese con Lugano.

Il ricorrente continua inoltre a disattendere che, trattandosi di circostanze
locali meglio conosciute e valutate dalle autorità cantonali, il Tribunale
federale s'impone un certo riserbo nel valutare le variegate situazioni locali,
e si astiene dall'interferire in questioni di spiccato apprezzamento (cfr. al
proposito anche sentenza in re Bignasco consid. 4.6 in fine), come pure che la
criticata fusione non è stata decisa soltanto per attuare la contestata
politica cantonale delle fusioni, ma è stata voluta e plebiscitata dai
cittadini degli altri otto Comuni coinvolti nel progetto in esame.

12.

12.1 Il ricorrente si diffonde infine sull'asserita lesione dell'art. 5 della
Carta europea dell'autonomia locale, conclusa a Strasburgo il 15 ottobre 1985
(RS 0.102), direttamente applicabile, secondo cui per ogni modifica dei limiti
territoriali, le collettività locali interessate dovranno essere
preliminarmente consultate, eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia
consentito dalla legge. Al riguardo il ricorrente riprende l'argomentazione
addotta dal suo legale nella causa del Comune di Muggio, alla quale per brevità
si rinvia. In quella sentenza è stato infatti stabilito che l'aggregazione
coatta di comuni ticinesi decretata dal Gran Consiglio non viola l'invocata
norma (consid. 11; in tal senso anche FETZ, op. cit., pag. 153 e 159, il quale
precisa come sia chiaro che un esito negativo della votazione popolare non
possa impedire un'aggregazione coatta).

12.2 Del resto, in concreto, il ricorrente accenna semplicemente e pertanto in
maniera inammissibile al fatto che "generalmente" nei progetti di fusioni
ticinesi l'informazione alla cittadinanza sarebbe carente. Ora, come si è
visto, nella fattispecie i cittadini dei Comuni interessati dall'aggregazione
litigiosa sono stati consultati, segnatamente nel quadro della citata votazione
consultiva, preceduta dal rapporto alla cittadinanza loro distribuito. Essi
hanno poi potuto informarsi sullo sviluppo del progetto, in particolare nel
quadro delle serate informative e anche attraverso i mass media. I
rappresentanti del ricorrente sono inoltre stati uditi dalla Commissione
speciale aggregazione dei Comuni. Il ricorrente disattende d'altra parte che il
criticato decreto legislativo, come previsto dall'invocata Carta, prevede la
possibilità di sottoporlo a referendum, per lo meno finanziario (cfr. il parere
di CORTI, Aggregazioni comunali e referendum popolare, in RtiD 2007 II pag. 349
segg.).

12.3 Sempre riguardo all'asserita violazione della Carta, il ricorrente si
limita a criticare, in sostanza e peraltro in maniera del tutto generica,
l'informazione fornita ai cittadini nel quadro della votazione consultiva, a
suo dire parziale, improntata più sui vantaggi che sugli svantaggi della
fusione. Questa critica, come rettamente rilevato dal Consiglio di Stato nelle
osservazioni al ricorso, è manifestamente tardiva, per cui nemmeno occorre
esaminare oltre la questione di sapere se il Comune sia o meno legittimato a
sollevarla. È infatti palese che i cittadini erano legittimati a proporre un
eventuale ricorso concernente il loro diritto di voto, adducendo semmai
l'asserita carente informazione dei relativi atti preparatori (al riguardo vedi
la sentenza 1C_181/2007 del 9 agosto 2007).

13.
Ne segue che, in quanto ammissibile, il ricorso dev'essere respinto. Non si
prelevano spese giudiziarie (art. 66 cpv. 4 LTF).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto

2.
Non si prelevano spese giudiziarie.

3.
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, ai Municipi di Caviano, Contone,
Gerra-Gambarogno, Indemini, Magadino, Sant'Abbondio e Vira Gambarogno, al
Consiglio di Stato e al Gran Consiglio del Cantone Ticino.

Losanna, 24 agosto 2009

In nome della I Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il Presidente: Il Cancelliere:

Féraud Crameri