Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

II. Zivilrechtliche Abteilung, Beschwerde in Zivilsachen 5A.267/2007
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Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal

{T 1/2}
5A_267/2007 /biz

Sentenza del 30 settembre 2008
II Corte di diritto civile

Composizione
Giudici federali Raselli, Presidente,
Hohl, Marazzi,
Cancelliere Piatti.

Parti
Bank Hapoalim (Switzerland) Ltd.,
ricorrente, patrocinata dall'avv. dott. Gianluca Airaghi,

contro

Parmalat Netherlands B.V.,
Parmalat Finance Corp. B.V.,
Parmalat SpA in amm. straord.,
opponenti,
rappresentate dal commissario straordinario dott. Enrico Bondi, e patrocinate
dall'avv. Ivan Paparelli,

Oggetto
omologazione del concordato; riconoscimento in Svizzera di diverse decisioni
italiane,

ricorso contro la sentenza emanata il 24 aprile 2007 dalla Camera di esecuzione
e fallimenti del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

Fatti:

A.
A.a A seguito del noto crack Parmalat, fra dicembre 2003 e gennaio 2004 il
Ministero italiano delle attività produttive ammise alcune società del gruppo -
e fra queste le qui opponenti Parmalat SpA, Parmalat Netherlands B.V. e
Parmalat Finance Corporation B.V. - alla procedura di amministrazione
straordinaria. A commissario straordinario fu nominato il dott. Enrico Bondi.
Fra dicembre 2003 e febbraio 2004, il Tribunale di Parma accertò giudizialmente
lo stato di insolvenza delle tre società. Con sentenza del 1° ottobre 2005, la
medesima autorità giudiziaria italiana omologò il concordato relativo a sedici
società del gruppo, fra le quali anche le qui opponenti.
A.b Posto come le tre società qui opponenti possedessero tre conti presso la
banca UBS SA di Lugano, rispettivamente un credito nei confronti della società
Parmalat International SA in liquidazione, pure con sede a Lugano, il
commissario straordinario chiese il riconoscimento in Svizzera delle decisioni
ministeriali e giudiziarie sopraccitate. A tale riconoscimento si oppose, con
allegato 31 agosto 2006, Bank Hapoalim (Switzerland) Ltd., Zurigo.

B.
Con la sentenza 24 aprile 2007 qui impugnata, la Camera di esecuzione e
fallimenti del Tribunale di appello del Cantone Ticino ha accolto, nella misura
in cui fossero ricevibili, le menzionate istanze, ed ha conseguentemente
riconosciuto in Svizzera il concordato omologato il 1° ottobre 2005 dal
Tribunale di Parma. Tassa e spese di giustizia sono state poste a carico delle
parti in misura di 2/3 per le tre società Parmalat ed 1/3 della qui ricorrente.

C.
C.a Bank Hapoalim (Switzerland) Ltd., Zurigo, ha inoltrato contro la sentenza
dell'autorità suprema ticinese il presente ricorso in materia civile, chiedendo
in via principale la reiezione delle istanze, in via subordinata il rinvio
all'autorità inferiore per nuova decisione, sub-subeventualmente la nomina di
un commissario aggiunto svizzero nonché una nuova pronuncia dell'autorità
inferiore riguardo al riconoscimento dell'elenco dei creditori.

C.b Con osservazioni 12 giugno 2008, le opponenti chiedono la reiezione del
ricorso. Con decreto 18 giugno 2007 del Presidente della II Camera di diritto
civile del Tribunale federale, al ricorso è stato conferito l'effetto
sospensivo.

Diritto:

1.
1.1 Il Tribunale federale si pronuncia d'ufficio e con pieno potere d'esame
sulla propria competenza e sull'ammissibilità del rimedio esperito (art. 29
cpv. 1 LTF; DTF 133 III 462 consid. 2).

1.2 La vertenza, manifestamente di natura internazionale, non cade nel campo di
applicazione della Convenzione di Lugano (art. 1 cpv. 2 n. 2 CL [RS 0.275.11];
DTF 134 III 366 consid. 4.2; 129 III 683 consid. 3.2) né in quello del Trattato
di domicilio e consolare tra la Svizzera e l'Italia del 1868 (RS 0.142.114.541;
DTF 134 III 366 consid. 4.3). Ne discende l'applicabilità alla presente
vertenza della LDIP, peraltro incontestata.

1.3 Il ricorso appare essere stato interposto tempestivamente (art. 100 cpv. 1
LTF) dalla parte soccombente in sede cantonale (art. 76 cpv. 1 lett. a LTF)
contro una decisione finale (art. 90 LTF) pronunciata dall'autorità ticinese di
ultima istanza (art. 75 cpv. 1 LTF) in una causa in materia di esecuzione e
fallimento (art. 72 cpv. 2 lett. a LTF; Stephen V. Berti, in Basler Kommentar,
Internationales Privatrecht, 2a ed. 2007, n. 23 ad art. 167 LDIP).

1.4 La ricorrente solleva, giustamente, la questione del valore litigioso. In
assenza di una norma che tratti specificamente dell'impugnabilità di una
sentenza quale quella in discussione, si potrebbe ipotizzare di assimilarla ad
una qualsiasi altra causa di carattere pecuniario, senz'altro preminente
nell'agire dell'amministrazione fallimentare (o concordataria) estera che pone
in atto quanto necessario per avviare una procedura ancillare in Svizzera ai
sensi dell'undicesimo capitolo della LDIP. Inoltre, il raggiungimento di un
valore litigioso minimo pari a fr. 30'000.-- è requisito che vale di massima
anche in vertenze in materia di esecuzione e fallimento (art. 74 cpv. 1 lett. b
LTF). Tuttavia, va considerato che l'accoglimento di un'istanza di
riconoscimento in Svizzera di decisioni fallimentari rispettivamente
concordatarie estere esplica effetti essenzialmente simili, se non proprio del
tutto identici, all'apertura di un fallimento interno (art. 170 cpv. 1 LDIP;
Berti, op. cit., n. 4 ad art. 170 LDIP e n. 42 in fine ad art. 166 LDIP).
L'analogia più stretta sussiste dunque con le decisioni del giudice del
fallimento e concordato (interni), che in virtù dell'art. 74 cpv. 2 lett. d LTF
sono impugnabili senza riguardo al valore di causa (DTF 133 III 687 consid.
1.2).

1.5 Ciò detto, il gravame rispetta le menzionate esigenze formali e può essere
esaminato nel merito.

2.
2.1 Il Tribunale federale fonda la propria sentenza sui fatti accertati
dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). L'accertamento dei fatti può
essere censurato unicamente se è stato svolto in violazione del diritto ai
sensi dell'art. 95 LTF oppure in maniera manifestamente inesatta (art. 97 cpv.
1 LTF); quest'ultima definizione corrisponde a quella di arbitrio vigente sotto
l'egida dell'abrogata legge sull'organizzazione giudiziaria (art. 90 cpv. 1
lett. b OG; DTF 133 II 249 consid. 1.2.2 pag. 252) e configura a sua volta una
violazione del diritto (art. 9 Cost.; DTF 134 IV 36 consid. 1.4.1 pag. 39).
Poiché il divieto d'arbitrio rientra fra i diritti fondamentali, la censura
relativa ad una sua violazione va espressamente sollevata e motivata in termini
qualificati (art. 106 cpv. 2 LTF; in proposito, v. consid. 2.3 infra). Inoltre,
la censura di arbitrio nell'accertamento dei fatti è ammissibile unicamente
qualora l'eliminazione del vizio possa essere determinante per l'esito del
procedimento (art. 97 cpv. 1 LTF), ciò che il ricorrente deve puntualmente
allegare e dimostrare.

2.2 Con ricorso in materia civile il ricorrente può far valere la violazione
del diritto svizzero rispettivamente estero ai sensi degli artt. 95 e 96 LTF.
Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto (art. 106 cpv. 1 LTF). Non è
limitato né dagli argomenti sollevati nel ricorso né dalla motivazione
dell'istanza inferiore. Può pertanto accogliere il gravame per un motivo
diverso da quelli invocati, ma pure respingerlo con una motivazione diversa da
quella adottata nella decisione impugnata (DTF 130 III 136 consid. 1.4 in fine,
297 consid. 3.1). In considerazione delle esigenze di motivazione esposte
all'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, la cui mancata ottemperanza conduce
all'inammissibilità del gravame (art. 108 cpv. 1 lett. b LTF; DTF 133 III 589
consid. 2 pag. 591 seg.), il Tribunale federale esamina tuttavia di principio
unicamente le censure sollevate; non è tenuto, come lo è invece un'autorità di
prima istanza, ad esaminare tutte le questioni giuridiche possibili, se queste
non gli vengono (più) riproposte (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1, 545 consid.
2.2).

2.3 In applicazione dell'art. 106 cpv. 2 LTF, il Tribunale federale esamina la
pretesa violazione di diritti fondamentali soltanto se tale censura è stata
espressamente invocata e motivata dal ricorrente. Come già sotto l'egida
dell'art. 90 cpv. 1 lett. b OG, le cui esigenze restano determinanti per le
censure sottoposte al principio dell'allegazione secondo l'art. 106 cpv. 2 LTF
(DTF 133 III 638 consid. 2 pag. 639; Messaggio del 28 febbraio 2001 concernente
la revisione totale dell'organizzazione giudiziaria federale, FF 2001 3900 n.
4.1.4.5), il ricorrente che lamenta una violazione del divieto d'arbitrio non
può limitarsi a criticare la decisione impugnata come in una procedura
d'appello, dove l'autorità di ricorso gode di cognizione libera, opponendo
semplicemente la propria opinione a quella dell'autorità cantonale (DTF 133 III
585 consid. 4.1 pag. 589; 130 I 258 consid. 1.3 pag. 262), bensì deve
dimostrare, attraverso un'argomentazione precisa, che la decisione impugnata si
fonda su un'applicazione della legge od un apprezzamento delle prove
manifestamente insostenibile (DTF 133 III 638 consid. 2 pag. 639; 133 IV 286
consid. 1.4). Non basta, in particolare, che il ricorrente affermi
l'arbitrarietà della decisione impugnata adducendo considerazioni generiche
(DTF 133 III 589 consid. 2 pag. 591 seg.; 125 I 492 consid. 1b). Il mancato
rispetto di queste esigenze di motivazione conduce all'inammissibilità della
censura (DTF 133 III 589 consid. 2 pag. 591 seg.).

3.
3.1 La ricorrente chiede al Tribunale federale di rettificare e completare i
fatti d'ufficio. Chiede essenzialmente una più vasta ed approfondita assunzione
di prove volte a dimostrare il "sistematico arbitrio da parte del commissario
straordinario nell'escludere creditori esteri dall'elenco [...]". L'art. 105
cpv. 2 LTF autorizza il Tribunale federale, è vero, a rettificare o completare
l'accertamento dei fatti, ma non a colmare ogni e qualsiasi lacuna fattuale nel
giudizio impugnato. Quale corte suprema, il compito del Tribunale federale
resta limitato alla verifica della corretta applicazione del diritto. Per
un'eventuale completazione dei fatti rimangono competenti i tribunali di
merito. L'art. 105 cpv. 2 LTF non obbliga dunque il Tribunale federale ad
un'assunzione suppletiva di prove (DTF 133 IV 293 consid. 3.4.2). Peraltro, la
censura della ricorrente equivale a criticare l'apprezzamento delle prove
dell'istanza inferiore; ma a tale titolo, essa avrebbe dovuto appellarsi al
divieto d'arbitrio (supra consid. 2.3), ciò che invece non ha fatto.

La censura - semmai voglia essere letta come tale - è inammissibile.

3.2 In diritto, la ricorrente solleva per l'essenziale tre censure. A suo dire,
il decreto italiano di omologazione del concordato sarebbe manifestamente
incompatibile con l'ordine pubblico svizzero (infra consid. 4). Censura poi la
mancata nomina di un commissario ad hoc per il territorio svizzero (infra
consid. 5). Chiede infine una verifica e l'espresso riconoscimento dell'elenco
creditori estero (infra consid. 6).

4.
4.1 A mente della ricorrente, l'incompatibilità della decisione di cui è
chiesto il riconoscimento con l'ordine pubblico svizzero è data in primo luogo
perché la sua esclusione dall'elenco dei creditori di Parmalat sarebbe avvenuta
senza fondamento giuridico e quindi in maniera pretestuosa. La decisione
italiana, che ha escluso i crediti insinuati dalla qui ricorrente poiché questi
non adempirebbero al requisito della data certa e dunque non sarebbe dimostrato
che essi sono precedenti al crack Parmalat, sarebbe viziata da un'applicazione
dell'art. 2704 del Codice civile italiano (CCit) che una consolidata prassi
giudiziaria italiana avrebbe stravolto al punto da snaturarlo e renderlo
incompatibile con l'ordine pubblico svizzero.

4.2 Secondo la giurisprudenza, la riserva dell'ordine pubblico è una clausola
d'eccezione, la cui applicazione in materia di riconoscimento ed esecuzione di
decisioni straniere (cfr. 27 cpv. 1 LDIP) è più restrittiva che nel campo
dell'applicazione diretta delle norme di diritto (DTF 131 III 182 consid. 4.1
pag. 185). Il riconoscimento della decisione straniera è la regola. Dalla
stessa non bisogna scostarsi senza validi motivi (DTF 120 II 87 consid. 3 in
limine; cfr. anche DTF 116 II 625 consid. 4a; 109 Ib 232 consid. 2a; 103 Ib 69
consid. 3d con rinvii). Infatti, allo stadio del riconoscimento e
dell'esecuzione di decisioni straniere, l'autorità svizzera si trova
confrontata con rapporti giuridici definitivamente acquisiti all'estero e
occorre evitare nella misura del possibile la creazione di rapporti giuridici
claudicanti (DTF 116 II 625 consid. 4a in fine; Bernard Dutoit, Commentaire de
la loi fédérale du 18 décembre 1987, 4a ed. 2005, n. 4 ad art. 27 LDIP; Paul
Volken, in Zürcher Kommentar zum IPRG, 2a ed. 2004, n. 45 segg. ad art. 27
LDIP). L'ordine pubblico svizzero è violato dal riconoscimento di una decisione
straniera quando la stessa offende il sentimento svizzero di giustizia in
maniera intollerabile, contravvenendo a principi fondamentali dell'ordine
giuridico svizzero con il quale si rivela totalmente incompatibile (DTF 122 III
344 consid. 4a con rinvii; 111 Ia 12 consid. 2a con rinvii). Una semplice
differenza con la soluzione prevista dal diritto svizzero non è sufficiente a
giustificare l'applicazione dell'eccezione dell'ordine pubblico (DTF 126 III
101 consid. 3b con rinvii). L'esame di questa condizione non può sfociare in un
riesame nel merito della decisione estera - espressamente escluso dalla legge
-, ma si esaurisce e concretizza in una valutazione comparativa focalizzata sul
risultato (da ultimo sentenza 4A_8/2008 del 5 giugno 2008 consid. 3.1; Berti/
Däppen, in Basler Kommentar, Internationales Privatrecht, 2a ed. 2007, n. 5 ad
art. 27 LDIP; Paul Volken, op. cit., n. 61 ad art. 27 LDIP). Infine, questa
eccezione deve essere applicata con ancora maggior riserbo quando il legame
della fattispecie con la Svizzera è tenue o casuale (DTF 126 III 101 consid.
3b; Paul Volken, op. cit., n. 62 ad art. 27 LDIP; contra Berti/Däppen, op.
cit., n. 7 initio ad art. 27 LDIP).

La dottrina, nell'ambito del riconoscimento dei decreti stranieri di
fallimento, cita quali esempi di violazione dell'ordine pubblico che permettono
al giudice di respingere la richiesta di riconoscimento, il caso in cui lo
Stato nel quale il fallimento è stato pronunciato crea tra i creditori
discriminazioni infondate, basate sulla loro nazionalità o sul loro domicilio,
oppure il caso in cui la dichiarazione straniera di fallimento sarebbe solo il
pretesto per la confisca di diritti patrimoniali del fallito in Svizzera (DTF
126 III 101 consid. 3b pag. 107 seg.; Braconi/Colombara, La reconnaissance et
l'exécution des décisions de faillite étrangères en Suisse, in: Le juriste
suisse face au droit et aux jugements étrangers, 1988, pag. 161 segg., in
particolare pag. 172; Daniel Staehelin, Die Anerkennung ausländischer Konkurse
und Nachlassverträge in der Schweiz (Art. 166 ff. IPRG), 1989, pag. 57 segg.).

4.3 L'istanza cantonale ha raffrontato l'art. 2704 cpv. 1 CCit. con l'art. 8
CC, ritenendoli sostanzialmente simili: in particolare, entrambi gli
ordinamenti porrebbero a carico del creditore che intende partecipare al
concordato l'onere di dimostrare la data di acquisizione del credito,
eventualmente con altri mezzi di prova che l'autenticazione.

4.4 L'approccio della ricorrente urta in maniera stridente con i principi
giurisprudenziali esposti. A ben guardare, essa non solo chiede al giudice
svizzero di sussumere i fatti in modo diverso da quanto fatto dal giudice
italiano - ciò che già equivale ad un inammissibile riesame nel merito della
decisione estera -, ma addirittura pretende che a tal fine il giudice svizzero
si distanzi da quella che essa medesima definisce la "prassi giudiziaria
italiana consolidata". La conseguenza sarebbe che il giudice estero richiesto
di riconoscere una decisione italiana in materia concordataria avrebbe la
facoltà di sviluppare ed applicare una giurisprudenza propria, divergente da
quella vigente nel Paese di sede dei tribunali che hanno deciso nel merito.
Basta questa osservazione a dimostrare l'assurdità della tesi ricorsuale. A
ragione, pertanto, l'autorità cantonale si è limitata a raffrontare la
normativa italiana e svizzera, così come applicate nella pratica. Peraltro, la
conclusione secondo la quale esse sarebbero sostanzialmente simili è rimasta
inoppugnata.

La censura è dunque manifestamente infondata.

4.5 La ricorrente ripropone poi la critica - già avanzata in sede cantonale -
secondo la quale la sua esclusione dall'elenco creditori di Parmalat sarebbe
arbitraria: lo strumento della data certa sarebbe stato abusivamente impiegato
per "far fuori" i creditori esteri privilegiando quelli italiani.

Nella misura in cui la ricorrente ambisca, tramite questa censura,
all'assunzione di ulteriori mezzi di prova, la questione è già stata evasa
(supra consid. 3.1). Nella misura in cui, invece, essa intenda rimettere in
discussione la decisione italiana di omologazione del concordato, dunque un suo
riesame nel merito, la censura è inammissibile (supra consid. 4.2). Neppure può
importare come la Corte cantonale abbia apprezzato il trattamento che i giudici
italiani hanno dedicato a questo o a quel creditore (sentenza 5P.353/1991 del
24 aprile 1992 consid. 4 non pubblicato in DTF 118 Ia 118). Se deve essere
letta, infine, come censura poggiante sul divieto d'arbitrio, essa è
insufficientemente motivata, giacché non si comprende a quale aspetto della
sentenza impugnata essa farebbe riferimento.

La ricorrente critica puntualmente l'argomento dell'istanza cantonale, secondo
il quale l'esclusione della ricorrente sarebbe in ogni caso stato ininfluente
per il perfezionamento del concordato, poiché se anche essa - insieme con tutti
gli altri creditori esclusi - avesse votato contro l'omologazione dello stesso,
l'esito non sarebbe sostanzialmente mutato. Ma tale critica non è in ogni caso
idonea a sostanziare la censura d'arbitrio: per la Corte cantonale si tratta di
argomento sussidiario, che non può essere criticato se non insieme con la
motivazione principale (DTF 133 IV 119 consid. 6.3). E l'argomento principale -
l'assenza di elementi a sostegno della tesi ricorsuale secondo la quale la
regola della data certa sarebbe stata applicata nei suoi confronti in modo
discriminatorio - non è stato discusso dalla ricorrente, che in questa sede si
è limitata a ricordare gli esempi portati avanti all'istanza cantonale senza
più discutere le conclusioni divergenti del Tribunale di appello.

4.6 La ricorrente eccepisce in seguito che il concordato di cui è chiesto il
riconoscimento sarebbe stato approvato con un quorum che secondo il diritto
svizzero sarebbe stato ampiamente insufficiente. La porzione maggiore
dell'approvazione verrebbe da voti neppure espressi, considerati
dall'ordinamento italiano quali voti d'approvazione.

La Corte cantonale, dopo aver rammentato che per la valutazione della validità
del concordato fa stato unicamente il quorum stabilito dal diritto estero
applicabile, ha accertato che il concordato in questione è stato approvato dal
71,38 % dei creditori ammessi al voto. Fra questi sarebbero, è vero, state
considerate anche le adesioni tacite; ma non ha ritenuto di scorgere ragioni
imperative per ritenere a priori inaccettabile una simile modalità di voto.

La critica che vi oppone la ricorrente è apodittica e generica, al punto da
sollevare qualche dubbio sull'ammissibilità della censura (art. 42 cpv. 2 LTF,
supra consid. 2.2). Comunque sia, considerato quanto severi siano i requisiti
posti dalla giurisprudenza (supra consid. 4.2) per negare il riconoscimento di
sentenza estera in applicazione dell'ordine pubblico svizzero, la conclusione
cui sono giunti i giudici cantonali non presta il fianco a critica alcuna.
Certo, il sistema di voto vigente nell'ordinamento giudiziario italiano in tema
di concordato differisce in modo sensibile da quello svizzero; tuttavia, posto
che una mera differenza di sistema non basta per appellarsi con successo
all'ordine pubblico svizzero, e considerato che - secondo la conclusione della
Corte cantonale, incontestata in questo punto - nel caso di specie non è stata
accertata una violazione del diritto dei creditori ad una debita ed effettiva
informazione, non si vede per quale ragione non debba essere riconosciuto il
concordato in questione, non bastando ovviamente il soggettivo convincimento
della ricorrente di essere stata "esclusa contro ogni evidenza [...]
dall'elenco creditori [...]".

4.7 Contro il riconoscimento del concordato, la ricorrente obietta da ultimo la
mancata organizzazione di un'assemblea dei creditori, come prevista dal diritto
svizzero (art. 302 cpv. 3 LEF): a suo dire, "l'approvazione richiesta e data
separatamente da singoli creditori non può equivalere a quella espressa da
un'assemblea, in cui i creditori non solo vengono informati, bensì hanno la
possibilità di creare dinamiche e discussioni che permettono una loro miglior
tutela".

L'obiezione non è di nessun pregio. La mera possibilità, prevista dal diritto
esecutivo svizzero, per il creditore di aderire ad un concordato in modo
individuale e al di fuori dell'assemblea dei creditori è sufficiente per
discernere un parallelismo con l'ordinamento giuridico italiano, pure esso
volto ad un'adesione consapevole e informata dei creditori, quand'anche
utilizzando altri mezzi. L'approvazione data dai creditori rappresenta comunque
un atto individuale scaturente dalla personale convinzione di ogni singolo
creditore, indipendentemente da come egli si sia forgiato la propria
convinzione. I vantaggi che, sul piano informativo, la ricorrente pretende
abbia un'assemblea non paiono decisivi al punto da far apparire la divergente
soluzione del diritto italiano motivo sufficiente per ammettere una violazione
dell'ordine pubblico svizzero.

4.8 Ne discende che le censure della ricorrente fondate su una pretesa
violazione dell'ordine pubblico svizzero appaiono infondate nella misura in cui
siano ammissibili.

5.
La ricorrente solleva poi, denominandola secondo fulcro argomentativo, la
questione della nomina di un commissario ad hoc per il territorio svizzero.

5.1 A suo dire, andrebbe sorvegliata l'attività del commissario del concordato
estero in Svizzera, evitando un "diretto quanto incontrollato intervento di
un'autorità estera sul suolo svizzero sulla base di un concordato estero". A
torto, a suo dire, l'istanza inferiore si sarebbe discostata dalla dottrina
dominante, che chiederebbe lo svolgimento di un "mini-concordato" o comunque
l'adozione di adeguate misure. Data per scontata la necessità, nel caso di
specie, di ampia tutela per i creditori svizzeri, vista la sua esclusione dal
concordato estero, la ricorrente ricorda come manchi la certezza che il
commissario straordinario estero abbia davvero tutelato gli interessi di tutti
i creditori privilegiati svizzeri; in particolare, sarebbe stata tralasciata
una pubblicazione ufficiale da parte dell'autorità estera del concordato al di
fuori del territorio italiano. A torto, poi, l'autorità inferiore avrebbe
minimizzato l'intervento del commissario straordinario in Svizzera, limitandosi
a ricordare il dovere di lui di rivolgersi alle competenti autorità svizzere.
Infine, a seguito del mancato accoglimento della sua richiesta di nomina di un
commissario ad hoc svizzero non vi sarebbe autorità preposta all'esercizio di
un qualsiasi controllo giudiziale sull'attività del commissario straordinario
estero su suolo svizzero.

5.2 L'autorità cantonale rammenta come il fallimento pronunciato da autorità
estera e riconosciuto in Svizzera viene eseguito dall'Ufficio dei fallimenti
competente per luogo. Per contro, una parte importante della dottrina ritiene
che in caso di riconoscimento di concordato estero sia opportuno nominare un
commissario ad hoc in Svizzera affinché diriga un "mini-concordato" parallelo,
limitato ai beni del debitore situati in Svizzera. Tale meccanismo dovrebbe in
particolare garantire l'integrale soddisfacimento dei creditori privilegiati,
tramite un meccanismo analogo a quello previsto dall'art. 173 LDIP, ovvero
appunto la designazione di un commissario o liquidatore ad hoc. Dopo aver messo
in dubbio la correttezza di tale opinione dottrinale, i giudici cantonali -
accertato come nessun creditore privilegiato svizzero si sia annunciato in
seguito alla pubblicazione da loro ordinata - hanno concluso che nel caso di
specie, la nomina di un commissario ad hoc sarebbe inutile: sarebbe sufficiente
che il commissario estero vegli all'adempimento del concordato anche per quanto
riguarda i beni ed i creditori svizzeri, rammentato che, facendogli difetto
poteri coercitivi nei confronti del debitore e dei terzi, egli dovrebbe in ogni
caso procedere per via esecutiva rispettivamente rivolgersi al Tribunale di
appello per ottenere provvedimenti coercitivi.

5.3 Le obiezioni sollevate dalla ricorrente paiono inconsistenti.
Contrariamente a quanto da essa espresso, l'autorità cantonale ha posto in
evidenza che al commissario straordinario del concordato estero non
incomberebbe alcun compito particolare in Svizzera, se non quello di chiedere
l'adempimento del concordato - di fatto, la messa a disposizione del concordato
estero dei beni del debitore rinvenuti in Svizzera. Il pericolo di un "diretto
quanto incontrollato intervento di un'autorità estera sul suolo svizzero",
dunque, non sussiste; non si vede, di riflesso, in quale modo l'autorità
esecutiva svizzera potrebbe agire in vece del commissario straordinario
italiano nelle incombenze che gli restano da svolgere in Svizzera. È, poi,
assolutamente infondato il timore che, in assenza di un commissario designato
ad hoc, nessuno potrebbe richiedere l'intervento dell'autorità giudiziaria
svizzera contro misure prese dal commissario del concordato estero: a parte
che, come appena detto, egli non ha incombenze quale autorità in Svizzera, la
ricorrente dimentica che - come rilevato dalla Corte cantonale - solamente
quest'ultima sarebbe competente per emanare decisioni di natura coercitiva,
previa ovvia audizione della parte interessata.

È vero che l'autorità cantonale, per sua stessa ammissione, prende le distanze
dalla dottrina - definita maggioritaria - che chiede la designazione di un
commissario ad hoc per il "mini-concordato" svizzero. Tuttavia, adduce - quale
motivazione principale - che una tale misura sarebbe nel caso concreto inutile
vista la mancanza di creditori privilegiati. Sollevando generici dubbi sulla
tutela effettivamente garantita dal commissario estero ai creditori
privilegiati svizzeri (peraltro del tutto assenti dalla procedura concordataria
italiana, come constatato dal Tribunale di appello), la ricorrente sembra
fraintendere l'argomentazione dell'istanza cantonale: l'eventuale commissario
ad hoc per il "mini-concordato" svizzero non ha certo la facoltà di riesaminare
il trattamento ricevuto dai creditori nel concordato estero riconosciuto in
Svizzera, bensì unicamente il compito di vegliare sul soddisfacimento
preliminare dei creditori privilegiati svizzeri (art. 172 cpv. 1 lett. b LDIP)
nel ristretto ambito del "mini-concordato" stesso, ovvero per mezzo dei beni
rinvenuti in Svizzera e di cui è chiesto il trasferimento al concordato estero
(v. Lukas Bopp, in Basler Kommentar, 2a ed. 2007, n. 34 ad art. 175 LDIP). In
assenza, dunque, di una pertinente discussione dell'argomentazione fornita
dall'istanza cantonale, non sussiste motivo per il Tribunale federale di
prendere definitivamente posizione sulla cennata controversia dottrinale nel
quadro della presente vertenza.

Ciò detto, viene a cadere anche l'obiezione relativa alla mancata pubblicazione
ufficiale all'estero da parte dell'autorità concordataria italiana - obiezione,
peraltro, inammissibile nella misura in cui intende proporre un riesame della
procedura concordataria italiana (supra consid. 4.2), e comunque
insufficientemente motivata facendo difetto un qualsivoglia rimando a normativa
italiana che imponga effettivamente pubblicazioni ufficiali all'estero.

5.4 Le censure della ricorrente contro la mancata nomina di un commissario ad
hoc per il "mini-concordato" svizzero si appalesano dunque infondate, nella
ridotta misura in cui siano ammissibili.

6.
La ricorrente solleva, quale ultimo "fulcro argomentativo", l'obiezione secondo
la quale l'autorità cantonale si sarebbe rifiutata di sottoporre a separato
riconoscimento l'elenco creditori estero.

6.1 A sostegno della propria posizione, essa rinvia al proprio allegato del 31
agosto 2006, aggiungendo la constatazione che tale elenco dei creditori non è
parte integrante né del concordato stesso, né della sentenza italiana che lo ha
omologato. Tale esame non sarebbe implicito nell'ammissione della
conciliabilità del concordato italiano con l'ordine pubblico svizzero. Inoltre,
senza un tale esame non sarebbe data alle autorità di vigilanza per la parte
svizzera alcuna "certezza quanto ai parametri di controllo", ragione per cui
appellarsi al mancato rinvio dell'art. 175 LDIP all'art. 173 LDIP sarebbe
insoddisfacente.

6.2 In sostanza, l'istanza cantonale ha respinto la richiesta della ricorrente
d'un lato perché l'art. 175 LDIP non rinvia all'art. 173 LDIP, d'altro lato
perché quest'ultimo limita l'esame della graduatoria estera alla sua
compatibilità con l'ordine pubblico svizzero, già verificata nel contesto
dell'esame della conciliabilità del concordato estero con l'ordine pubblico
svizzero.

6.3 La critica ricorsuale è inammissibile nella misura in cui fa riferimento ad
argomenti esposti in altra sede (DTF 131 III 384 consid. 2.3 pag. 387 seg.; in
applicazione della LTF v. sentenza 4A_137/2007 del 20 luglio 2007 consid. 4).
Per il resto, la critica relativa alla mancata menzione dell'elenco creditori
nel concordato medesimo rispettivamente nella sentenza di omologazione dello
stesso mira, in sostanza, ad un riesame della decisione italiana di cui è qui
chiesto il riconoscimento, ciò che è stato ripetutamente detto essere
inammissibile (supra consid. 4.2; consid. 5.3 ultimo cpv.). In ogni caso, la
ricorrente non fa stato di una qualsiasi violazione dell'ordinamento giuridico
italiano.

L'argomento addotto dalla ricorrente contro il rifiuto dell'autorità cantonale
di estendere il rinvio all'art. 173 LDIP all'ambito concordatario è, nella
limitata misura in cui sia comprensibile, comunque infondato, posto che, come
ricordato sopra (consid. 5.3 primo cpv.), nel caso di specie non sono comunque
ipotizzabili atti d'autorità del commissario straordinario estero in Svizzera.

Infine, con la pretesa esigenza di un esame separato della graduatoria italiana
asseritamente omesso dal Tribunale di appello, la ricorrente solleva invero una
censura più prossima a quella del diniego formale di giustizia; ma questa,
fondata su una norma di rango costituzionale, avrebbe dovuto fare l'oggetto di
una motivazione sufficiente secondo i criteri dell'art. 106 cpv. 2 LTF (supra,
consid. 2.3) - ciò che non è avvenuto. Peraltro, non è vero che l'istanza
cantonale non si sia chinata sulla questione.

6.4 La censura della ricorrente contro il mancato esame e riconoscimento
dell'elenco oneri straniero si rivela infondata nella misura della sua
ammissibilità.

7.
Il ricorso va pertanto respinto nella misura della sua ricevibilità, con
conseguenza di tassa e spese a carico della ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF).
Quest'ultima rifonderà inoltre alle opponenti le spese ripetibili sostenute
nella presente procedura avanti al Tribunale federale (art. 68 cpv. 1 LTF).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.

2.
Le spese giudiziarie di fr. 8'000.-- sono poste a carico della ricorrente, che
rifonderà alle opponenti complessivi fr. 8'000.-- per ripetibili della sede
federale.

3.
Comunicazione ai patrocinatori delle parti, alla Camera di esecuzione e
fallimenti del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, nonché all'Ufficio dei
fallimenti e all'Ufficio di esecuzione del distretto di Lugano.

Losanna, 30 settembre 2008

In nome della II Corte di diritto civile
del Tribunale federale svizzero
Il Presidente: Il Cancelliere:

Raselli Piatti