Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

I. Öffentlich-rechtliche Abteilung, Beschwerde in Strafsachen 1B.47/2007
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1B_47/2007 /biz

Sentenza del 28 giugno 2007
I Corte di diritto pubblico

Giudici federali Féraud, presidente,
Reeb, Eusebio,
cancelliere Crameri.

Avv. A.A.________,
Avv. B.A.________,
ricorrenti,
patrocinati dagli avv.ti Mario Postizzi e Goran Mazzucchelli,

contro

Amministrazione federale delle contribuzioni, Eigerstrasse 65, 3003 Berna,
Tribunale penale federale, I. Corte dei reclami penali, casella postale 2720,
6501 Bellinzona.

richiesta di levata dei sigilli,

ricorso in materia penale contro la sentenza emanata
il 20 febbraio 2007 dalla I. Corte dei reclami penali del Tribunale penale
federale.

Fatti:

A.
Il 24 dicembre 2004 l'Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) è
stata autorizzata ad aprire un'inchiesta fiscale speciale nei confronti degli
avvocati A.A.________ e B.A.________, quest'ultima titolare di uno studio
legale e notarile a Lugano. Il legale è sospettato d'aver commesso gravi
infrazioni fiscali per aver sottaciuto al fisco federale una parte importante
della sua sostanza e dei suoi redditi imponibili, ricorrendo in particolare a
conti bancari non dichiarati intestati a società di tipo "off-shore". Il 2/3
febbraio 2005 la Divisione delle inchieste speciali dell'AFC ha perquisito il
citato studio legale, sequestrando numerosi documenti cartacei e informatici,
posti sotto suggello. L'11 aprile 2005 l'AFC ha presentato alla Corte dei
reclami penali del Tribunale penale federale una richiesta di levata dei
sigilli sui documenti e sui supporti informatici sequestrati.

B.
Con sentenza dell'8 agosto 2005 la Corte dei reclami penali ha accolto la
richiesta di dissuggellamento stabilendo per la cernita, che sarà effettuata
dalla Corte medesima, una procedura in tre fasi, confermata il 6 febbraio
2006 dal Tribunale federale nella DTF 132 IV 63. Questa procedura prevede
dapprima la separazione dei documenti utili all'inchiesta da quelli che non
lo sono, la distinzione in seguito di quelli coperti dal segreto
professionale dell'avvocato da quelli che non lo sono e, infine, per i
documenti restanti e utili all'inchiesta, a protezione dei clienti, la
depennazione o la codificazione, se del caso, dei loro nomi, facendo capo, se
necessario, alla collaborazione di un esperto.

C.
L'8 giugno 2006 le parti e il giudice delegato, considerata la voluminosa
documentazione sequestrata (126 cartoni), si sono riuniti per definire
preliminarmente gli aspetti pratici della levata dei sigilli, prevista su più
giorni. Viste le insormontabili divergenze sull'utilità o no della
documentazione sotto suggello, il giudice delegato ha comunicato alle parti
che il tribunale avrebbe statuito autonomamente su tutti gli incarti
sequestrati. Le parti si sono dichiarate d'accordo con questo approccio,
rinunciando alla procedura in contraddittorio. In seguito, con decisioni del
14 settembre, 28 settembre e 31 ottobre 2006 la Corte dei reclami penali ha
statuito sulla maggior parte della documentazione dissuggellata, decidendo
quali incarti erano necessari ai fini dell'inchiesta e quali dovevano essere
restituiti, in quanto inutili, ai proprietari.

D.
Con decisione del 20 febbraio 2007, la I. Corte dei reclami penali ha accolto
la richiesta di versare agli atti tutti i documenti ancora in sospeso,
concernenti la contabilità dello studio legale in discussione. Ha inoltre
vietato all'AFC di utilizzare o trasmettere a terzi, per altre procedure,
documenti o informazioni concernenti clienti potenzialmente protetti dal
segreto professionale senza l'accordo preliminare dei ricorrenti.

E.
Avverso questo giudizio gli avvocati A.A.________ e B.A.________ presentano
un ricorso in materia penale al Tribunale federale. Chiedono di annullarlo e
di ordinare alla I. Corte dei reclami penali di procedere alla cernita della
documentazione secondo quanto previsto nella sentenza dell'8 agosto 2005,
garantendo la protezione dei clienti attraverso la cancellazione dei loro
nomi o sostituendoli con dei codici.

La I. Corte dei reclami penali, senza formulare particolari osservazioni e
riconfermandosi nella decisione impugnata, propone di respingere il gravame,
in quanto ammissibile. Nelle sue osservazioni l'AFC conclude per la reiezione
dell'impugnativa. Con scritto dell'8 maggio 2007, i ricorrenti, precisato di
non sollecitare un ulteriore scambio di scritti e censurati nuovi mezzi di
prova prodotti dall'AFC, si confermano nelle loro tesi e conclusioni.

Con decreto presidenziale del 27 marzo 2007 al ricorso è stato conferito
effetto sospensivo.

Diritto:

1.
1.1 La decisione impugnata è stata pronunciata dopo l'entrata in vigore, il
1° gennaio 2007 (RU 2006 I 1205), della legge federale sul Tribunale federale
del 17 giugno 2005 (LTF; RS 173.110): il ricorso è quindi disciplinato dal
nuovo diritto (art. 132 cpv. 1 LTF).

1.2 Presentato dagli imputati, le cui conclusioni sono state disattese (art.
81 cpv. 1 lett. b n. 1 LTF), contro una decisione resa dalla I. Corte dei
reclami penali del Tribunale penale federale in materia di provvedimenti
coattivi (art. 79 LTF; cfr. DTF 131 I 52 consid. 1.2.2; 130 II 302 consid.
3.1), il ricorso in materia penale (art. 78 cpv. 1 LTF), tempestivo (art. 100
cpv. 1 LTF), è di massima ammissibile.

1.3 Il ricorso può essere presentato per violazione del diritto,
conformemente a quanto stabilito dagli art. 95 e 96 LTF. Il Tribunale
federale applica d'ufficio il diritto (art. 106 cpv. 1 LTF). Secondo l'art.
42 cpv. 1 e 2 LTF, il ricorso dev'essere motivato in modo sufficiente. Il
Tribunale federale esamina in linea di principio solo le censure sollevate;
esso non è tenuto a vagliare, come lo farebbe un'autorità di prima istanza,
tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste ultime non sono
presentate nella sede federale.

2.
2.1 Nella decisione impugnata è stato rilevato che, come precisato nella
precedente sentenza del 14 settembre 2006, la Corte dei reclami penali ha
esaminato in maniera esaustiva tutti gli incarti sequestrati e visionato i
supporti informatici dello studio legale, conformemente alla citata procedura
in tre fasi, versando agli atti la documentazione utile all'inchiesta e non
coperta dal segreto professionale dell'avvocato e restituendo ai ricorrenti
gli incarti non pertinenti per le indagini. Gli atti restanti, ossia quelli
potenzialmente soggetti al segreto professionale, sono stati oggetto delle
decisioni del 28 settembre e del 31 ottobre 2006, ad eccezione di gran parte
della contabilità dello studio legale tema del giudizio impugnato. Constatate
asserite difficoltà oggettive legate alla cernita di questi atti, l'AFC,
invitata a esprimersi al riguardo, ha chiesto che tutta la documentazione
contabile restante sia messa agli atti.

2.2 La I. Corte dei reclami penali, affermato che l'anonimizzazione di tutti
gli atti rimanenti imporrebbe un lavoro considerevole e di dubbia
proporzionalità, ritiene che, nella fattispecie, le sarebbe impossibile, come
anche per un eventuale esperto, distinguere i clienti protetti dal segreto
professionale dell'avvocato da quelli che non lo sono. Si tratterrebbe,
secondo l'istanza precedente, di un impedimento oggettivo all'anonimizzazione
degli incarti restanti. Essa aggiunge che la confusione tra l'attività tipica
di avvocato e quella di fiduciario commercialista non permetterebbe ai
ricorrenti di appellarsi al segreto professionale dell'avvocato e che nella
fattispecie i ricorrenti, sebbene invitati a farlo, non hanno neppure cercato
di stilare una lista dei loro clienti non commerciali. L'istanza precedente,
ritenuto che gli incarti litigiosi non sarebbero manifestamente inutili
all'inchiesta, ciò che non sarebbe d'altra parte contestato dai ricorrenti,
li ha versati agli atti in forma non anonimizzata.

2.3 I ricorrenti fondano la legittimazione a ricorrere sulla loro qualità di
imputati e sul fatto che la ricorrente è titolare dello studio legale colpito
dal sequestro. Certo, questo rilievo è esatto riguardo ai requisiti posti
dall'art. 81 cpv. 1 lett. b n. 1 LTF. Diversa è tuttavia la questione della
loro facoltà a prevalersi del segreto professionale, non opponibile riguardo
a informazioni connesse ad attività dove prevale il carattere commerciale o
quando l'avvocato stesso sia imputato. Quest'ultima fattispecie è adempiuta
nei confronti del ricorrente, come già rilevato nella sentenza del 6 febbraio
2006 (consid. 2.4, 3.2.1, 3.2.3 e 3.3.2), mentre non era chiaro se ciò fosse
il caso anche nei confronti della ricorrente (consid. 3.3.1). Mal si
comprende del resto perché, nel frattempo, la posizione processuale della
ricorrente e di conseguenza l'opponibilità da parte sua del segreto
professionale, non sia stata chiarita.

3.
3.1 Essi fanno valere la violazione degli art. 45, 46 e 50 DPA, 9 13 e 29
Cost. e 6 e 8 CEDU, senza poi precisare meglio le asserite violazioni delle
invocate norme, e censurano, parzialmente, l'accertamento dei fatti
rilevanti, ritenendolo manifestamente inesatto. Essi adducono che il gravame
è determinato dalla volontà di tutelare la clientela degli studi legali e, su
un piano generale, di salvaguardare la fiducia nella categoria professionale
dell'avvocato.
I ricorrenti rilevano in particolare che nell'ambito dell'udienza di levata
dei sigilli del 27 luglio 2006 è stata offerta la possibilità alla ricorrente
di presentare alla Corte dei reclami penali un elenco degli incarti che
riteneva soggetti al segreto professionale. Al suo dire, problemi di salute
del ricorrente le avrebbero impedito di concretare tale opportunità, pur
manifestando la disponibilità a rispondere, ove la Corte lo avesse richiesto,
a eventuali domande inerenti determinati incarti. Ella sostiene che l'istanza
precedente ha poi proceduto in modo autonomo alla cernita, secondo la citata
procedura in tre fasi, senza chiedere ulteriori indicazioni ai ricorrenti.

3.2 In tale ambito i ricorrenti fanno valere la violazione della buona fede
processuale e, in particolare, del diritto di essere sentiti, perché la Corte
dei ricorsi penali avrebbe mutato la propria prassi relativa alla cernita,
non offrendo loro la possibilità di parteciparvi.

3.2.1 La censura è manifestamente infondata. Certo, l'istanza inferiore non
si esprime del tutto sulla questione, sebbene nel verbale dell'8 giugno 2006
della riunione preliminare in vista dell'udienza di levata dei sigilli il
giudice delegato precisava che riteneva indispensabile la presenza dei
ricorrenti. Dagli atti di causa risulta nondimeno quanto segue. Nel verbale
dell'udienza di levata dei sigilli, avvenuta il 27 luglio 2006 alla presenza
della ricorrente e del suo patrocinatore, è stato precisato che, viste le
divergenze insormontabili tra le parti circa l'utilità della documentazione
rimanente per l'inchiesta, la Corte avrebbe statuito su tutti gli incarti,
applicando essa medesima la procedura in tre fasi: le parti si sono
dichiarate d'accordo con questo approccio, rinunciando quindi alla procedura
in contraddittorio, ma lasciando tuttavia alla ricorrente la possibilità di
presentare alla Corte, entro il 20 agosto 2006, una lista degli incarti
sigillati per i quali ritiene sia da salvaguardare il segreto professionale
dell'avvocato.

3.2.2 Ciò nondimeno, con lettera del 10 agosto 2006, la ricorrente ha
semplicemente comunicato che "alcuni impegni lavorativi urgenti" non le
avrebbero permesso di prendere tempestivamente posizione: sottolineava che
avrebbe provveduto a indicare gli incarti rientranti nell'attività tipica
dell'avvocato entro il 1° settembre seguente. Con scritto del 31 agosto 2006,
il suo patrocinatore ha poi semplicemente ribadito di non aver dato seguito
alla prospettata comunicazione a dipendenza dello stato di salute generale
(non meglio precisato) del ricorrente, che non avrebbe permesso a
quest'ultimo né alla ricorrente di indicargli i dati necessari. Il 1°
settembre 2006 la Corte ha comunicato al patrocinatore che i verbali della
menzionata udienza, trasmessi per firma e per eventuali osservazioni, non
erano ancora stati ritornati. Dall'incarto non risulta, né i ricorrenti lo
sostengono, d'aver nondimeno trasmesso, durante i mesi seguenti, la
prospettata lista e ciò prima dell'emanazione della decisione impugnata, del
20 febbraio 2007. Un simile modo di procedere, dilatorio, non merita
chiaramente protezione. L'accenno dei ricorrenti, nelle osservazioni del 9
febbraio 2007, della loro disponibilità ad assistere l'istanza precedente nel
lavoro di anonimizzazione non è, in siffatte circostanze, decisivo
(sull'obbligo di collaborazione e sul dovere di dimostrazione nella procedura
fiscale cfr. DTF 132 IV 63 consid. 4.6). Ciò non toglie, come ancora si
vedrà, che l'istanza precedente doveva comunque procedere alla prospettata
cernita.

3.3 Certo, riguardo alla questione dell'impossibilità di distinguere i dati
protetti dal segreto professionale da quelli che non lo sono, i ricorrenti
sostengono che si sarebbe in presenza di un accertamento manifestamente
inesatto e contraddittorio dei fatti, visto che, al loro dire, le fatture
inviate ai clienti sarebbero di colore giallo per le attività riguardanti
l'avvocatura (tipica e non tipica) e verde per quella notarile, anch'essa
tutelata dal segreto professionale.

Questa distinzione cromatica, contrariamente all'assunto ricorsuale, non
implica manifestamente la restituzione delle fatture verdi ai ricorrenti,
ritenuto che dal colore delle stesse non risulta affatto se si tratti di
un'attività dove prevale l'attività tipica del notaio, rispettivamente
dell'avvocato o quella commerciale, non soggetta al segreto. Poiché, sempre
al loro dire, per le fatture di colore giallo è indicato il nome del cliente,
sarebbe sufficiente attribuire la fattura agli incarti dello studio legale,
segnatamente a una delle seguenti categorie: incarti non asportati dallo
studio legale (A), incarti esaminati dal TPF e restituiti poiché ritenuti
inutili (B), incarti consegnati all'AFC poiché utili e non coperti dal
segreto (C) e, infine, incarti consegnati all'AFC in forma anonimizzata
poiché coperti dal segreto (D). Essi ne deducono, in maniera invero poco
comprensibile, che risulterebbe in modo automatico se la fattura concerne o
no l'attività protetta dal segreto (D) o quella commerciale (C), visto
ch'esse indicherebbero altresì quasi sempre la natura della pratica.

3.4 I ricorrenti sostengono poi che una volta classificati i nomi dei clienti
(secondo la distinzione cliente tipico/cliente commerciale) partendo dalle
fatture, l'anonimizzazione della restante documentazione contabile si
ridurrebbe a un'operazione puramente meccanica. Affermano nondimeno, che vi
sarebbero comunque altri atti, che non presenterebbero tuttavia alcun
interesse per l'autorità fiscale, oltre a numerosi doppioni. Ne deducono, che
la criticata consegna della documentazione contabile restante - senza cernita
e anonimizzazione -  sarebbe arbitraria, vista la possibilità di procedere
alla suddivisione appena esposta. Aggiungono che ciò vanificherebbe inoltre
il lavoro di cernita già svolto dall'istanza precedente.

3.5 Essi, proponendo questa nuova tesi, disconoscono tuttavia che il
Tribunale federale fonda la sua sentenza sui fatti accertati dall'autorità
inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Può scostarsi da questo accertamento solo
qualora esso sia avvenuto in modo manifestamente inesatto o in violazione del
diritto ai sensi dell'art. 95 LTF (art. 105 cpv. 2 LTF). La parte ricorrente
che intende contestare i fatti accertati dall'autorità inferiore deve quindi
spiegare, in maniera circostanziata, per quale motivo ritiene che le
condizioni di una delle citate eccezioni previste dall'art. 105 cpv. 2 LTF
sarebbero realizzate; in caso contrario non si può tener conto di uno stato
di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione impugnata (cfr.
DTF 130 III 136 consid. 1.4 pag. 140; sentenza 1C_3/2007 del 20 giugno 2007
consid. 1.4.3 destinata a pubblicazione). I citati accenni di critica non
dimostrano l'esistenza di siffatti presupposti.

3.6 I ricorrenti nemmeno tentano di spiegare perché, durante i mesi che hanno
preceduto l'emanazione del contestato giudizio, non avrebbero potuto indicare
questo sistema all'istanza precedente. Ora, secondo l'art. 99 cpv. 1 LTF,
possono essere addotti fatti nuovi e nuovi mezzi di prova soltanto se ne dà
motivo la decisione dell'autorità inferiore. Limitandosi ad accennare al
fatto che dopo la ricezione della decisione impugnata, ai fini del ricorso in
esame, avrebbero potuto accedere alla documentazione contabile residua, da
essi peraltro compiutamente conosciuta, essi non dimostrano l'impossibilità
di presentare all'autorità precedente questo sistema, avendo avuto a
disposizione vari mesi per farlo. Questi fatti e mezzi di prova, nuovi, sono
quindi inammissibili.

3.7 Certo, i ricorrenti affermano che il rimprovero mosso nei loro confronti,
di non aver assistito l'istanza precedente nel lavoro di identificazione
della clientela tipica, poggerrebbe anch'esso su un accertamento
manifestamente inesatto dei fatti. Al riguardo si limitano tuttavia a
rilevare che la mancata presentazione della prospettata lista degli incarti
tipici sarebbe dovuta, a torto come si è visto, a ragioni oggettive.
Aggiungono ch'essa non sarebbe comunque stata determinante, visto che
l'istanza inferiore, come risulta dalle precedenti sentenze da essa emanate,
ha potuto procedere autonomamente alla cernita degli altri incarti,
distinguendovi l'attività tipica dell'avvocato da quella commerciale.

4.
4.1 I ricorrenti criticano poi il rimprovero mosso loro di carenza di
diligenza, per non aver separato l'attività tipica dell'avvocato da quella
commerciale, poiché non vi sarebbe alcuna norma che imporrebbe a uno studio
legale di tenere due contabilità distinte (cfr. tuttavia, riguardo agli
intermediari finanziari, come la ricorrente, per esempio l'art. 7 della legge
federale relativa alla lotta contro il riciclaggio, del 10 ottobre 1997; RS
955.0, concernente l'obbligo di allestire documenti; Michael Pfeifer, in
Walter Fellmann/Gaudenz G. Zindel [editori], Kommentar zum zum Anwaltsgesetz,
Zurigo 2005, n. 35 e 36 all'art. 13). Accennano inoltre, in maniera generica,
alla violazione del principio della proporzionalità, poiché nella decisione
impugnata il criterio qualitativo soccomberebbe a quello quantitativo.
Sostengono poi che il divieto imposto dall'istanza precedente all'AFC di
utilizzare o trasmettere a terzi le informazioni potenzialmente protette dal
segreto professionale sarebbe inidoneo e, di fatto, non verificabile. Essi
censurano l'affermazione dell'istanza precedente (consid. 4.3) secondo cui
gli incarti in sospeso non risultano manifestamente inutili all'inchiesta,
"ciò che gli imputati d'altronde non contestano": essi non cercano tuttavia
di dimostrare l'arbitrarietà di detto accertamento.

4.2 Nella decisione impugnata l'istanza precedente si è limitata ad affermare
che "l'anonimizzazione di tutti gli atti in questione imporrebbe un lavoro
considerevole di dubbia proporzionalità", ritenendo che "determinante nella
fattispecie è la constatazione dell'impossibilità, per la Corte dei reclami
penali - ma anche per un eventuale esperto designato dall'autorità - di
distinguere i clienti protetti dal segreto professionale dell'avvocato da
quelli che non lo sono", ciò che costituirebbe un "impedimento oggettivo
all'anonimizzazione degli incarti restanti". Essa ha poi stabilito che la
giurisprudenza del Tribunale federale dovrebbe essere compresa nel senso che
la distinzione tra ciò che dev'essere restituito al detentore delle carte
poste sotto suggello, inutili all'inchiesta, e quanto dev'essere versato agli
atti, se del caso in forma anonimizzata, "deve aver luogo sin quando tale
operazione è possibile. Quando la stessa diviene impossibile, perché
l'avvocato non ha separato in maniera diligente l'attività tipica
dell'avvocato dall'attività commerciale" il segreto professionale non sarebbe
più tutelato.

4.3 Questa tesi, sbrigativa e superficiale, non può essere condivisa già per
il fatto che nella fattispecie non sono ravvisabili impedimenti oggettivi
alla cernita che, come stabilito all'udienza di levata dei sigilli del 27
luglio 2006, la Corte, a conoscenza della mole degli incarti da esaminare,
aveva deciso di effettuare autonomamente applicando lei stessa la citata
procedura in tre fasi, rinunciando, con l'accordo delle parti, alla procedura
in contraddittorio. La circostanza che i ricorrenti non abbiano separato
diligentemente l'attività tipica dell'avvocato da quella commerciale (cfr. al
riguardo DTF 114 III 105 consid. 3b e c) e non abbiamo prodotto la nota
lista, non comporta di per sé la decadenza della cernita e del segreto
professionale (al riguardo vedi DTF 132 IV 63 consid. 2.3 e 2.4 e 3.3.2
inediti; 132 II 103 consid. 2.1), ma, semmai, in caso di dubbio, che si
concluda più facilmente sulla natura di attività commerciale, non soggetta al
segreto. D'altra parte, dalle fatture prodotte dalla ricorrente si evince
ch'esse in effetti indicano la natura dell'attività svolta: il loro esame non
è quindi impossibile ma, ciò che è indubbio, implica un notevole, di per sé
evitabile, dispendio di tempo.

4.4 In siffatte circostanze la I. Corte dei reclami penali, senza neppure
procedere a una cernita sommaria, non poteva semplicemente limitarsi a
rilevare che i motivi invocati dall'AFC sono "apparentemente fondati" e che
gli incarti ancora in sospeso non risulterebbero manifestamente inutili
all'inchiesta, ciò che gli imputati non contesterebbero (assunto peraltro non
corretto, visto che nelle osservazioni del 9 febbraio 2007 hanno criticato le
tesi dell'AFC e insistito sull'applicazione della menzionata procedura in tre
fasi), versando quindi tutta la documentazione agli atti senza anonimizzarla.
L'importante mole della documentazione da esaminare ed eventualmente da
anonimizzare, quale criterio meramente quantitativo, e il relativo importante
dispendio di tempo per procedervi, non possono infatti di per sé comportare
un indebolimento della tutela del segreto professionale dell'avvocato e del
notaio e la mancata applicazione della procedura scelta dall'istanza
precedente con cognizione di causa, ricordato che la quantità della
documentazione suggellata le era nota fin dall'inizio (cfr. Lorenz Erni,
Anwaltsgeheimnis und Strafverfahren, in: Das Anwaltsgeheimnis, Zurigo 1997,
pag. 32 n. 69). È nondimeno chiaro che il ricorrente, quale imputato, non può
prevalersi del segreto professionale e che, viste le particolarità della
fattispecie e le molteplici attività commerciali svolte dai ricorrenti e la
loro carente collaborazione, l'anonimizzazione potrà limitarsi ai documenti
che rientrano chiaramente nell'attività tipica dell'avvocato.

5.
5.1 Ne segue che la decisione impugnata dev'essere annullata. La I. Corte dei
reclami penali dovrà quindi, in applicazione della procedura in tre fasi,
procedere alla necessaria cernita. Essa potrà avvalersi della collaborazione
dei ricorrenti, i quali, in caso di assenza, potranno istruire o farsi
rappresentare dal loro legale.

5.2 Si giustifica di non prelevare spese giudiziarie (art. 66 LTF). Nella
fissazione delle ripetibili occorre tener conto dell'agire dilatorio dei
ricorrenti e della circostanza che gran parte delle censure ricorsuali erano
infondate o inammissibili, per cui l'indennità per ripetibili della sede
federale dev'essere ridotta (art. 68 cpv. 1 LTF).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è accolto e la decisione
impugnata è annullata.

2.
Non si prelevano spese giudiziarie. L'Amministrazione federale delle
contribuzioni rifonderà ai ricorrenti un'indennità ridotta di fr. 1'500.--
per ripetibili della sede federale.

3.
Comunicazione ai patrocinatori dei ricorrenti, all'Amministrazione federale
delle contribuzioni e alla I. Corte dei reclami penali del Tribunale penale
federale.

Losanna, 28 giugno 2007

In nome della I Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero

Il presidente:  Il cancelliere: