Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

Kassationshof in Strafsachen 6S.56/2006
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{T 0/2}
6S.56/2006 /viz

Sentenza del 15 giugno 2006
Corte di cassazione penale

Giudici federali Schneider, presidente,
Wiprächtiger, Zünd,
cancelliere Garré.

A. ________,
ricorrente, patrocinato dall'avv. Marco Broggini,

contro

Ministero pubblico del Cantone Ticino,
palazzo di giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano.

Commisurazione della pena (art. 63 CP),

ricorso per cassazione contro la sentenza del
28 dicembre 2005 della Corte di cassazione e
di revisione penale Tribunale d'appello del
Cantone Ticino.

Fatti:

A.
Il 16 gennaio 2004 la Corte delle Assise criminali in Lugano riconosceva
A.________ autore colpevole di infrazione aggravata alla legge federale sugli
stupefacenti per avere, in correità con la figlia B.________, acquistato,
coltivato e venduto tra il luglio del 2001 (e non solo dal maggio 2002 come
erroneamente indicato nella sentenza di ultima istanza cantonale) e il marzo
del 2003 almeno 600 kg di canapa con elevato tenore di THC (dall'1,4 al 18,6
%), oltre ad aver rilevato da terzi per fr. 50'000.-- un negozio a Chiasso
con circa 10 kg di canapa nel deposito, realizzando nel complesso una cifra
d'affari di circa fr. 4'000'000.-- e un guadagno di almeno fr. 300'000.--. In
applicazione della pena, la Corte condannava A.________ a tre anni di
reclusione (computato il carcere preventivo sofferto), a un risarcimento
compensativo di fr. 100'000.-- in favore dello Stato per l'illecito profitto
conseguito e al divieto di esercitare per cinque anni ogni attività in
rapporto con la canapa, ordinando la confisca di somme di denaro, carte
valori, conti bancari e postali, documentazione varia, canapa essiccata, come
pure gli impianti e strumenti per la produzione di marijuana. Su altri
importi e conti i giudici hanno mantenuto il sequestro conservativo in
garanzia del risarcimento compensativo, mentre un'ulteriore somma di denaro e
un ulteriore conto postale sono stati dissequestrati.

B.
Il 28 dicembre 2005 la Corte di cassazione e di revisione penale del
Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CCRP) accoglieva parzialmente il
ricorso interposto dal condannato contro la sentenza di primo grado, nel
senso che il dispositivo del giudizio concernente la condanna al pagamento di
un risarcimento compensatorio di fr. 100'000.-- veniva annullato, rinviando
gli atti su tale questione ad una nuova Corte delle assise criminali. Per il
resto il ricorso veniva respinto.

C.
A.________ insorge mediante ricorso per cassazione al Tribunale federale
contro la sentenza dell'ultima istanza cantonale, di cui domanda
l'annullamento nella misura in cui ha confermato la pena di tre anni di
reclusione inflitta in prima istanza al ricorrente. Postula inoltre di essere
posto a beneficio dell'assistenza giudiziaria e del gratuito patrocinio.

D.
La CCRP rinuncia a presentare osservazioni al ricorso. Il Procuratore
pubblico domanda la reiezione del ricorso.

Diritto:

1.
Contestata nel gravame è la commisurazione della pena. Su questa problematica
l'ultima Corte cantonale si è espressa in maniera definitiva. Il ricorso per
cassazione è pertanto ammissibile (art. 268 n. 1 PP; DTF 128 IV 34 consid.
1a; 123 IV 252 consid. 1).

2.
In via pregiudiziale il ricorrente solleva la violazione del principio del-
la celerità nella commisurazione della pena. In particolare viene censurato
il fatto che siano trascorsi praticamente due anni tra la sentenza di prima
istanza e quella di seconda istanza, segnatamente più di un anno e nove mesi
dalla presentazione del relativo ricorso per cassazione in sede cantonale.

2.1 Il principio della celerità è sancito dagli art. 29 cpv. 1 Cost., 6 n. 1
CEDU e 14 n. 3 lett. c Patto ONU II (RS 0.103.2).
2.2 Secondo la giurisprudenza, la violazione del principio della celerità del
procedimento va sollevata con ricorso di diritto pubblico se comporta
violazione diretta della Costituzione o della CEDU, mentre la questione
relativa alle conseguenze di una siffatta violazione sull'interpretazione e
sull'applicazione del diritto federale va sollevata mediante ricorso per
cassazione poiché concerne l'interpretazione e l'applicazione conformi alla
Costituzione e alla CEDU del diritto federale (DTF 130 IV 54 consid. 3.3.2 e
rinvii). La censura del ricorrente, il quale si duole di una mancata
considerazione di tale principio in ambito di commisurazione della pena e
quindi applicazione del diritto federale, è pertanto ammissibile in questa
sede.

2.3 Il principio della celerità impone alle autorità penali di procedere con
la dovuta speditezza non appena l'imputato è informato dei sospetti che
pesano su di lui, al fine di non lasciarlo inutilmente nello stato di
angoscia che una tale procedura suscita (DTF 130 I 54 consid. 3.3.1; 124 I
139 consid. 2a). Siccome i ritardi nella procedura penale non possono più
venire sanati, il Tribunale federale ha fatto derivare dalla violazione del
principio della celerità delle conseguenze a livello di pena. La violazione
di tale principio comporterà, nei casi più frequenti, una riduzione della
pena, oppure occasionalmente addirittura la rinuncia in quanto tale ad una
pena o anche l'abbandono del procedimento (DTF 117 IV 124 consid. 4d).
Mediante giurisprudenza sono state dunque create praeter legem delle autonome
conseguenze giuridiche di natura materiale (DTF 130 IV 54 consid. 3.3.1 pag.
55; Pra 2004 n. 139 pag. 785, 6S.98/2003, consid. 2.1). La questione di
sapere se il principio della celerità sia stato violato va decisa soprattutto
in base a un apprezzamento globale del lavoro effettuato. Tempi morti sono
inevitabili e, se nessuno di essi ha avuto una durata scioccante, è
l'apprezzamento globale ad essere decisivo (DTF 124 I 139 consid. 2a e c).
Anche secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, il
carattere ragionevole della durata di un procedimento si valuta secondo le
circostanze della causa e tenuto conto in particolare della sua complessità,
del comportamento dell'interessato e di quello delle autorità competenti (v.
ad esempio le sentenze della Corte EDU nelle seguenti cause: Gelli contro
Italia del 6 settembre 1999 e Ledonne contro Italia del 12 maggio 1999,
apparse in: Rivista internazionale dei diritti dell'uomo 1/2000, pag. 354 e
segg. n. 40, 3/1999, pag. 859 e segg. n. 21). Più concretamente sono stati
giudicati inaccettabili un'inattività di tredici o quattordici mesi in fase
istruttoria, un periodo di quattro anni per statuire su di un ricorso contro
l'atto di accusa ed un periodo di dieci o undici mesi prima di trasmettere
l'incarto all'autorità di ricorso (DTF 124 I 139 consid. 2c pag. 144; 119 IV
107 consid. 1c pag. 110). Il principio della celerità può essere violato
anche se alle autorità penali non è imputabile nessuna colpa (DTF 130 IV 54
consid. 3.3.3).
2.4 Nel caso concreto la sentenza di primo grado è stata pronunciata il 16
gennaio 2004, a fronte di un atto di accusa del 23 settembre 2003
rispettivamente di un atto di accusa aggiuntivo del 15 ottobre 2003. Contro
tale sentenza A.________ ha inoltrato ricorso per cassazione il 15 marzo
2004, il quale è stato evaso il 28 dicembre 2005, quindi circa 21 mesi e
mezzo dopo il suo inoltro. L'intervallo di tempo in questione è certo
consistente, ma ancora accettabile tenuto conto della discreta complessità
del caso, del fatto che l'accusato era comunque a piede libero durante la
procedura di ricorso e che l'autorità cantonale aveva comunque rapidamente
pronunciato una sentenza di primo grado, già pochi mesi dopo l'emanazione dei
suddetti atti di accusa. Globalmente tra la promozione dell'accusa risalente
al marzo 2003, con detenzione preventiva dal 13 marzo al 2 maggio 2003 e dal
1° al 2 ottobre dello stesso anno, e la sentenza di ultima istanza cantonale
sono trascorsi poco più di due anni e otto mesi, durata che di per sé non si
può considerare lesiva del principio della celerità. Su questo punto
l'impugnativa va dunque disattesa.

3.
Il ricorrente censura anche il fatto che l'autorità cantonale nella
valutazione della sua colpevolezza non abbia volutamente ritenuto a suo
favore la situazione generale relativa alla canapa, creatasi in Svizzera, e
in modo particolare in Ticino a partire dal 1996/1997 fino all'improvviso
avvio delle operazioni della magistratura ticinese denominate "Indoor",
avvenuto nella primavera 2003. In sostanza i giudici avrebbero esplicitamente
omesso di considerare, nell'ambito della commisurazione della pena, il clima
di disorientamento generale verso il fenomeno canapa oggettivamente esistente
in Ticino prima dell'avvio delle operazioni in questione, caratterizzato da
tolleranza e permissivismo instauratisi alla fine degli anni Novanta, e
sempre più evidenti a far tempo dal 2000.

3.1 In base all'art. 63 CP il giudice commisura la pena essenzialmente in
funzione della colpevolezza del reo. Tale disposizione non elenca in modo
dettagliato ed esauriente gli elementi pertinenti per la commisurazione della
stessa. Essi sono tuttavia oggetto di una consolidata giurisprudenza, da
ultimo riepilogata in DTF 129 IV 6 consid. 6.1, alla quale si rinvia. In
questa sede è sufficiente ribadire come il giudice di merito, più vicino ai
fatti, fruisca di un'ampia autonomia. Il Tribunale federale interviene solo
quando egli cade nell'eccesso o nell'abuso del suo potere di apprezzamento,
ossia laddove la pena fuoriesca dal quadro edittale, sia valutata in base a
elementi estranei all'art. 63 CP o appaia eccessivamente severa o clemente.

3.2 Nel caso concreto l'autorità cantonale ha condannato il ricorrente ad una
pena di tre anni di reclusione per violazione aggravata alla legge federale
sugli stupefacenti, rimproverandogli di avere agito per puro spirito di
lucro, senza farsi scrupolo di ottenere il finanziamento iniziale da un losco
personaggio, di avere proceduto secondo modalità imprenditoriali e di non
avere esitato a coinvolgere la figlia nell'operazione. Ciò aveva consentito a
lui e alla figlia di raggiungere una cifra d'affari complessiva di oltre fr.
4'000'000.-- e di conseguire un guadagno di almeno fr. 300'000.--. In favore
del reo la Corte ha nondimeno tenuto conto della sostanziale buona condotta,
della situazione familiare di sicuro disagio, della collaborazione prestata
agli inquirenti, del comportamento processuale corretto e del fatto ch'egli
non abbia commerciato droghe pesanti. Tali considerazioni non sono contestate
dal ricorrente, il quale si limita a far valere come fattore di diminuzione
della pena il clima di tolleranza e permissivismo che avrebbe imperato nel
Ticino a far tempo dal 2000 fino al marzo del 2003, quando ad un tratto le
operazioni "Indoor" lo hanno portato in carcere preventivo.

3.3 A questo proposito l'ultima istanza cantonale ha dapprima rilevato come
vi sia da domandarsi se nei confronti del ricorrente la magistratura abbia
davvero tardato a intervenire, come l'interessato pretende. Egli ha
cominciato l'attività di coltivatore vero e proprio nell'agosto-settembre del
2001 e ha aperto a Chiasso il primo negozio di canapaio nel dicembre
successivo. Già nel maggio del 2002 tuttavia la polizia lo ha obbligato a
chiudere, salvo lasciargli riaprire nel giro di alcuni giorni dopo avere
ricordato esplicitamente alla figlia, B.________, la quale gestiva il
negozio, che vendere la canapa come stupefacente è reato. A dispetto di ciò,
nello stesso mese di maggio, il ricorrente ha rilevato un secondo negozio
analogo, sempre a Chiasso, che è rimasto in esercizio fino al marzo del 2003,
quando egli è finito in carcere preventivo. Che quindi a far tempo dal 2000
le autorità ticinesi possano avere mostrato indulgenza verso i produttori e i
venditori di canapa, come il ricorrente afferma, non toglie che nel lasso di
poco più di sei mesi l'imputato si sia visto chiudere il negozio e sentir
ricordare per il tramite della figlia che vendere la canapa come stupefacente
è reato. Ad ogni buon conto, aggiunge l'autorità cantonale, se si volesse
anche ritenere che, lasciandogli smerciare altri 360 kg di canapa (dopo i 240
kg venduti fino al maggio del 2002), gli inquirenti abbiano dato prova di
tolleranza e permissivismo, nella fattispecie il ricorrente non potrebbe
ricavarne beneficio. Da un lato perché egli non nega di avere agito con piena
cognizione di causa, dall'altro perché non può pretendere che nella
fattispecie la tolleranza e il permissivismo dell'autorità giustifichino nei
suoi confronti una riduzione di pena. Il comportamento passivo dello Stato
può essere fatto valere da chi invochi un errore di diritto, allorché
sostenga di avere creduto in buona fede, vista la passività degli inquirenti,
che un determinato atto fosse (ormai) lecito o non perseguibile. A questo
proposito i giudici ticinesi hanno scartato ogni possibile equivoco sulla
liceità dell'atto, ciò che il ricorrente non discute peraltro. A mente della
CCRP il comportamento passivo dello Stato potrebbe dare adito a riduzioni di
pena, quand'anche l'autore abbia cognizione dell'illecito, soltanto in tre
ipotesi: quando lo Stato contravvenga al principio di celerità, quando faccia
uso di agenti infiltrati (seppure questi mantengano un ruolo correttamente
passivo) e quando accade che un suo funzionario, rimasto solo e senza
adeguato controllo di fronte a responsabilità più grandi di lui, cada nel
reato. Secondo l'ultima autorità cantonale nessuna delle tre previsioni trova
un benché minimo riscontro nella fattispecie e invano il ricorrente crede di
ravvisarne una quarta nel suo caso. Quand'anche nella fattispecie gli
inquirenti possano avere denotato esitazioni iniziali nel reprimere la
vendita di canapa ad alto tenore di THC, il ricorrente non potrebbe dunque
giovarsene per quanto riguarda la commisurazione della pena (sentenza
impugnata pag. 7 e seg.).
3.4 Il ricorrente è stato oggetto di un'operazione di polizia nel maggio del
2002, nel cui contesto l'autorità, per tramite della figlia che gestiva il
negozio, lo ha esplicitamente reso attento sull'illegalità della vendita di
canapa come stupefacente. Da quel momento egli non può certo sostenere che
l'autorità abbia dato prova nei suoi confronti di un comportamento
contraddittorio e disorientante. Continuando a vendere stupefacenti
nonostante l'autorità gli avesse precedentemente chiuso un negozio proprio
per questo motivo, egli ha mostrato di ignorare con piena consapevolezza gli
avvertimenti dello Stato, basati per altro su chiare leggi in vigore, sia
allora che oggi, per cui non può far valere in proposito nessun motivo
concreto di mitigazione della pena.

3.5 Diverso è il discorso per lo stupefacente coltivato e venduto prima di
tale operazione. A questo proposito l'autorità cantonale ha accertato che dal
1999 al 2002 solo una quindicina di negozi dediti alla vendita di canapa era
stata chiusa per rapporto alle oltre 70 rivendite allora attive nel Ticino.
La CCRP ha a questo proposito aggiunto che poco convince la spiegazione
addotta in proposito dai primi giudici, secondo cui ciò andrebbe ricondotto
unicamente alla difficile, laboriosa e onerosa raccolta delle prove circa
l'uso illecito della canapa e dei derivati, visto che dopo il marzo del 2003
la magistratura ticinese con la suddetta operazione "Indoor" ha dimostrato di
essere in grado di smantellare in qualche mese ben 75 rivendite (sentenza
impugnata pag. 4). Che esistesse un problema "canapa" in Ticino prima della
operazione in questione è del resto notorio. Il proliferare di un numero così
grande di negozi nel giro di alcuni anni non sarebbe immaginabile senza
ammettere l'esistenza da parte dello Stato di una certa passività nei
confronti del fenomeno. Orbene, contrariamente a quanto considerato dalla
CCRP, il comportamento dello Stato non è di rilievo per la commisurazione
della pena esclusivamente nelle tre ipotesi da essa citate, con richiamo alla
giurisprudenza illustrata nel Commentario basilese da Hans Wiprächtiger (n.
116-125 ad art. 63 CP), visto che quest'ultimo autore fa riferimento a tale
triade di ipotesi solamente a titolo di esempio e non in termini esclusivi.
Nella misura in cui il comportamento dello Stato può influire sul grado di
colpevolezza del reo, non vi è del resto ragione di escludere l'esame di una
simile circostanza oggettiva del reato dalle considerazioni in ambito di
commisurazione della pena giusta l'art. 63 CP.

3.6 Nel caso in questione occorre dunque valutare se l'accertata titubanza
dimostrata dall'autorità penale cantonale prima di intervenire coerentemente
contro il proliferare del fenomeno dei canapai sia tale da giustificare una
diminuzione della pena inflitta al ricorrente. Sotto questo profilo non va
omesso di ribadire che le leggi in vigore erano comunque chiare e che
sull'illegalità della condotta rimproverata al ricorrente non potevano
sorgere dubbi (v. RDAT 2002 II n. 73 pag. 268, 6S.46/2002, consid. 3 e 4), a
prescindere dall'operato concreto delle autorità di polizia e dalle
discussioni allora in corso a livello federale su un'eventuale riforma della
politica in ambito di stupefacenti (v. a quest'ultimo proposito la sentenza
non pubblicata del Tribunale federale del 27 aprile 2006 nelle cause
6P.25/2006 e 6S.53/2006, consid. 3.1). L'atteggiamento delle autorità
cantonali non era del resto caratterizzato da totale passività visto che dal
1999 in poi almeno una quindicina di canapai sono stati comunque chiusi, non
senza eco nell'opinione pubblica (v. sentenza impugnata pag. 15). Ciò non
toglie però che nella gran parte dei casi si è dovuto attendere il marzo 2003
perché la magistratura intervenisse in maniera sistematica ed efficace.
Questo atteggiamento dello Stato non ha certo contribuito a fare chiarezza,
per cui si può effettivamente parlare di una parziale inazione statale con
tratti disorientanti e contraddittori, che in determinati soggetti può avere
contribuito ad agevolare il passo verso la delinquenza e di conseguenza
abbassare l'energia criminale effettivamente investita nel proprio agire.
Negando a priori un influsso dell'inazione statale sul grado di colpevolezza
del reo, l'autorità cantonale ha dunque omesso di considerare una circostanza
che per una corretta applicazione dell'art. 63 CP andava perlomeno valutata.
Su questo punto il ricorso è pertanto da accogliere e la sentenza impugnata
va annullata.

3.7 Nell'ambito del nuovo giudizio in sede cantonale, la pena dovrà essere
nuovamente commisurata valutando in che misura la parziale inazione dello
Stato fino alla prima chiusura del negozio del ricorrente, avvenuta nel
maggio 2002, abbia potuto concretamente influire sul grado di colpevolezza
del reo. Nella fattispecie potrà però entrare in considerazione al massimo
una riduzione della pena di un decimo (come nel caso dell'utilizzo di agenti
infiltrati di cui in DTF 118 IV 115), tenuto conto del fatto che l'accertata
inazione dello Stato non ha minimamente intaccato l'illegalità della condotta
in esame, ma ha semplicemente creato un certo disorientamento nella società
che ha facilitato l'incunearsi durevole e diffuso di condotte illecite che
una coerente politica della droga avrebbe invece dovuto bloccare sul nascere.

4.
Il ricorrente infine sostiene che la pena fissata sia esageratamente severa
per rapporto ad alcuni altri casi ritenuti analoghi alla fattispecie in esame
(ricorso pag. 8). Sennonché in questo ambito l'ultima istanza cantonale ha
dichiarato irricevibile il precedente memoriale di ricorso poiché
insufficientemente motivato (sentenza impugnata pag. 9). Il Tribunale
federale non può pertanto entrare nel merito di tale doglianza per mancato
esaurimento delle vie di ricorso cantonali (DTF 123 IV 42 consid. 2).

5.
Il ricorrente, parzialmente soccombente, dovrebbe sopportare parte delle
spese (art. 278 cpv. 1 PP). Egli domanda tuttavia l'assistenza giudiziaria.

5.1 Il Tribunale federale dispensa la parte, la quale dimostra di essere in
uno stato di bisogno e le cui conclusioni non si rivelano fin dall'inizio
sprovviste di possibilità di esito favorevole, dal pagare le spese
processuali e i disborsi (art. 152 cpv. 1 OG). Se occorre, il Tribunale
federale può fare assistere questa parte da un avvocato i cui onorari sono
sopportati dalla cassa del Tribunale medesimo (art. 152 cpv. 2 OG). Quando la
parte sia più tardi in grado di pagare, sarà tenuta alla rifusione verso la
cassa del Tribunale (art. 152 cpv. 3 OG).

5.2 Lo stato del bisogno del ricorrente è pacifico. Per quanto riguarda le
conclusioni del ricorso esse non erano in generale fin dall'inizio sprovviste
di possibilità di esito favorevole per cui l'assistenza giudiziaria può
venire accordata.

5.3 Per quanto riguarda la parte in cui il ricorrente risulta vincente, gli
viene direttamente assegnata un'indennità a carico della cassa del Tribunale
federale (art. 278 cpv. 3 PP).

5.4 L'accusatore pubblico del Cantone non sopporta spese e non ha diritto ad
indennità (art. 278 cpv. 2 e 3 PP).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è parzialmente accolto, la
sentenza impugnata è annullata e la causa viene rinviata all'autorità
cantonale per nuovo giudizio.

2.
Non si riscuotono spese.

3.
Al ricorrente, parzialmente vincente, viene assegnata un'indennità di
fr. 1'000.-- a titolo di ripetibili per la sede federale.

4.
La domanda di assistenza giudiziaria del ricorrente è accolta per la parte in
cui risulta soccombente e per il resto è priva di oggetto. La Cassa del
Tribunale federale verserà al suo patrocinatore fr. 2'000.-- a titolo di
onorario per la sede federale.

5.
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico e alla
Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone
Ticino.

Losanna, 15 giugno 2006

In nome della Corte di cassazione penale
del Tribunale federale svizzero

Il presidente:  Il cancelliere: