Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

Kassationshof in Strafsachen 6S.403/2003
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6S.403/2003 /viz

Sentenza del 17 giugno 2004
Corte di cassazione penale

Giudici federali Schneider, presidente,
Wiprächtiger, Kolly, Karlen, Zünd,
cancelliere Garré.

C. ________, ricorrente,
patrocinato dall'avv. Marco Broggini,

contro

E.________,
patrocinato dall'avv. Andrea Bersani,
D.________,
patrocinato dall'avv. Luigi Mattei,
A.________,
patrocinato dall'avv. Mario Postizzi,
B.________,
opponenti,
Ministero pubblico del Cantone Ticino,
palazzo di giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano.

Mancata opposizione a una pubblicazione punibile (art. 322bis CP),

ricorso per cassazione contro la sentenza dell'8 ottobre 2003 della Corte di
cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

Fatti:

A.
Nel maggio 2000 la rivista "L'Inchiesta" pubblicava un articolo non firmato,
lanciato in copertina con il titolo "Il potere occulto - Massoneria: gli
intrallazzi segreti dei fratelli ticinesi", in cui tra le altre cose si
affermava che la massoneria influenzerebbe segretamente la politica,
l'economia e la televisione, e che i suoi membri si arricchirebbero a spese
del contribuente. Nell'articolo erano contenuti riferimenti anche a persone
concrete tra cui A.________ e B.________.
In data 8 giugno 2000 A.________ presentava denuncia penale con querela della
parte lesa nei confronti di C.________, quale redattore responsabile della
rivista, e di ignoti per i reati di calunnia, diffamazione, ingiuria e
mancata opposizione a una pubblicazione punibile, costituendosi parimenti
parte civile. Il 2 agosto 2000 B.________ presentava denuncia e querela
penale nei confronti di C.________ ed eventualmente altri responsabili con
lui, per diffamazione e/o calunnia ed eventualmente altro ravvisabile, poi
costituendosi parte civile in sede dibattimentale.
Nel novembre 2000 la medesima rivista pubblicava un servizio non firmato,
lanciato in copertina con il titolo "A Lugano coi narcodollari - L'Inchiesta
ha simulato un traffico di denaro sporco dal Sudamerica al Ticino. Ecco i
fiduciari e gli avvocati che hanno abboccato", in cui si accusavano alcuni
fiduciari ed avvocati ticinesi di essersi mostrati interessati ad un traffico
di denaro sporco dal Sudamerica al Ticino appositamente simulato dalla
rivista stessa.
Il 20 febbraio 2001 D.________, uno dei professionisti citati nel servizio,
sporgeva querela penale contro l'articolista ed il redattore della rivista
per reati contro l'onore, costituendosi inoltre parte civile.
Infine nel mese di maggio 2001 la rivista in questione ospitava un articolo
non firmato, dal titolo "Divise avvelenate - Mobbing, favoritismi e giochi di
potere. Così nella polizia cantonale ticinese si sprecano i soldi e si
bloccano le riforme", in cui fra le altre cose si accusava E.________ di
essere un assiduo giocatore di azzardo.
Il 25 giugno 2001 E.________ sporgeva querela penale contro C.________ per
titolo di diffamazione e si costituiva parte civile.

C.  ________ si è rifiutato di rilevare il nome dell'autore o degli autori
degli articoli sopraccitati, avvalendosi del diritto di non testimoniare
previsto all'art. 27bis CP.

B.
Con decreto d'accusa del 3 dicembre 2001 il Procuratore pubblico proponeva la
condanna di C.________ ad una multa di fr. 2'500.--, ritenendolo colpevole di
ripetuta mancata opposizione a una pubblicazione punibile, commessa
intenzionalmente.

C.
Con sentenza 11 marzo 2002 il Pretore del distretto di Bellinzona, statuendo
sull'opposizione del querelato al decreto d'accusa, dichiarava C.________
autore colpevole di ripetuta mancata opposizione a una pubblicazione
punibile, commessa intenzionalmente, e lo condannava al pagamento di una
multa di fr. 1'500.--.

D.
In data 8 ottobre 2003 la Corte di cassazione e di revisione penale del
Tribunale d'appello (CCRP) respingeva il ricorso per cassazione interposto da
C.________ contro la sentenza pretorile.

E.
C. ________ insorge con tempestivo ricorso per cassazione al Tribunale
federale contro la sentenza dell'ultima istanza cantonale, chiedendone
l'annullamento per violazione del diritto federale.

F.
La CCRP rinuncia a presentare osservazioni al ricorso. Il Procuratore
pubblico postula la reiezione del gravame. Nelle loro osservazioni le parti
civili D.________ e A.________ domandano che il ricorso venga respinto,
E.________ domanda che il ricorso venga respinto nella misura della sua
ricevibilità. B.________ è rimasto silente.

Diritto:

1.
1.1  Il ricorrente rimprovera essenzialmente all'autorità cantonale di
avergli
ingiustamente negato la cosiddetta prova della verità. Egli ritiene infatti
che la fattispecie di cui all'art. 322bis CP è da porsi in stretta relazione
con una pubblicazione punibile per cui, al fine di valutare la sussistenza o
meno di un simile reato, occorre sempre potere entrare nel merito della
pubblicazione stessa, esaminando la punibilità di quanto pubblicato,
concedendo in particolare al responsabile che non si oppone a una
pubblicazione la possibilità di fornire la prova liberatoria come previsto
all'art. 173 n. 2 CP. Non ammettendolo al beneficio di tale prova,
segnatamente respingendo la richiesta di interrogare a questo scopo 14
testimoni, l'autorità cantonale avrebbe pertanto violato il diritto federale.

1.2  Secondo i giudici cantonali i requisiti oggettivi dell'art. 322bis CP
sono tutti dati nella fattispecie, per cui non è ammissibile introdurre nella
stessa uno strumento come la prova liberatoria della verità o della buona
fede giusta l'art. 173 n. 2 CP, che non incombe né compete al redattore
responsabile, "non essendo egli l'autore della diffamazione". Il redattore in
causa deve al contrario farsi carico di tutte le proprie responsabilità,
dando prova di diligenza nell'impedire pubblicazioni punibili.

1.3  Si rende colpevole di mancata opposizione a una pubblicazione punibile
chiunque, in quanto responsabile giusta l'art. 27 cpv. 2 e 3 CP, non
impedisce una pubblicazione con la quale è commesso un reato. La pena
prevista è quella della detenzione oppure della multa in caso di reato
intenzionale, nonché dell'arresto oppure della multa in caso di commissione
per negligenza (art. 322bis CP).
Tale norma è parte integrante della recente modifica del diritto penale e
procedurale dei mass media, entrata in vigore il 1° aprile 1998. Al centro di
questa riforma vi è la necessità di adattare le condizioni poste dal moderno
diritto penale al lavoro degli operatori dei media, in modo tale che questi
possano adempiere i loro compiti, diventati sempre più importanti per la
formazione delle opinioni nella società democratica, senza tuttavia
pregiudicare indebitamente altri interessi degni di protezione (FF 1996 IV
pag. 450). In ambito di punibilità dei mezzi d'informazione ciò ha comportato
il conseguente adeguamento al principio della colpa, che rappresenta un
pilastro dei moderni sistemi penali ben espresso nel noto brocardo nulla
poena sine culpa (v. ad es. DTF 117 IV 369 consid. 17 pag. 391; Felix Bommer,
Commentario basilese, n. 21 e segg. preliminarmente all'art. 10 CP; Martin
Killias, Précis de droit pénal général, 2a ed., Berna 2001, pag. 37 e seg.).
Alla luce di tale adeguamento il redattore responsabile risponde ora soltanto
della propria colpa, senza più doversi assumere la responsabilità risultante
da altrui colpa, come invece ancora prevedeva il vecchio art. 27 CP, non a
caso molto criticato dalla dottrina (cfr. a questo proposito Franz Zeller,
Commentario basilese, n. 1 all'art. 322bis CP e rinvii). In questo senso è
stata istituita per il redattore responsabile una punibilità autonoma
rispetto a quella dell'autore dell'opera. Essa entra però in linea di conto
solo sussidiariamente, ovvero qualora l'autore dell'opera non possa essere
individuato o non possa essere tradotto davanti a un tribunale svizzero (art.
27 cpv. 2 CP). La condotta del redattore responsabile è penalmente rilevante
se non si è opposto in modo colpevole alla pubblicazione, vale a dire
intenzionalmente o per negligenza. Questo a condizione che mediante tale
pubblicazione sia stato commesso un reato. L'esistenza di tale reato di
riferimento è un presupposto oggettivo esplicitamente enunciato nell'art.
322bis CP, laddove si  parla di "una pubblicazione con la quale è commesso un
reato". Questo vale anche nella versione tedesca ("eine Veröffentlichung,
durch die eine strafbare Handlung begangen wird") e ancora più chiaramente
nella versione francese, dove si sottolinea la necessità che la pubblicazione
costituisca reato ("une publication constituant une infraction").
Nel caso concreto ciò significa che le pubblicazioni incriminate devono
costituire effettivamente una diffamazione ai sensi dell'art. 173 CP,
altrimenti si determinerebbe la situazione paradossale ed assurda per cui il
redattore responsabile dovrebbe rispondere penalmente per non avere impedito
una pubblicazione con la quale non è stato commesso un reato.

1.4  I giudici cantonali hanno solo in parte rispettato queste premesse
applicative dell'art. 322bis CP. Da un lato hanno pertinentemente esaminato
l'esistenza dei requisiti posti al n. 1 dell'art. 173 CP, giungendo alla
conclusione, qui comunque non contestata dal ricorrente, secondo la quale
essi sono adempiuti. D'altro lato non hanno applicato quanto previsto alle
cifre 2 e 3 di questa stessa disposizione. Ne esce così un'interpretazione
claudicante della fattispecie di base, la quale automaticamente rende
impossibile una corretta applicazione dell'art. 322bis CP unitamente all'art.
27 cpv. 1 CP.

1.5  L'art. 173 n. 2 CP prevede che il colpevole di diffamazione non incorre
in alcuna pena se prova di avere detto o divulgato cose vere oppure prova di
avere avuto seri motivi di considerarle vere in buona fede. Il colpevole non
è ammesso a fare la prova della verità ed è punibile se le imputazioni sono
state proferite o divulgate senza che siano giustificate dall'interesse
pubblico o da altro motivo sufficiente, prevalentemente nell'intento di fare
della maldicenza, in particolare quando si riferiscono alla vita privata o
alla vita di famiglia (art. 173 n. 3 CP). Il reato di riferimento prevede
dunque la possibilità per il colpevole di opporre, a determinate condizioni,
la prova liberatoria della verità oppure quella della buona fede.

1.6  Per quanto riguarda la prova della verità essa deve venire presa in
considerazione nella fattispecie sussidiaria alle stesse condizioni di
applicazione previste per il reato di riferimento. In caso contrario verrebbe
stravolto lo stesso sistema repressivo previsto dal Codice penale in ambito
di diffamazione, con il rischio di ammettere la punibilità di un redattore
responsabile per la pubblicazione di affermazioni vere e giustificate
dall'interesse pubblico (Franz Riklin, Medialex 2003 pag. 124; lo stesso,
Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil I, 2a ed., Zurigo 2002, pag.
249; Denis Barrelet, Medialex 2002 pag. 101). Anzi, è proprio nella logica
del regime di punibilità a cascata giusta l'art. 27 CP permettere al
redattore responsabile, che di fatto fa le veci di "incolpato di rimpiazzo",
di tentare perlomeno di provare la verità delle affermazioni incriminate.
L'interpretazione proposta nella sentenza impugnata non sarebbe del resto
nemmeno conciliabile con quanto previsto all'art. 27bis CP, in quanto
svuoterebbe di contenuto il diritto del redattore di rifiutarsi di
testimoniare sull'identità dell'autore dell'opera. Egli verrebbe infatti
messo sotto eccessiva pressione ed implicitamente spinto a rivelare l'autore
per liberarsi dalla responsabilità penale sussidiaria, con il rischio di
vanificare di fatto gli intenti garantistici esplicitamente perseguiti dal
legislatore in ambito di tutela delle fonti giornalistiche (v. FF 1996 IV
pag. 477, 480 e segg.).
1.7  Da tutto ciò discende che i giudici cantonali, negando al ricorrente il
diritto di fornire la prova della verità, hanno violato il diritto federale.
Il ricorso va quindi accolto e la sentenza cantonale annullata.

1.8  Il ricorso e la sentenza impugnata sollevano di transenna anche la
questione della prova della buona fede. Si tratta di una problematica di
principio, su cui il Tribunale federale non ha ancora avuto occasione di
esprimersi e che potrebbe in concreto acquisire importanza pratica nel caso
di eventuale insuccesso della prova della verità, nell'ambito del nuovo
giudizio cantonale. È dunque opportuno soffermarsi sulla problematica già in
questa sede.

1.8.1  Preliminarmente va evidenziata l'esistenza di aporie logiche che si
oppongono ad un'applicazione diretta degli stessi principi elaborati in
ambito di prova della verità. La prova della buona fede non riguarda infatti
un dato oggettivo, quale appunto la verità o meno delle affermazioni
incriminate, bensì una condizione soggettiva del reo. Si pone dunque la
questione di sapere se la buona fede cui riferirsi sia quella dell'autore
della pubblicazione incriminata oppure quella del responsabile ex art. 322bis
CP. Che si possa trattare della buona fede del primo va subito escluso per
ragioni di logica materiale, visto che la fattispecie sussidiaria dell'art.
322bis CP entra in azione proprio soltanto nei casi in cui l'autore della
pubblicazione non può essere individuato o non può essere tradotto davanti a
un tribunale svizzero (art. 27 cpv. 2 CP). A questo proposito si potrebbero
formulare solo delle ipotesi teoriche, impossibili da verificare nella
pratica e quindi sostanzialmente vane.

1.8.2  Verificabile nella pratica è invece la buona fede del responsabile ex
art. 322bis CP. Si tratta di una condizione soggettiva che non può tuttavia
venire direttamente considerata dal profilo dell'art. 173 n. 2 CP, visto che
tale norma fa riferimento esclusivo alla buona fede del colpevole di
diffamazione e non a quella di altre persone. La condizione soggettiva del
responsabile massmediatico va piuttosto esaminata in applicazione della
variante colposa del reato di cui all'art. 322bis CP. In questo senso colui
che senza commettere imprevidenza colpevole ai sensi dell'art. 18 cpv. 3 CP
ha in buona fede ritenuto vere le affermazioni incriminate e per questo
motivo non ne ha impedito la pubblicazione, non adempie la fattispecie di
mancata opposizione a una pubblicazione punibile. Si rende invece colpevole
di mancata opposizione colposa (art. 322bis seconda frase CP) il responsabile
che non ha usato le precauzioni di vigilanza redazionale alle quali era
tenuto secondo le circostanze e la sua situazione personale. Nel ponderare
tali precauzioni sono da tenere presenti il genere di mezzo di comunicazione
utilizzato, i rischi specifici ad esso connessi ed il grado di fiducia che il
responsabile massmediatico può riporre nella correttezza di comportamento dei
propri collaboratori, tenendo presenti il principio dell'affidamento nonché
la massima "ultra posse nemo tenetur" (Andreas Donatsch/ Wolfgang Wohlers,
Strafrecht IV, 3a ed., Zurigo 2004, pag. 506). La questione della buona fede
non va dunque affrontata alla stregua di una prova liberatoria posta nelle
mani dell'accusato, ma bensì come indicazione per valutare se sono dati o
meno gli elementi di tipicità del reato colposo. In questi casi spetta di
conseguenza alla pubblica accusa dimostrare che l'accusato ha violato un
dovere di diligenza, che, se rispettato, avrebbe permesso all'accusato stesso
di accorgersi della punibilità della pubblicazione che egli ha invece omesso
di impedire.

2.
2.1 Il ricorrente lamenta anche una violazione degli art. 28 e seg. CP in
relazione alla querela penale di D.________. Essa sarebbe tardiva perché
presentata più di tre mesi dopo l'apparizione della pubblicazione
incriminata. A mente del ricorrente viene così a cadere un requisito
fondamentale perché si possa perseguire un redattore giusta l'art. 322bis CP.

2.2  Secondo l'ultima istanza cantonale la querela è solo un presupposto di
natura processuale, per cui il fatto che di fronte a una diffamazione la
persona offesa non abbia sporto querela, ancora non significa che il reato
non sussista, ma soltanto che il Procuratore pubblico non è chiamato a
perseguire l'offesa. I giudici cantonali concludono quindi che la pretesa
tardività della querela non è, nella fattispecie, di alcun rilievo.

2.3  La formulazione dell'art. 322bis CP è quella di un reato perseguibile
d'ufficio: la procedibilità non è subordinata ad una querela penale. D'altro
canto, come già sottolineato ai consid. 1.3 e 1.8.1, l'art. 27 cpv. 2 CP
prescrive che il redattore responsabile, rispettivamente la persona
responsabile della pubblicazione, sia punibile ex art. 322bis CP solamente
qualora l'autore dell'opera non possa essere individuato o non possa essere
tradotto davanti a un tribunale svizzero (principio della responsabilità
sussidiaria). Si presuppone dunque che l'autore, qualora fosse individuabile,
rispettivamente giudicabile da parte di un tribunale svizzero, sarebbe egli
stesso punibile per il reato di riferimento. Di conseguenza se quest'ultimo
reato è punibile solo a querela di parte, come ad esempio nel caso di reati
contro l'onore, il reato previsto all'art. 322bis CP entra in linea di conto
soltanto se in precedenza è stata correttamente sporta querela penale contro
l'autore stesso della pubblicazione (così anche Donatsch/ Wohlers, op. cit.,
pag. 506; Riklin, Strafrecht, op. cit., § 20 n. 22; Zeller, op. cit., n. 9;
Simon Canonica, Medialex 2000, pag. 64). Da questo profilo la recente riforma
del diritto penale dei mass media comporta delle importanti novità anche
nelle modalità d'esercizio del diritto di querela, tali da permettere una
semplificazione del sistema. In base al vecchio diritto, infatti, se l'autore
della pubblicazione punibile non poteva venire scoperto, la parte lesa doveva
esplicitamente richiedere che si procedesse contro il redattore. Per fare ciò
occorreva però attendere che fossero adempiute le condizioni di punibilità di
quest'ultimo, giusta l'art. 27 n. 3 vCP (DTF 70 IV 145 consid. 1 pag. 149 e
seg.). Spesso, per non correre rischi, la parte lesa doveva così sporgere
querela in due tempi: dapprima contro l'autore ignoto e solo in seguito,
qualora questi non venisse identificato, contro il redattore. Ora invece, in
base al nuovo diritto, è sufficiente - ma comunque in ogni caso necessaria -
una sola querela contro l'autore, noto o ignoto che sia. Se l'autore non può
essere individuato o non può venire tradotto davanti a un tribunale svizzero,
subentra d'ufficio la procedura per il reato di mancata opposizione a
pubblicazione punibile. In questo senso il ruolo della parte lesa nel
procedimento per reati commessi mediante mass media è oggi più circoscritto,
ferma restando la possibilità della desistenza dalla querela (art. 31 CP). In
particolare, contrariamente a prima, non ricade più nella sua sfera di
competenza la decisione di agire contro il redattore, se i responsabili del
mezzo d'informazione si rifiutano di indicare il nome dell'autore oppure
forniscono risposte evasive (v. per quanto riguarda la vecchia prassi DTF 76
IV 65 consid. 2 pag. 67). Da parte sua l'autorità procederà in base all'art.
322bis CP contro il redattore, o eventualmente contro altri responsabili,
soltanto dopo avere ineccepibilmente chiarito se l'autore della pubblicazione
incriminata è individuabile e se può essere tradotto davanti a un tribunale
svizzero.

2.4  Da tutto ciò discende che, contrariamente a quanto affermato nella
sentenza impugnata, l'esistenza o meno di una querela valida è decisiva per
il giudizio sulla punibilità del redattore giusta l'art. 322bis CP. Tuttavia
in base all'art. 29 CP il termine di tre mesi per esercitare il diritto di
querela comincia a decorrere solo dal momento in cui l'avente diritto ha
conosciuto l'autore del reato. È quindi palese che tale condizione non è qui
adempiuta, per cui la querela non può venire considerata tardiva. Il problema
della tardività assume dunque rilevanza effettiva solo nei casi, anch'essi
previsti all'art. 27 cpv. 2 CP, in cui l'autore, pur essendo conosciuto dalla
parte lesa, non può essere tradotto davanti a un tribunale svizzero.

3.
3.1 In base all'art. 278 cpv. 1 PP le spese seguono la soccombenza, per cui
esse vengono poste in solido a carico dei resistenti privati che nelle loro
osservazioni hanno domandato la reiezione del gravame (Gilbert Kolly, Le
pourvoi en nullité à la Cour de cassation pénale du Tribunal fédéral, Berna
2004, n. 10.1, pag. 104; Erhard Schweri, Eidgenössische
Nichtigkeitsbeschwerde in Strafsachen, Berna 1993, n. 781), ovvero
D.________, A.________ e E.________. Il Procuratore pubblico, anch'esso
soccombente, è dispensato dal pagamento delle spese giusta l'art. 278 cpv. 2
PP.

3.2  Al ricorrente viene assegnata un'indennità a titolo di ripetibili a
carico della cassa del Tribunale federale, che i resistenti privati
soccombenti sono condannati a rimborsare in solido allo stesso tribunale
(art. 278 cpv. 3 prima e terza proposizione PP; Kolly, op. cit., n. 10.2,
pag. 105; Schweri, op.cit., n. 806). Il Procuratore pubblico non è tenuto a
rimborsare le spese (art. 278 cpv. 3 ultima proposizione PP).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Il ricorso per cassazione è accolto, la sentenza impugnata è annullata e la
causa viene rinviata all'autorità cantonale per nuovo giudizio.

2.
La tassa di giustizia di fr. 3'000.-- è posta a carico dei resistenti
D.________, A.________ e E.________ in solido.

3.
La cassa del Tribunale federale verserà al ricorrente la somma di fr.
3'000.-- a titolo d'indennità per ripetibili di questa sede. I resistenti
D.________, A.________ e E.________ sono tenuti in solido a rifondere alla
cassa del Tribunale federale tale importo.

4.
Comunicazione alle parti, al Ministero pubblico e alla Corte di cassazione e
di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino,.

Losanna, 17 giugno 2004

In nome della Corte di cassazione penale
del Tribunale federale svizzero

Il presidente:  Il cancelliere: