Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

II. Zivilabteilung 5P.460/2002
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5P.460/2002 /viz

Sentenza del 27 febbraio 2003
II Corte civile

Giudici federali Raselli, presidente,
Escher e Marazzi,
cancelliere Piatti.

A. A.________,
ricorrente, patrocinata dall'avv. dott. Franco Gianoni,
via Visconti 5, casella postale 1018, 6501 Bellinzona,

contro

B.A.________,
opponente, patrocinato dall'avv. Paolo Tamagni,
viale Stazione 32, casella postale 1855, 6500 Bellinzona,
I Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, via Pretorio 16,
6901 Lugano.

art. 9 Cost. (separazione, decreto cautelare)

(ricorso di diritto pubblico del 28 novembre 2002
presentato contro la sentenza emanata il 30 ottobre 2002 dalla I Camera
civile del Tribunale d'appello
del Cantone Ticino)

Fatti:

A.
A. A.________ e B.A.________ hanno contratto matrimonio nel 1969. Nel corso
del mese di agosto 2000, B.A.________ ha lasciato la casa unifamiliare di
Camorino - detenuta in comproprietà con la moglie, in ragione di un mezzo
ciascuno - ed ha preso in locazione un appartamento a Giubiasco. Riguardo
agli aspetti pratici della loro separazione di fatto, i coniugi - assistiti
nella circostanza dal solo patrocinatore della moglie - hanno concluso in
data 24 agosto 2000 una convenzione che prevedeva, tra l'altro,
l'assegnazione dell'abitazione familiare alla moglie e la cessione a lei
della quota di comproprietà del marito. Nell'attesa di eseguire la
convenzione, entrambe le parti si erano impegnate ad accantonare fr. 1'750.--
ciascuna per la copertura degli interessi e dell'ammortamento ipotecario. Al
momento di formalizzare predetto negozio, tuttavia, il marito è tornato sui
suoi passi, contestando la validità della convenzione, rifiutando di firmare
l'atto notarile e sospendendo il versamento della sua parte di oneri
ipotecari.

B.
Alcune settimane più tardi, la moglie ha promosso un'azione di separazione,
assortita da domanda di misure cautelari. Dopo un primo decreto del 4 maggio
2001, il competente Pretore del Distretto di Bellinzona ha statuito
definitivamente sulle misure cautelari con decreto 28 agosto 2001, sulla
scorta dei memoriali conclusivi introdotti dalle parti in data 8
rispettivamente 9 agosto 2001. Per quanto qui di rilievo, ha condannato
B.A.________ a versare alla moglie l'importo mensile di fr. 1'614.70,
calcolato disattendendo il tenore della contestata convenzione, ma tenendo
nondimeno conto dell'accordo delle parti sul principio di assumersi gli oneri
ipotecari in ragione di metà ciascuno: l'importo menzionato, dunque, è stato
calcolato considerando nei rispettivi fabbisogni delle parti gli oneri
ipotecari, in ragione di metà ciascuno, ed obbligando il marito a versare ad
A.A.________ la propria quota di oneri ipotecari.

C.
B.A.________ ha adito, il 7 settembre 2001, il Tribunale di appello del
Cantone Ticino, chiedendo che il giudizio di primo grado venisse riformato
nel senso di negare ogni contributo alla moglie, e dunque di stralciare la
relativa trattenuta di salario.
Con sentenza 30 ottobre 2002, in parziale accoglimento dell'appello del
marito, il Tribunale cantonale ha ridotto, con effetto 1° marzo 2002, a fr.
909,10 mensili il contributo di mantenimento attribuito alla coniuge. Il
Tribunale di appello, dopo aver lungamente disquisito sulla validità della
convenzione 24 agosto 2000 e concluso in proposito che la medesima non può
essere ritenuta vincolante - ciò che nemmeno le parti pretendono -, è passato
ad esaminare le componenti finanziarie dell'assetto provvisionale stabilito
dal primo giudice e criticato dall'appellante. Ha ritenuto, essenzialmente,
al di sopra di ogni critica l'accertamento del Pretore secondo il quale gli
introiti mensili del marito ammontino a fr. 6'823.--, eventuali riduzioni
potendo semmai essere fatte valere quale motivo di adattamento secondo l'art.
179 cpv. 1 CC. Ha parimenti confermato le altre cifre poste dal Pretore alla
base della sua decisione (spese di trasporto della moglie ed oneri d'imposta,
cassa malati del marito), salvo considerare la totalità dell'onere ipotecario
quale posta del fabbisogno minimo della moglie.
Il secondo tema oggetto dell'appello, ed approfonditamente discusso
dall'ultima istanza cantonale, riguarda gli oneri ipotecari dell'abitazione
familiare. I giudici di appello, rammentata la costante giurisprudenza in
virtù della quale eccessive spese di alloggio di una delle parti disattendono
il principio del trattamento paritario dei coniugi, e dunque non possono
essere integralmente considerate nel calcolo del minimo vitale, e fatto poi
presente che l'atteggiamento del marito su quale destino dare all'abitazione
familiare era stato a lungo ambiguo, hanno nondimeno concluso che l'onere
d'alloggio della moglie era eccessivo. Come da lei medesima proposto, le
hanno concesso un periodo transitorio di sei mesi per locare o vendere lo
stabile. Facendo decorrere predetto termine "dal momento in cui la moglie ha
conosciuto con sufficiente chiarezza la posizione del coniuge", hanno ope
rato una riduzione del contributo mensile dovuto dal marito a partire dal 1°
marzo 2002. Il problema è, tuttavia, che la sentenza impugnata portando la
data del 30 ottobre 2002, il termine di sei mesi impartito alla moglie è
scaduto nel passato, così come la riduzione dei contributi a lei dovuti dal
marito sono stati ridotti con effetto retroattivo.

D.
Questa è la censura principale che la ricorrente, con il qui discusso ricorso
di diritto pubblico 28 novembre 2002, muove alla decisione impugnata,
considerata arbitraria soprattutto - appunto - per la sua retroattività.
Arbitrario sarebbe inoltre l'accollamento a lei di oneri ipotecari riferiti,
per un importo mensile di fr. 375.--, ad un aumento dell'ipoteca conseguente
esclusivamente ai debiti contratti dal marito ad insaputa di lei.
Da parte sua, B.A.________ mette in evidenza, con risposta 16 dicembre 2002,
che la situazione finanziaria della ricorrente è tale da permetterle "di far
fronte, se lo desiderasse, e in modo autonomo, anche al mantenimento
dell'abitazione coniugale". Ella, inoltre, non dimostrerebbe "in alcun modo
l'asserita impossibilità di cedere a terzi o di mettere a miglior profitto la
già abitazione coniugale".
Il Tribunale di appello del Cantone Ticino, dal canto suo, ha rinunciato a
presentare osservazioni.
Con decreto del 18 dicembre 2002 il presidente della II Corte civile ha
respinto l'istanza di conferimento dell'effetto sospensivo.

Diritto:

1.
Per costante giurisprudenza, decisioni finali di ultima istanza cantonale in
tema di misure provvisionali (e di misure in tema di protezione dell'unione
coniugale) possono essere impugnate avanti al Tribunale federale unicamente
con ricorso di diritto pubblico (DTF 100 Ia 12 consid. 1b pag. 14; 126 III
261 consid. 1 pag. 263). Il presente ricorso, inoltrato da parte
indubbiamente legittimata entro il termine di cui all'art. 89 OG, è pertanto
ricevibile.

2.
È dato arbitrio quando il giudizio impugnato è manifestamente insostenibile,
in insanabile contraddizione con una norma o un principio giuridico chiaro e
indiscusso, o ancora quando urta in modo stridente con il sentimento della
giustizia e dell'equità (DTF 129 I 8 consid. 2.1 pag. 9 con rinvii). Non
basta criticare la decisione impugnata, come si farebbe di fronte ad
un'autorità giudiziaria con completa cognizione in fatto e in diritto, così
come non basta dimostrare che la soluzione proposta con il gravame sia almeno
altrettanto valida (DTF 120 Ia 369 consid. 3a pag. 373; sentenza 5P.217/2001
del 20 agosto 2001, consid. 3b): si deve rendere plausibile che la
conclusione cui è giunta l'autorità cantonale non sia ragionevolmente
sostenibile (DTF 127 I 54 consid. 2b pag. 56, con rinvii; 123 I 1 consid. 4a
pag. 5).

3.
3.1 La ricorrente, sia detto preliminarmente, non contesta che quella che era
l'abitazione coniugale sia, per lei sola, troppo onerosa. Considera, invece,
arbitraria la riduzione retroattiva del contributo dovutole dal resistente:
in primo luogo, l'ultima istanza cantonale non avrebbe attribuito alcuna
importanza al fatto che ella aveva chiesto un periodo transitorio per locare
o vendere l'abitazione di famiglia solo a titolo prudenziale, sottolineando
che il marito non aveva ancora risposto alla petizione della moglie, per cui
non si sa neppure se lui intenda acconsentire alla separazione. In tale
situazione di incertezza, sarebbe opinabile affermare che la moglie avrebbe
dovuto prendere l'iniziativa di vendere o locare la casa; ma addirittura
arbitrario sarebbe pretendere che la ricorrente avrebbe dovuto porre in atto
iniziative in tal senso senza che le fosse neppure comminata la riduzione del
contributo alimentare qualora non lo avesse fatto entro un congruo termine.
Il giudizio retroattivo costituirebbe dunque una manifesta violazione della
buona fede e del principio dell'affidamento sul quale la ricorrente poteva e
doveva basarsi.

3.2 Quando il giudice chiamato a statuire sugli alimenti ritiene di doversi
discostare dalle poste economiche accertate, segnatamente dalle entrate ed
uscite delle parti effettivamente constatate, deve concedere al debitore un
lasso di tempo adeguato per porre in atto quanto richiestogli (DTF 114 II 13
consid. 5 pag. 17; sentenza 5P.112/2001 del 27 agosto 2001, consid. 5d). Per
analogia, ciò deve valere anche nel caso sia il creditore degli alimenti ad
essere obbligato a modificare il proprio tenore di vita (come nel caso della
sentenza 5P.418/2001 del 7 marzo 2002, consid. 5c, nella quale era discorso
dell'obbligo della moglie di estendere la propria attività lavorativa).
In linea di massima, è del tutto ovvio che una decisione giudiziaria di tale
genere debba esplicare i propri effetti nel futuro, ossia successivamente
alla propria emanazione (ex nunc). È pertanto senz'altro sostenibile che
un'istanza superiore, chiamata a statuire sulla liceità di una decisione di
prima istanza con la quale veniva impartito alla moglie un determi  nato
termine per lasciare l'abitazione coniugale, pur respingendo il gravame
prolunghi il suddetto termine (v. lett. A della fattispecie riassunta in DTF
114 II 396). Se ciò debba sempre avvenire, è questione alla quale il
Tribunale federale, nella medesima occasione, aveva risposto di principio in
termini affermativi, anche se sotto forma di obiter dictum mancando una
formale censura in proposito (DTF 114 II 396 consid. 6b pag. 401). È certo
che tale soluzione presenta, fra i tanti, il vantaggio della fattibilità e la
possibilità concreta di esigerne l'immediata esecuzione. Ciò non autorizza
tuttavia ad affermare, apoditticamente, che la soluzione contraria - quella
adottata dal Tribunale di appello ticinese - sia per definizione sempre
inadeguata o addirittura arbitraria. Possono senz'altro darsi casi in cui il
giudice di prime cure aveva a ragione ritenuto che una parte dovesse
aumentare il proprio impegno lavorativo, oppure che le spese di abitazione di
una delle parti erano inadeguate, e contro la cui decisione vengono inoltrati
rimedi di diritto del tutto infondati a scopo puramente dilatorio: un tale
atteggiamento, costitutivo dell'abuso di diritto, non meriterebbe tutela
sotto forma di ulteriore proroga del termine fissato dal primo giudice.
Si può dunque interlocutoriamente ritenere che una decisione giudiziaria che
esplichi un qualsiasi effetto retroattivo non debba essere obbligatoriamente
e di per sé arbitraria.

3.3 Piuttosto, come d'altronde è connaturato nel concetto di arbitrio, va
valutato di caso in caso se una decisione soddisfi i requisiti (negativi) già
schizzati supra (consid. 2).

3.3.1 Visti in parallelo, sia gli argomenti della ricorrente (supra, consid.
3.1) che la motivazione addotta dai giudici cantonali (supra, fatti lett. C)
possono essere ricondotti ad un comune denominatore: la prevedibilità del
cambiamento per la parte gravata. Tale approccio va condiviso: appare
ragionevole ed equo affermare che una modifica, per quanto profonda, del modo
di vita di almeno una delle parti sarà tanto più difficilmente qualificabile
di arbitraria, quanto più tale modifica era per lei prevedibile.

3.3.2 Nel caso di specie, va rilevato preliminarmente che il Pretore, nella
propria decisione definitiva sulle misure provvisionali, non aveva neppure
accennato alla possibilità che la ricorrente potesse venire costretta a
lasciare l'abitazione coniugale. Evidentemente, anche a seguito
dell'originario approccio seguito da entrambe le parti e confluito poi nella
convenzione in seguito disattesa, il Pretore era partito dall'idea che per
nessuno fosse prioritario liberarsi della casa. Anzi, considerato che la
situazione economica dei coniugi era tale da creare un'eccedenza per rapporto
ai propri minimi vitali, pur continuando uno di loro ad occupare l'abitazione
coniugale, non sussisteva evidente necessità di risparmiare.

3.3.3 È vero che già avanti al Pretore il resistente si era opposto ad un
qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti della moglie, allegando in
particolare nelle conclusioni gli eccessivi oneri abitativi derivanti dal
fatto che ella restava nell'abitazione coniugale. Va tuttavia fatto presente
che nel medesimo allegato il marito aveva ribadito il proprio accordo a che
alla moglie venisse assegnata l'abitazione coniugale. Ma postulando da un
lato l'attribuzione dell'abitazione coniugale alla moglie, e
contemporaneamente pretendendo che la casa dovesse essere venduta (o locata)
al più presto in quanto troppo onerosa per le finanze delle parti, il
resistente ha assunto una posizione quanto meno contraddittoria. Va poi
aggiunto, come gli stessi giudici di appello evidenziano, che già prima
dell'inoltro del memoriale conclusivo la posizione del resistente era
contraddittoria. Infine, è incontestabile che le parti, almeno prima della
decisione di prima istanza e dell'inoltro dell'appello, non hanno avuto
alcuna possibilità di esprimersi sulle conclusioni della rispettiva
controparte.

3.3.4 Va poi ritenuta la circostanza che si è nell'ambito di una procedura di
separazione, e non di divorzio - ciò che si traduce, fra l'altro, nel
perdurare degli effetti del matrimonio (Ruth Reusser, Die Scheidungsgründe
und die Ehetrennung, in: Vom alten zum neuen Scheidungsrecht, Berna 1999,
pag. 9 - 52, margin. 1.103 pag. 43). Ora, anche prescindendo da quanto serie
possano essere effettivamente le possibilità di una riappacificazione delle
parti, è chiara la scelta della ricorrente di non volere (ancora) una
dissoluzione definitiva del vincolo che la lega al resistente, con tutto
quanto ne deriva in riferimento all'abitazione coniugale.

3.3.5 Inconferente è anche il rinvio dei giudici di appello alla prassi in
materia esecutiva. A parte che la dottrina citata si limita a ribadire
l'obbligo, per gli organi di esecuzione forzata, di concedere all'escusso un
termine ragionevole per porre rimedio a oneri ipotecari ritenuti eccessivi
(Luca Guidicelli / Fernando Piccirilli, Il pignoramento di redditi ex art. 93
LEF nella pratica ticinese, CFPG Collana blu vol. 5, Bellinzona 2002, margin.
133 pag. 43 seg.), ciò che non è contestato, va ribadito che il debitore che
arriva allo stadio del pignoramento non può certo dirsi ignaro dei propri
debiti, e non può certo pretendersi sorpreso qualora gli vengano imposte
restrizioni del tenore di vita. Per lui, richiamando il concetto di
prevedibilità esposto supra (consid. 3.3.1), la situazione è diversa rispetto
a quella qui discussa; senza dimenticare che qui, in discussione è l'esito di
un rimedio di diritto, non una decisione di prima istanza.

3.3.6 Anche le due obiezioni sollevate dal resistente nella sua risposta al
ricorso di diritto pubblico non sono di reale sostegno per la posizione
assunta dal Tribunale di appello. Quale sia l'effettiva situazione economica
della ricorrente, ed in particolare se ella sia comunque in grado di
finanziare autonomamente i costi dell'abitazione primaria, è qui irrilevante,
posto che ella non pretende di restare nell'abitazione coniugale contro il
volere del marito, né si duole di non riuscire a vendere o locare
convenientemente la casa, ma eccepisce unicamente e semplicemente che ciò le
sia stato imposto retroattivamente.

4.
Considerato tutto quanto precede, si deve giungere alla conclusione che, date
le circostanze particolari della fattispecie, a fine estate / inizio autunno
2001 la ricorrente non aveva ragione di ritenere imminente l'obbligo di
lasciare l'abitazione coniugale: l'accordo con il resistente era che ella ne
usufruisse, il Pretore non aveva accennato al fatto che tale abitazione fosse
troppo onerosa per lei sola, ed infine non risulta che le parti ne avessero
parlato. Detto altrimenti, il fatto che la ricorrente non abbia preso
spontaneamente l'iniziativa di abbandonare l'abitazione coniugale (per
locarla o rivenderla) non può essere sicuramente considerato contrario alla
buona fede. Del resto, nemmeno il marito sostiene il contrario.
La decisione dei giudici di appello non ha invece tenuto conto di quanto
sopra nel fissare il termine entro il quale imporre alla ricorrente medesima
di lasciare l'abitazione coniugale. Basandosi anzi unicamente su una propria
congettura priva di concreto riscontro agli atti - consistente
nell'identificazione astratta del primo momento in cui la ricorrente avrebbe
avuto conoscenza dell'accordo di principio del marito per la vendita
dell'abitazione coniugale -, i giudici cantonali hanno emanato una decisione
che travalica i limiti dell'opinabile, per diventare manifestamente
insostenibile, in stridente contrasto con il sentimento della giustizia e
dell'equità, e dunque arbitraria ai sensi della giurisprudenza (consid. 2
supra). Tale conclusione appare rafforzata se si pon mente ai termini
temporali entro i quali la decisione impugnata è stata resa: quattordici mesi
dopo la decisione di prima istanza, e otto mesi dopo la scadenza effettiva
del termine imposto.

5.
Infine, la ricorrente lamenta la messa a suo carico anche di quella parte di
oneri ipotecari indirettamente causati dai debiti accumulati dal resistente.
Si rileva, tuttavia, che già il Pretore aveva a suo tempo tenuto conto
dell'integralità degli interessi ipotecari gravanti sull'abitazione
familiare, e che in sede di appello la ricorrente aveva sì ripetutamente
criticato tale fatto, senza tuttavia dedurne alcuna richiesta formale di
aumento del contributo dovutole. Si tratta pertanto di una questione non
preventivamente sottoposta all'ultima istanza cantonale - la quale, difatti,
non si è pronunciata in proposito - e che quindi non può essere invocata nel
ricorso in esame, facendo difetto il requisito dell'esaurimento del corso
delle istanze cantonali previsto dall'art. 86 cpv. 1 OG (DTF 119 Ia 88
consid. 1a pag. 90). Ne segue che il gravame si rivela riguardo a questa
censura inammissibile.

6.
In conclusione, nella misura in cui è ricevibile il ricorso merita tutela,
ragione per cui la decisione impugnata va annullata. Tassa e spese di
giustizia seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 OG). Il resistente, che si
è espressamente determinato per la reiezione del ricorso, rifonderà alla
ricorrente adeguate ripetibili per la sede federale (art. 159 cpv. 1 OG).

Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:

1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è accolto e la decisione
impugnata è annullata.

2.
La tassa di giustizia di fr. 2'000.-- è posta a carico del resistente, che
rifonderà alla ricorrente fr. 1'500.-- per ripetibili della sede federale.

3.
Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla I Camera civile del
Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

Losanna, 27 febbraio 2003

In nome della II Corte civile
del Tribunale federale svizzero

Il presidente: Il cancelliere: