Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 85 II 64



85 II 64

13. Sentenza 5 maggio 1959 della II Corte civile nella causa B. contro B.
Regeste

    Scheidung nach Trennung der Ehe. Ausschliessliche Schuld des klagenden
Ehegatten (Art. 148 Abs. 1 ZGB). Verweigerung der Wiedervereinigung
seitens des beklagten Ehegatten? (Art. 148 Abs. 2 ZGB).

Sachverhalt

    A.- I coniugi B. si sono uniti in matrimonio il 25 ottobre 1952. Il
12 dicembre 1953, è nato il loro unico figlio.

    Il marito, che lavora presso l'Officina delle FFS a Bellinzona,
conservò anche dopo il matrimonio il domicilio ad Arzo, suo comune di
origine, e stabilì l'abitazione coniugale in un appartamento situato
nella casa dei suoi genitori. In un primo tempo, la moglie accettò
quella soluzione anche se la convivenza con il marito era così ridotta
a un incontro settimanale che durava dal sabato pomeriggio alla domenica
pomeriggio. Dopo pochi mesi, essa si trasferì però dal lunedì al sabato
presso i suoi propri genitori a Rancate, a motivo sopra tutto di seri
attriti sorti tra lei e i suoceri, in particolare la suocera. È poichè
gli attriti e i litigi s'erano fatti più violenti senza che il marito
intervenisse in favore della moglie, questa, dalla fine di agosto del
1953, rimase a Rancate anche il sabato e la domenica. In quel periodo,
era incinta e fu il medico a consigliarle di abbandonare totalmente la
casa dei suoceri. Pregato dalla moglie di porre premesse ragionevoli per
la ripresa dell'unione coniugale, il marito nulla intraprese, cosicchè
la moglie si rivolse, il 18 settembre 1953, al giudice, chiedendo il suo
intervento a stregua dell'art. 169 CC. Invece di trasferire l'abitazione
coniugale a Bellinzona o per lo meno altrove che in casa dei suoi genitori
come gli aveva suggerito il pretore, il marito fece diffidare la moglie,
un mese dopo, a reintegrare il domicilio coniugale ad Arzo. In risposta
alla diffida, che rimase senza effetti legali perchè prematura, la moglie
comunicò al marito che era sempre disposta a riprendere la vita coniugale,
non però in casa dei suoceri. Anche dopo la nascita del figlio, i due
coniugi continuarono a vivere separati.

    B.- Il 25 febbraio 1954, la moglie chiese la separazione legale
dal marito, l'attribuzione del figlio e la condanna del marito a pagare
alimenti adeguati per il mantenimento suo e del figlio. Pronunciata dal
pretore per tempo indeterminato, la separazione legale fu dal Tribunale
di appello limitata a un anno, in sostanza perchè alla base del dissidio
tra i due coniugi non stavano, per loro ammissione, sentimenti di
avversione personale, ma solo cause esteriori, la questione cioè del
luogo dell'abitazione coniugale, e tali cause sarebbero dovute cessare
non appena il marito si fosse deciso "a riunire la famiglia in un ambiente
favorevole alla regolare convivenza".

    C.- Il marito non diede seguito alcuno all'invito del pretore e
del Tribunale di appello di sistemare la sua famiglia in luogo sottratto
all'influsso pernicioso dei suoi genitori. Non appena trascorso il termine
di un anno, presentò al contrario al pretore di Mendrisio, la moglie non
essendo tornata ad Arzo, una petizione di divorzio fondata sugli art. 147 e
148 CC. Citato con la moglie per l'esperimento di conciliazione dichiarò
di rifiutare "ogni e qualsiasi riconciliazione"; la moglie disse invece
al gìudice che era sempre pronta alla riconciliazione ed era disposta a
riprendere la vita con il marito, alla sola ed unica condizione che il
domicilio coniugale fosse scelto fuori di Arzo.

    Sia il pretore sia il Tribunale di appello respinsero la domanda di
divorzio, per colpa esclusiva dell'attore.

    D.- L'attore ha interposto in tempo utile un ricorso per riforma
al Tribunale federale, chiedendo che, annullata la sentenza impugnata,
il divorzio sia concesso.

    Nelle sue osservazioni, la convenuta non ha presentato conclusioni
formali, ma dai suoi motivi appare che chiede la conferma pura e semplice
della sentenza impugnata.

Auszug aus den Erwägungen:

                    Considerando in diritto:

Erwägung 1

    1.- Giusta l'art. 148 cp. 1 CC, l'azione di divorzio riproposta anche
da uno solo dei coniugi dopo la decorrenza del periodo di separazione
senza che vi sia stata una riconciliazione dev'essere accolta, salvo che
la turrbazione dell'unione coniugale sia imputabile ad esclusiva colpa del
coniuge che ripropone l'azione. Anche in questo caso, precisa l'art. 148
cp. 2 CC, il divorzio deve tuttavia essere pronunciato se l'altro coniuge
rifiuta la conciliazione.

    Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, al coniuge convenuto
con un'azione di divorzio dopo separazione non può essere rimproverato di
rifiutare la riconciliazione nel senso dell'art. 148 cp. 2 CC, qualora il
coniuge attore non abbia per parte sua richiesto la riconciliazione o non
l'abbia richiesta seriamente (RU 84 II 412; 52 II 184 sgg.). Questa ipotesi
si verifica in concreto. Lungi dall'averla richiesta, l'attore rifiuta
infatti lui medesimo "ogni e qualsiasi riconciliazione". Così stando le
cose, l'attore non può però in nessun caso prevalersi dell'art. 148 cp. 2
CC. Per giustificare una conclusione diversa, non giova all'attore il
fatto che la convenuta sarebbe disposta a tornare a vivere con il marito
soltanto alla condizione che il domicilio coniugale sia fissato in una
località diversa che Arzo, e in ogni modo non in casa dei suoceri. Se
una condizione siffatta non appare senz'altro conciliabile con quanto
il Tribunale federale ha esposto nella sentenza RU 52 II 184 sgg.,
determinante rimane pur sempre la circostanza che la convenuta non può
aver rifiutato ciò che il marito non le ha offerto, escludendo lui medesimo
"ogni e qualsiasi riconciliazione".

Erwägung 2

    2.- Tenuto conto di ciò che precede, il divorzio potrebbe essere
pronunciato soltanto se, contrariamente a quanto hanno ritenuto ambedue i
giudici cantonali, la profonda turbazione dei rapporti coniugali non fosse
dovuta a colpa esclusiva dell'attore, ma pure a circostanze oggettive,
non imputabili cioè a colpa delle parti o a errori della convenuta,
che non fossero così poco importanti da doverli praticamente ignorare se
raffrontati alla colpa principale dell'attore (RU 84 II 412 consid. 2;
74 II 3 sgg.).

    L'attore lo pretende e dice che l'attribuzione a lui di tutta la colpa
per i fatti che condussero alla disunione violerebbe il diritto federale,
la moglie avendo abbandonato il tetto coniugale e non essendovi tornata
neppure quando fu diffidata a farlo.

    A questo proposito, occorre considerare quanto segue. Il Tribunale
di appello rileva che la causa della disunione materiale delle parti sta
esclusivamente nella "non risolta questione dell'abitazione coniugale". Nel
suo gravame, l'attore non asserisce che questa costatazione sarebbe
errata e che in realtà altre cause avrebbero condotto al perturbamento
della unione coniugale. Si tratta dunque di esaminare in primo luogo se
le difficoltà relative alla scelta dell'abitazione coniugale possano
essere ascritte, nel senso della giurisprudenza citata, a circostanze
oggettive e, ove tale non fosse il caso, se anche errori della convenuta
abbiano contribuito a fare di dette difficoltà una causa di turbazione
grave dell'unione dei due coniugi.

    a) Soltanto se ragioni plausibili, per esempio esigenze di lavoro,
avessero indotto l'attore a mantenere l'abitazione coniugale ad
Arzo e a vivere lontano dalla moglie sei giorni su sette, si potrebbe
riconoscere alle difficoltà nate dalla scelta dell'abitazione un carattere
oggettivo, così da giustificare la conclusione che l'attore non ne è
responsabile. In concreto, queste ragioni plausibili fanno difetto. Tra
l'altro, il ricorrente non critica minimamente l'accertamento del
Tribunale di appello che ha dimostrato inconsistente l'unico argomento
da lui addotto e secondo cui, mantenendo il domicilio coniugale ad Arzo,
avrebbe risparmiato sul canone di locazione. Per la verità, solo un erroneo
ed egoistico concetto del diritto del marito di scegliere l'abitazione
coniugale ha indotto l'attore a credere che la convenuta avesse due sole
alternative: o vivere in casa dei suoceri o accettare le conseguenze del
suo rifiuto. Ora, un atteggiamento di questa natura non è conciliabile con
il dovere che ciascun coniuge ha di contribuire con tutte le sue forze
a superare le difficoltà esterne ed interne le quali possono nuocere al
buon andamento di un'unione coniugale (RU 79 II 341, 77 II 207 e sentenze
ivi citate). Non lo è sicuramente in un caso come quello in esame, dove il
marito poteva rendersi conto che l'esclusiva preoccupazione della moglie
era di non dover continuare a vivere in casa dei suoceri, esposta com'era
alle loro interferenze originate dalla continua assenza del marito e,
manifestamente, dalla subordinazione di questi ai voleri di sua madre. Più
che di difficoltà dovute a circostanze oggettive, devesi insomma parlare,
con il Tribunale di appello, "d'ingiustificata ostinazione del marito
nell'opporsi alla naturale e ragionevole sistemazione dell'abitazione al
luogo del lavoro, ponendo fine a una convivenza limitata nei primi mesi
a un giorno per settimana e poi cessata".

    b) Per ciò che riguarda il comportamento della convenuta, a torto
il ricorrente cerca di ascriverle a colpa il fatto che abbandonò a
suo tempo il tetto coniugale e non vi fece più ritorno. Essa si recò
infatti dai suoi propri genitori su consiglio del medico, per evitare
il ripetersi dei litigi con i suoceri durante gli ultimi mesi della
gravidanza. Nè si contentò di partire, giacchè fece sapere al marito
che sarebbe tornata non appena avesse posto premesse ragionevoli per una
vita coniugale normale. Non fu del resto l'unica volta in cui la moglie
cercò di far comprendere al marito che il solo ostacolo alla loro unione
era dato dal contatto forzato con i suoceri. Malgrado quegli inviti
della convenuta a dar prova di un minimo di buona volontà e malgrado i
suggerimenti degli stessi giudici cantonali, l'attore mai volle proporre
una soluzione concreta diversa da quella consistente nell'esigere dalla
moglie che tornasse in casa dei suoceri. Neppure quando la separazione
legale pronunciata dal pretore a domanda della moglie e confermata dal
Tribunale di appello venne a sancire la pretesa della moglie di avere
un'abitazione coniugale sottratta alle interferenze dei suoceri, l'attore
diede prova di minore intransigenza. Egli si limitò ad attendere la fine
della separazione legale per chiedere, poco dopo, il divorzio in virtù
dell'art. 148 CC. In queste circostanze, bisogna convenire che soltanto
l'attore porta la responsabilità della disunione che caratterizza oggi il
suo matrimonio. Un rimprovero non può essere mosso alla convenuta, tanto
più che ancora oggi è disposta a riprendere la vita coniugale non appena
l'attore avrà fatto cessare le cause, a lui esclusivamente imputabili,
che indussero a suo tempo i giudici a pronunciare la separazione legale
dei coniugi.

Entscheid:

                Il Tribunale federale pronuncia:

    Il ricorso per riforma è respinto e la sentenza impugnata è confermata.