Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 137 IV 79



Urteilskopf

137 IV 79

10. Estratto della sentenza della Corte di diritto penale nella causa Ministero
pubblico della Confederazione contro A. e B. (ricorso in materia penale)
6B_221/2010 del 25 gennaio 2011

Regeste

Art. 305^bis StGB; Geldwäscherei betreffend Vermögenswerte, die aus der
Erfüllung eines Vertrages stammen, dessen Abschluss durch Korruption begünstigt
wurde.
Vermögenswerte, die aus einem Rechtsgeschäft stammen, welches mittels
Korruption abgeschlossen wurde, rühren aus einem Verbrechen her, wenn sie zur
Straftat in einem natürlichen und adäquaten Kausalzusammenhang stehen. Sie
brauchen dabei nicht notwendigerweise die direkte und unmittelbare Folge der
Straftat zu sein. In einem solchen Fall können diese Vermögenswerte Gegenstand
des Tatbestands der Geldwäscherei sein (E. 3).

Erwägungen ab Seite 80

BGE 137 IV 79 S. 80
Dai considerandi:

3.

3.1 Il ricorrente fa valere una violazione dell'art. 305^bis CP lamentando il
fatto che la precedente istanza ha considerato di origine criminale soltanto i
valori patrimoniali destinati al corrotto e non anche quelli destinati ai
corruttori. Sostiene che tutto il guadagno dei corruttori, ricavato dalla
vendita del carbone nel periodo incriminato e transitato sul conto y, sarebbe
provento di reato, siccome sarebbe collegato in un rapporto di causalità
adeguata con il reato di corruzione.

3.2 Occorre quindi stabilire in che misura i valori patrimoniali conseguiti
dagli accusati mediante il commercio di carbone, favorito dall'accordo
corruttivo, possono essere considerati provento della corruzione e quindi
possibili oggetto di riciclaggio.
Secondo l'art. 305^bis n. 1 CP commette riciclaggio di denaro ed è punito con
una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria, chiunque compie
un atto suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento
o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengono
da un crimine. La giurisprudenza ha in particolare posto l'accento sull'atto
suscettibile di vanificare la confisca, atto che di per sé include anche quello
suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine e il ritrovamento dei
valori patrimoniali (DTF 129 IV 238 consid. 3.3). Il comportamento è quindi
punibile se è idoneo a compromettere la confisca del prodotto del crimine.
Giusta l'art. 70 cpv. 1 CP, il giudice ordina la confisca segnatamente dei
valori patrimoniali che costituiscono il prodotto di un reato. Nell'ambito di
sentenze in materia di confisca, in applicazione del vecchio art. 59 n. 1 cpv.
1 CP, sostanzialmente corrispondente all'art. 70 cpv. 1 CP, il Tribunale
federale ha rilevato che il reato deve essere la causa essenziale ed adeguata
dell'ottenimento dei valori patrimoniali e che questi devono provenire
tipicamente dal reato in questione. Deve quindi esistere, tra il reato e
l'ottenimento dei valori patrimoniali un nesso causale tale da fare apparire il
secondo come la conseguenza diretta e immediata del primo. È in particolare
questo il caso, quando l'ottenimento dei valori patrimoniali costituisce un
elemento oggettivo o soggettivo del reato o quando rappresenta un vantaggio
diretto derivante dalla commissione dell'infrazione. Per contro, i valori
patrimoniali non possono essere considerati come il
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risultato del reato, quando quest'ultimo ha soltanto facilitato il loro
ottenimento ulteriore mediante un atto successivo senza connessione immediata
con il reato stesso (cfr. sentenze 6S.667/2000 del 19 febbraio 2001 consid. 3a,
in SJ 2001 I pag. 330; 6S.819/1998 del 4 maggio 1999 consid. 2a, in SJ 1999 I
pag. 417). Il Tribunale federale aveva al riguardo richiamato in particolare il
commentario edito da NIKLAUS SCHMID, Kommentar Einziehung, organisiertes
Verbrechen, Geldwäscherei, vol. I, 1998 (cfr. SCHMID, op. cit., n. 30 e 34
segg. all'art. 59 CP; cfr. inoltre, nella stessa opera, JÜRG-BEAT ACKERMANN, n.
164 all'art. 305^bis CP).
Trattandosi in particolare di redditi derivanti da negozi giuridici resi
possibili grazie alla corruzione, il primo degli autori succitati aveva negato
ch'essi potessero essere qualificati quali "valori patrimoniali che
costituiscono il prodotto di un reato" e che potessero quindi essere
confiscati, mancando un rapporto diretto tra il reato e il vantaggio economico
conseguito (cfr. SCHMID, op. cit., n. 36 all'art. 59 CP, pag. 102). In
considerazione del mutato quadro legale, questo autore ha tuttavia rivisto e
precisato questa opinione nella seconda edizione dell'opera citata, in cui non
esclude che possa anche essere sostenuta la tesi contraria, purché la confisca
sia limitata alla parte di profitto riconducibile alla corruzione sulla base di
un nesso causale dimostrato (cfr. SCHMID, op. cit., 2^a ed. 2007, n. 36a segg.
agli art. 70-72 CP). Questa soluzione è sostenuta dalla dottrina più recente,
che ammette di massima la possibilità di una confisca di valori patrimoniali
conseguiti in esecuzione di un contratto ottenuto in rapporto di causalità
adeguata mediante un atto corruttivo (cfr. BERNARD BERTOSSA, Confiscation et
corruption, SJ 2009 II pag. 371, 378; cfr. inoltre BERTRAND PERRIN, La
répression de la corruption d'agents publics étrangers en droit pénal suisse,
2008, pag. 272 seg.; DANIEL JOSITSCH, Das Schweizerische Korruptionsstrafrecht,
2004, pag. 425 seg. e 428; MARK PIETH, Korruptionsgeldwäsche, in Wirtschaft und
Strafrecht, Festschrift für Niklaus Schmid, 2001, pag. 448 seg.). A ragione la
precedente istanza vi ha quindi fatto esplicito riferimento nel suo giudizio,
esaminando sotto questo profilo la questione di sapere se il vantaggio
(indiretto) conseguito dai corruttori proveniva da un crimine e poteva quindi
essere oggetto di riciclaggio giusta l'art. 305^bis CP. Alla luce di queste
considerazioni, l'esposta giurisprudenza del Tribunale federale deve quindi
essere precisata nel senso che, per essere considerati prodotto di reato, i
valori patrimoniali ottenuti da un negozio giuridico conseguito mediante la
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corruzione devono stare in un rapporto causale naturale ed adeguato con il
reato, senza che siano necessariamente la conseguenza diretta ed immediata
dello stesso.

3.3 In concreto, il semplice fatto che i vantaggi patrimoniali conseguiti dagli
accusati provenivano dal commercio del carbone e derivavano quindi soltanto
indirettamente dall'accordo corruttivo non basta perciò a negare che possano
essere considerati come provenienti da un crimine. Come visto, neppure la
precedente istanza ha preteso il contrario, ma ha rettamente richiesto
l'esistenza di una causalità adeguata.
Al riguardo, i primi giudici hanno rilevato che non era sufficientemente
dimostrato un nesso causale tra la corruzione del sindaco C. e i valori
patrimoniali conseguiti dagli accusati mediante il commercio del carbone
destinato alla centrale termoelettrica di X. Hanno in particolare ritenuto che
non era provato, "che in assenza di tale accordo corruttivo i gruppi
funzionanti a carbone della centrale termoelettrica di X. sarebbero stati
chiusi, rispettivamente che la centrale non sarebbe stata rifornita col carbone
Adaro atteso che questa soluzione è stata comunque adottata sulla base di
parallele sentenze del TAR e del Consiglio di Stato e continua tuttora ad
essere adottata a X. nonostante sia notorio a tutti quanto è successo intorno
al sindaco C.". La Corte penale del TPF si è invero chiesta "se ciò sarebbe
avvenuto anche senza l'accordo tra C. e gli accusati nella misura in cui tale
accordo ha dato l'abbrivio, limitando per una certa inevitabile inerzia le
successive possibilità di scelta della D. S.p.A. di approvvigionarsi in carbone
presso altri fornitori o comunque di guardarsi in giro alla ricerca di altre
soluzioni". Poiché non erano stati apportati sufficienti indizi sul rapporto di
causalità, la Corte penale non ha però esaminato oltre la questione ed ha per
finire negato che i valori patrimoniali di spettanza degli accusati derivanti
dal commercio del carbone potessero essere considerati di origine criminale ai
sensi dell'art. 305^bis n. 1 CP.
Il ricorrente sostiene che la precedente istanza avrebbe negato a torto il
nesso causale tra i valori patrimoniali ottenuti dagli opponenti e l'accordo
corruttivo, ma non si confronta con queste considerazioni. Nemmeno tiene conto
degli accertamenti relativi all'esistenza delle decisioni sia del Tribunale
amministrativo regionale (TAR) sia del Consiglio di Stato e al mantenimento
dell'approvvigionamento in carbone "Adaro" malgrado la notorietà delle vicende
che hanno
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coinvolto il sindaco. Non fa in particolare valere, con una motivazione
conforme alle esigenze di motivazione degli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF,
che questi accertamenti sarebbero manifestamente insostenibili o chiaramente in
contrasto con gli atti, né spiega per quali ragioni, nonostante le
considerazioni dei primi giudici, un rapporto causale dovrebbe comunque essere
ammesso o non sarebbe venuto meno.
Certo, nel giudizio impugnato, i primi giudici danno un peso rilevante alla
corruzione del sindaco nell'ottica del mantenimento in esercizio della
centrale. Inoltre, le decisioni del Tribunale amministrativo regionale e del
Consiglio di Stato sembrano concernere unicamente una domanda incidentale di
sospensione dell'esecuzione dell'ordine di chiusura disposto dal sindaco.
Tuttavia, il ricorrente adduce in sostanza solo che l'esistenza dell'accordo
corruttivo risulterebbe dalle sentenze emanate nell'ambito del procedimento
italiano e sarebbe ammessa dagli stessi accusati. Non sostanzia, con chiarezza
e precisione, che le considerazioni della precedente istanza sulle decisioni
del Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato e sulla loro
rilevanza sarebbero manifestamente in contrasto con specifiche constatazioni
risultanti dai giudizi italiani. Né egli sostiene che, anche tenendo conto di
questi elementi, avrebbe dimostrato che la corruzione del sindaco costituirebbe
la condizione per la fornitura del carbone alla centrale, attività commerciale
che ha permesso in ultima analisi agli accusati di realizzare gli utili in
discussione. Le argomentazioni ricorsuali non consentono quindi di concludere
che i primi giudici hanno violato l'art. 305^bis CP ritenendo che tali valori
patrimoniali non potevano essere considerati come provento di crimine.