Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 126 III 101



126 III 101

21. Estratto della sentenza del 6 ottobre 1999 della II Corte civile nella
causa Amministrazione fallimentare A. contro B. e consorti (ricorso di
diritto pubblico) Regeste

    Art. 27 und 166 IPRG; Anerkennung eines ausländischen Konkursdekretes
in der Schweiz.

    Damit ein ausländisches Konkursdekret in der Schweiz anerkannt werden
kann, braucht es nicht in Rechtskraft erwachsen zu sein; es genügt, wenn
es im Staat, in dem es ergangen ist, vollstreckbar ist. Eine kantonale
Behörde verfällt nicht in Willkür, wenn sie das gemäss Art. 166 Abs. 1
lit. c IPRG erforderliche Gegenrecht als gegeben erachtet und ein
italienisches Konkursdekret anerkennt (E. 2).

    Der Vollstreckungsrichter kann nicht von der Feststellung der
ausländischen Behörde abweichen, die das Vorliegen einer stillen
Gesellschaft bejaht hat. Vereinbarkeit mit dem schweizerischen
Ordre public von ausländischen Konkursdekreten, welche eine faktische
Gesellschaft nach italienischem Recht und ihre Gesellschafter betreffen
(E. 3).

Sachverhalt

    A.- Con sentenza 15 maggio 1996 il Tribunale di Napoli (Italia)
ha dichiarato il fallimento della E. società di fatto (SDF), con sede
a Napoli, e di G. e F., Napoli, soci illimitatamente responsabili della
predetta società.

    Lo stesso Tribunale italiano, con sentenza 10 luglio 1996,
ha dichiarato, per estensione del fallimento della società di fatto
E. SDF, il fallimento di B., C., D. e H., Napoli. I giudici napoletani
hanno infatti accertato l'esistenza di un vincolo associativo occulto
tra questi ultimi quattro e la E. SDF.

    B.- Il 16 dicembre 1996 il curatore fallimentare ha chiesto, a nome
dell'amministrazione fallimentare, il riconoscimento in Svizzera delle
sentenze di fallimento del 15 maggio e 10 luglio 1996 del Tribunale
di Napoli.

    La Corte cantonale, con sentenza 10 marzo 1999, ha parzialmente accolto
l'istanza del 16 dicembre 1996, riconoscendo il fallimento decretato il 15
maggio 1996 limitatamente ai falliti F. e G.. Non ha invece riconosciuto,
né il fallimento decretato nei confronti della E. SDF, né quello decretato
il 10 luglio 1996 nei confronti di B., C., H. e D.. In sostanza i giudici
cantonali hanno rifiutato il riconoscimento della sentenza del 10 luglio
1996 poiché non ancora cresciuta in giudicato in Italia e perché contraria
all'ordine pubblico svizzero. Per questo secondo motivo è pure stato
rifiutato il riconoscimento del fallimento della E. SDF, ritenuta dai
giudici cantonali una società apparente e dunque inesistente.

    C.- Il 26 aprile 1999 l'amministrazione fallimentare è insorta contro
questa decisione con ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale,
il quale ha accolto il gravame e ha annullato la decisione impugnata fatto
salvo il riconoscimento del fallimento decretato il 15 maggio 1996 dal
Tribunale di Napoli nei confronti di F. e G. e la relativa liquidazione
dei beni dei falliti situati in Svizzera.

Auszug aus den Erwägungen:

                       Dai considerandi:

Erwägung 2

    2.- a) Giusta l'art. 166 cpv. 1 della legge federale del 18 dicembre
1987 sul diritto internazionale privato (LDIP; RS 291) il decreto
straniero di fallimento pronunciato nello Stato di domicilio del debitore
è riconosciuto in Svizzera ad istanza dell'amministrazione straniera
del fallimento o di un creditore se (lett. a) è esecutivo nello Stato in
cui è stato pronunciato, (lett. b) non sussiste alcun motivo di rifiuto
giusta l'art. 27 e (lett. c) lo Stato in cui è stato pronunciato concede
la reciprocità.

    b) La ricorrente rimprovera anzitutto all'autorità cantonale d'aver
posto arbitrariamente quale requisito per il riconoscimento delle decisioni
italiane di fallimento non solo la loro esecutività, ma pure la loro
crescita in giudicato. A suo dire, il testo dell'art. 166 cpv. 1 lett. a
LDIP, che prevarrebbe, siccome norma speciale, sul disposto generale
dell'art. 25 lett. b LDIP, giusta il quale la decisione straniera è
riconosciuta in Svizzera se è definitiva, è chiaro. Esso esige solo che il
decreto straniero di fallimento sia esecutivo nello Stato in cui è stato
pronunciato. Ciò si giustifica, secondo la ricorrente, per il carattere
specifico del decreto di fallimento, in particolare per il principio della
parità di trattamento tra creditori, che impone il riconoscimento del
fallimento dal momento in cui è esecutivo per inibire esecuzioni speciali
sui beni del fallito. D'altronde, asserisce la ricorrente, nel diritto
svizzero il ricorso contro la dichiarazione di fallimento non ha ex lege
un effetto sospensivo (art. 174 cpv. 3 LEF). La dottrina maggioritaria
sostiene infine che il decreto di fallimento, per essere riconosciuto, non
deve aver acquisito forza di cosa giudicata, ma deve solo essere esecutivo.

    c) Secondo la giurisprudenza, il significato di una norma deve essere
inteso anzitutto nella sua accezione letterale. Se il testo è chiaro,
l'autorità può scostarsene solo ove esistano motivi seri per ritenere che
esso non corrisponda al vero senso del disposto in esame. Tali motivi
possono risultare dai lavori preparatori, dal fondamento e dallo scopo
della norma litigiosa, così come dalla relazione con altre disposizioni
(DTF 124 II 265 consid. 3a; 121 III 460 consid. 4a/bb pag. 465 con rinvii).

    Nella fattispecie, il testo dell'art. 166 cpv. 1 lett. a LDIP è chiaro
ed univoco (LOUIS DALLÈVES, Faillites Internationales, FJS 987 pag. 9;
PIERRE-ROBERT GILLIÈRON, Les dispositions de la nouvelle loi fédérale
de droit international privé sur la faillite internationale, 1991,
pag. 65). La dottrina maggioritaria sostiene che questo disposto richiede
esclusivamente l'esecutività della decisione, ad esclusione della forza
di cosa giudicata (HANS HANISCH, Die Vollstreckung von ausländischen
Konkurserkenntnissen in der Schweiz, in AJP 1999 pag. 17 segg., in
particolare pag. 23 [di seguito: op. cit. 1999]; DANIEL STAEHLIN, Die
Anerkennung ausländischer Konkurse und Nachlassverträge in der Schweiz
(art. 166 ff IPRG), tesi Basilea, 1989, pag. 52 segg.; JOLANTA KREN
KOSTKIEWICZ, Internationales Konkursrecht: Anerkennung ausländischer
Konkursdekrete und Durchführung eines Sekundärkonkurses in der Schweiz,
in BlSchK 1993 pag. 1 segg., in particolare pag. 8; GEORGES SCYBOZ/ANDREA
BRACONI, La reconnaissance et l'exécution des jugements étrangers dans
la jurisprudence récente du Tribunal fédéral, in: Revue fribourgeoise
de jurisprudence, 1993, pag. 222 nota 43; STEPHEN V. BERTI, Basler
Kommentar, n. 26 ad art. 166 LDIP, PIERRE-ROBERT GILLIÉRON, op. cit.,
pag. 65; LOUIS DALLÈVES, op. cit., pag. 9). Questa norma, che si scosta di
proposito dall'art. 25 lett. b LDIP; ha anzitutto quale scopo di impedire
tempestivamente al fallito di poter disporre del proprio patrimonio per
evitare manovre sleali da parte sua e in secondo luogo di permettere
l'abbandono delle esecuzioni speciali al fine di equiparare tutti i
creditori (DANIEL STAEHELIN, op. cit., pag. 53 segg.; nello stesso senso
HANS HANISCH, op. cit. 1999, pag. 23 e JOLANTA KREN KOSTKIEWICZ, op. cit.,
pag. 8 segg.). Essa corrisponde d'altronde alla soluzione della LEF per
i fallimenti in Svizzera: anche se la dichiarazione di fallimento può
essere oggetto di un ricorso ordinario, quest'ultimo non ha per legge
effetto sospensivo (art. 174 cpv. 3 e 36 LEF; DANIEL STAEHELIN, op. cit.,
pag. 53 segg.; cfr. HANS HANISCH, op. cit. 1999, pag. 23 segg.).

    Non c'è motivo per scostarsi dal chiaro testo dell'art. 166 cpv. 1
lett. a LDIP e ritenere che la decisione straniera deve aver acquisito
forza di cosa giudicata, come sostengono invece alcuni autori senza
tuttavia motivare la loro opinione (cfr. BERNARD DUTOIT, Commentaire de
la loi fédérale du 18 décembre 1987, 2a ed., 1997, n. 8 ad art. 166 LDIP;
PAUL VOLKEN, IPRG Kommentar, 1993, n. 23 ad art. 166 LDIP). Rifiutando di
riconoscere il decreto italiano di fallimento del 10 luglio 1996, poiché
non cresciuto in giudicato, l'autorità cantonale ha commesso arbitrio. La
sola condizione posta dalla legge è infatti quella dell'esecutività della
decisione straniera, e in concreto questa condizione è adempiuta, poiché
giusta l'art. 18 comma 4 Regio Decreto n. 267/1942 l'opposizione del
debitore contro la decisione di fallimento non ne sospende l'esecuzione.

    d) Le controparti sostengono tuttavia che, indipendentemente
dal carattere esecutivo della decisione del 10 luglio 1996 ai sensi
dell'art. 166 cpv. 1 lett. a LDIP, il riconoscimento dovrebbe in ogni caso
essere rifiutato alla luce dell'art. 166 cpv. 1 lett. c LDIP, poiché il
diritto italiano non accorderebbe la reciprocità. Infatti, l'art. 797 n. 4
del Codice di procedura civile italiano subordinerebbe il riconoscimento
di una decisione straniera alla condizione che la stessa sia passata in
giudicato nello Stato in cui è stata pronunciata; un'identica esigenza
sarebbe prevista dall'art. 64 lett. d della legge n. 218 del 31 maggio
1995 che riforma il sistema italiano del diritto internazionale privato.

    Secondo la dottrina bisogna interpretare senza eccessiva rigidezza
l'esigenza di reciprocità; quest'ultima deve essere ammessa quando il
diritto dello Stato estero riconosce gli effetti di un fallimento straniero
in misura sensibilmente equivalente - e non a condizioni rigorosamente
identiche - al diritto svizzero (LOUIS DALLÈVES, op. cit., pag. 10; PAUL
VOLKEN, op. cit., n. 32 ad art. 166 LDIP; HANS HANISCH, Internationale
Insolvenzrechte des Auslandes und das Gegenrecht nach Art. 166 Abs. 1
IPRG, in RSDIE 1992 pag. 3 segg., in particolare pag. 6 [di seguito:
op. cit. 1992]; BERNARD DUTOIT, op. cit., n. 10 ad art. 166 LDIP). In altri
termini, non è necessario che la decisione straniera da riconoscere,
partendo dall'ipotesi che emani da un tribunale svizzero, possa in
tutti i casi essere riconosciuta nello Stato straniero; è sufficiente
che il diritto straniero riconosca una decisione svizzera in un'ipotesi
identica a condizioni che non siano sensibilmente più sfavorevoli a quelle
poste dal diritto svizzero per il riconoscimento di un decreto straniero
di fallimento (DANIEL STAEHELIN, op. cit., pag. 69 con rinvii). Ora,
secondo la dottrina, tale reciprocità è fondamentalmente data per l'Italia
(DANIEL STAEHELIN, op. cit., pag. 87 segg.; HANS HANISCH, op. cit. 1992,
pag. 9 segg.; cfr. PAUL VOLKEN, op. cit., n. 34 ad art. 166 LDIP; LOUIS
DALLÈVES, op. cit., pag. 10 nota 36; STEPHEN V. BERTI, op. cit., n. 38
segg. ad art. 166 LDIP; BERNARD DUTOIT, op. cit., n. 11 ad art. 166 LDIP).

    Ne consegue, in definitiva, che i giudici cantonali ben potevano
riconoscere la decisione di fallimento italiana del 10 luglio 1996 dal
profilo della reciprocità ai sensi dell'art. 166 cpv. 1 lett. c LDIP
senza incorrere nell' arbitrio.

Erwägung 3

    3.- a) La ricorrente rimprovera inoltre ai giudici cantonali di avere
rifiutato il riconoscimento di parte delle predette sentenze italiane,
poiché esse contrasterebbero con l'ordine pubblico materiale svizzero. Essa
rileva che non è contrario all'ordine pubblico svizzero pronunciare il
fallimento dei soci illimitatamente responsabili contemporaneamente a
quello della società di fatto. La ricorrente sostiene infatti, citando la
regolamentazione della società in nome collettivo del diritto svizzero,
che, essendo l'art. 568 cpv. 1 CO di diritto dispositivo, i soci sono
liberi di rinunciare al carattere sussidiario della responsabilità
solidale e illimitata per i debiti sociali. Nel diritto italiano, il
fallimento della società, compreso quello di una società occulta, provoca
automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, che
siano iscritti come tali o che siano occulti, indipendentemente dalla
loro insolvenza personale. Tuttavia, secondo la legge, tutti i soci,
anche quelli occulti, devono essere sentiti in camera di consiglio e
hanno la possibilità d'evitare il fallimento pagando i debiti sociali. In
concreto, sostiene la ricorrente, il fallimento della società di fatto
e dei soci occulti è stato pronunciato al termine di una procedura in
contraddittorio nella quale tutti i falliti hanno potuto far valere i
loro diritti. Ne discende, secondo la ricorrente, che l'ordine pubblico
svizzero, su questo punto, non è stato violato.

    Inoltre essa fa valere che sebbene il diritto svizzero si attenga
al criterio formale dell'iscrizione nel registro di commercio, le
condizioni di assoggettamento al fallimento secondo il diritto italiano, in
particolare la qualità di imprenditore, non differiscono fondamentalmente
da quelle esatte dal diritto svizzero. In concreto, la realizzazione
di queste condizioni è stata partitamente costatata in contraddittorio
nell'ambito della procedura di fallimento. Anche in questo caso, l'ordine
pubblico svizzero, secondo la ricorrente, non è stato violato.

    Essa rimprovera inoltre ai giudici cantonali di aver arbitrariamente
considerato che si trattava in concreto di riconoscere il fallimento di
una società apparente, dunque di una società in realtà inesistente. Ora,
sostiene la ricorrente, le decisioni di fallimento del 15 maggio e
del 10 luglio 1996 poggiano in realtà sull'accertamento dell'esistenza
di una società occulta, fondata sul principio della realtà, e non di
una società apparente, fondata sul principio dell'affidamento. Essa
asserisce che l'accertamento del Tribunale di Napoli in punto alla
sussistenza di una società occulta - e non di una società apparente -
è insindacabile e non è soggetto a riesame nell'ambito della procedura di
delibazione. La ricorrente fa dunque valere che è arbitrario rifiutare di
riconoscere il fallimento di una società di persone esistente - sebbene
irregolare poiché non iscritta nel registro delle imprese - così come
rifiutare di riconoscere il fallimento dei soci che, sebbene occulti, sono
illimitatamente responsabili per gli impegni assunti dalla società. Ciò a
maggior ragione, sostiene la ricorrente, se si considera che nel diritto
svizzero il giudice che accerta l'esistenza di un'attività commerciale
esercitata da differenti persone fisiche legate da un contratto concluso
per atti concludenti (società di fatto) ne dedurrebbe l'esistenza di una
società in nome collettivo, i cui membri risponderebbero degli impegni
assunti dalla società ex art. 568 CO.

    Infine, essa sottolinea che la decisione impugnata sarebbe viziata
da una contraddizione interna nella misura in cui rifiuta di riconoscere
il fallimento di B., C., D. e H., mentre riconosce quello di G.; ora,
quest'ultimo è stato dichiarato in fallimento, come i primi quattro,
nella sua qualità di socio occulto della società di fatto.

    b) Secondo la giurisprudenza, la riserva dell'ordine pubblico è una
clausola d'eccezione, la cui applicazione in materia di riconoscimento
ed esecuzione di decisioni straniere (cfr. art. 27 cpv. 1 LDIP)
è più restrittiva che nel campo dell'applicazione diretta delle
norme di diritto. Il riconoscimento della decisione straniera è la
regola. Dalla stessa non bisogna scostarsi senza validi motivi (DTF 120
II 87 consid. 3 in limine; cfr. anche DTF 116 II 625 consid. 4a, 109 Ib
232 consid. 2a, 103 Ib 69 consid. 3d con rinvii). Infatti, allo stadio
del riconoscimento e dell'esecuzione di decisioni straniere, l'autorità
svizzera si trova confrontata con rapporti giuridici definitivamente
acquisiti all'estero e occorre evitare nella misura del possibile la
creazione di rapporti giuridici claudicanti (DTF 116 II 625 consid. 4a
in fine; BERNARD DUTOIT, op. cit., n. 4 ad art. 27 LDIP; PAUL VOLKEN,
op. cit., n. 23 segg. ad art. 27 LDIP). L'ordine pubblico svizzero è
violato dal riconoscimento di una decisione straniera quando la stessa
offende il sentimento svizzero di giustizia in maniera intollerabile,
contravvenendo a principi fondamentali dell'ordine giuridico svizzero con
il quale si rivela totalmente incompatibile (DTF 122 III 344 consid. 4a
con rinvii, 111 Ia 12 consid. 2a con rinvii). Una semplice differenza
con la soluzione prevista dal diritto svizzero non è sufficiente a
giustificare l'applicazione dell'eccezione dell'ordine pubblico (PAOLO
MICHELE PATOCCHI/ELLIOTT GEISINGER, Code de droit international privé
suisse annoté, 1995, n. 1.1 ad art. 27; PAUL VOLKEN, op. cit., n. 21 ad
art. 27 LDIP; cfr. DTF 118 II 468 consid. 4f). Infine, questa eccezione
deve essere applicata ancora con maggior riserbo quando il legame della
fattispecie con la Svizzera è tenue o casuale (PAUL VOLKEN, op. cit., n.
21 segg. ad art. 27 LDIP; STEPHEN V. BERTI/ANTON K. SCHNYDER, Basler
Kommentar, n. 6 in fine ad art. 27 LDIP).

    La dottrina, nell'ambito del riconoscimento dei decreti stranieri
di fallimento, cita quali esempi di violazione dell'ordine pubblico
che permettono al giudice di respingere la richiesta di riconoscimento,
il caso in cui lo Stato nel quale il fallimento è stato pronunciato crea
tra i creditori discriminazioni infondate, basate sulla loro nazionalità
o sul loro domicilio, oppure il caso in cui la dichiarazione straniera di
fallimento sarebbe solo il pretesto per la confisca di diritti patrimoniali
del fallito in Svizzera (ANDREA BRACONI/ALAIN COLOMBARA, La reconnaissance
et l'exécution des décisions de faillite étrangères en Suisse, in: Le
juriste suisse face au droit et aux jugements étrangers, 1988, pag. 161
segg., in particolare pag. 172; DANIEL STAEHELIN, op. cit., pag. 57 segg.).

    c) In concreto risulta dalla decisione di fallimento emanata il
10 luglio 1996 dal Tribunale di Napoli che i giudici italiani hanno
accertato l'esistenza di una società occulta, società nella quale il
vincolo sociale che intercorre tra i soci non è reso noto a terzi in
mancanza di esteriorizzazione del vincolo sociale stesso; non hanno
invece ritenuto - contrariamente alle affermazioni dei giudici cantonali
- l'esistenza di una società apparente, figura giuridica diametralmente
opposta, nella quale due o più persone agiscono dando a terzi l'apparenza
di una società in realtà inesistente nei rapporti interni. Non è possibile
scostarsi da questo accertamento, poiché giusta l'art. 27 cpv. 3 LDIP
(applicabile per il rinvio dell'art. 166 cpv. 1 lett. b LDIP) la decisione
straniera non può essere riesaminata nel merito. Ciò significa che il
giudice svizzero non può rifiutare il riconoscimento della decisione
straniera solo perché una questione qualsiasi, di fatto o di diritto,
non è stata giudicata correttamente dal suo collega straniero (BERNARD
DUTOIT, op. cit., n. 11 ad art. 27 LDIP). Di conseguenza la motivazione
dell'autorità cantonale che considera contrario all'ordine pubblico
svizzero riconoscere il fallimento di una società in realtà inesistente
e di persone fisiche in realtà non associate risulta insostenibile.

    Anche l'assenza per definizione d'iscrizione nel registro delle
imprese della società di fatto e dei suoi soci non è contrario all'ordine
pubblico svizzero. Infatti nel diritto svizzero, quando una società
in nome collettivo - che può essere costituita tacitamente, per atti
concludenti (DTF 95 II 547 consid. 2) - non è iscritta nel registro
di commercio, contrariamente a quanto prevede l'art. 552 cpv. 2 CO, i
creditori possono richiederne l'iscrizione dichiarativa (art. 941 CO e
art. 57 cpv. 2 dell'Ordinanza del 7 giugno 1937 sul registro di commercio
[ORC; RS 221.411]; DTF 73 I 311 consid. 2; CARL JAEGER, Bundesgesetz
über Schuldbetreibung und Konkurs, 4a ed., 1997, n. 10 ad art. 39 LEF),
che comprende l'iscrizione di ogni socio (art. 554 cpv. 2 cifra 1 CO),
il quale, come la società (cfr. art. 39 cpv. 1 cifra 2 LEF), ma alle
condizioni dell'art. 568 cpv. 3 CO, è soggetto all'esecuzione in via di
fallimento. Il fallimento italiano di una società di fatto e quello dei
suoi soci non risulta dunque così dissimile dalla concezione svizzera
del diritto da rivelarsi totalmente incompatibile con l'ordine giuridico
svizzero.

    Infine, sebbene nel diritto svizzero il fallimento dei soci è
pronunciato al termine di una procedura distinta da quella sfociata
nel fallimento della società, ciò che offre loro possibilità di difesa
più estese, il sistema italiano (nel quale i soci possono far valere i
loro diritti nell'ambito della procedura di fallimento della società
che comporta automaticamente il loro fallimento) non può, solo per
il summenzionato motivo, essere giudicato totalmente incompatibile
con l'ordine pubblico svizzero. Non si vede pertanto a quali principi
fondamentali dell'ordine giuridico svizzero avrebbero contravvenuto le
decisioni italiane di fallimento, al punto da rivelarsi inconciliabili,
nel loro risultato (cfr. PAUL VOLKEN, op. cit., n. 21 ad art. 27 LDIP;
STEPHEN V. BERTI/ANTON K. SCHNYDER, op. cit., n. 7 ad art. 27 LDIP),
con il sentimento svizzero del diritto, considerando oltretutto che il
legame della fattispecie con la Svizzera è puramente casuale, essendo
dovuto alla presenza in Svizzera di beni dei falliti. Si è d'altronde
ben lontani dagli esempi citati dalla dottrina in materia di decisioni
di fallimento contrarie all'ordine pubblico svizzero.

    Ne discende che rifiutando sulla base dell'art. 27 cpv. 1 LDIP di
riconoscere in Svizzera il fallimento della società di fatto, e quella dei
soci occulti, i giudici cantonali hanno commesso arbitrio. Ciò a maggior
ragione se si considera, come rettamente sottolineato dalla ricorrente,
che essi hanno riconosciuto il fallimento di G., anch'esso dichiarato
fallito nella sua qualità di socio occulto della società di fatto.