Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 125 III 35



125 III 35

6. Estratto della sentenza 3 settembre 1998 della II Corte civile nella
causa B. contro A. (ricorso per riforma) Regeste

    Art. 90 Abs. 2 IPRG; auf einen Nachlass anwendbares Recht, Form der
professio iuris durch letztwillige Verfügung.

    Der Testator kann den Nachlass selbst stillschweigend einem seiner
Heimatrechte unterstellen, wenn der Wortlaut der Testamentsurkunde
genügend Indizien dafür enthält, dass dies sein Wille war. Kommt dieser
im Wortlaut der letztwilligen Verfügung unzweideutig, aber unvollständig
zum Ausdruck, muss die Testamentsurkunde ausgelegt werden, um die darin
enthaltenen Angaben zu klären, unter Beizug auch ausserhalb derselben
liegender Elemente, Beweismittel und Umstände.

Sachverhalt

    A.- E., cittadina germanica già domiciliata in Ticino, è deceduta
in Germania l'otto agosto 1994. Con testamento pubblico del 1o agosto
precedente il decesso, la de cuius ha revocato ogni disposizione anteriore,
ha istituito sua erede unica A. e ha confermato di essere stata edotta
dei diritti sulla legittima della figlia; ha infine precisato che la
successione manifestava un valore netto di 4,5 milioni di franchi svizzeri.
Con petizione 19 settembre 1994 B., domiciliata in Germania e figlia
unica di primo letto della defunta, ha promosso azione di riduzione nei
confronti dell'erede istituita A., pure domiciliata in Germania. L'attrice
ha rivendicato il diritto alla legittima nella misura prevista dal
diritto svizzero, pari ai 3/4 della successione, mentre la convenuta ha
riconosciuto tale diritto nella misura di un credito pari al 50% della
successione, come previsto dall'ordinamento germanico. Con decisione 11
luglio 1996 il Pretore ha ritenuto che alla successione è applicabile il
diritto germanico, che unica erede di E. è A. e che alla figlia spetta
la metà del valore della sostanza relitta. Con sentenza 8 aprile 1998,
la I Camera civile del Tribunale di appello del Cantone Ticino ha invece
deciso che con il testamento la de cuius non ha espresso una valida
professio iuris e che di conseguenza alla successione è applicabile il
diritto svizzero e che alla figlia spettano i 3/4 della successione a
titolo di porzione legittima.

    B.- Avverso il giudizio cantonale, A. ha presentato, oltre a un ricorso
di diritto pubblico, un ricorso per riforma. Con quest'ultimo rimedio essa
chiede al Tribunale federale di riformare la sentenza impugnata nel senso
che, in applicazione del diritto germanico, alla figlia spetti la metà
dell'attivo netto della successione relitta da E. Secondo la convenuta,
basta che il testamento preveda, anche implicitamente, la volontà di
sottoporre la successione al diritto del paese d'origine. In concreto,
il testamento è stato redatto in Germania da un notaio germanico con un
contenuto conforme al diritto germanico (diverso da quello svizzero) e dopo
che la testatrice era stata edotta del diritto alla legittima della figlia.
Da tutti questi elementi interni all'atto emerge in modo sufficientemente
chiaro che la testatrice voleva sottoporre la sua successione al diritto
germanico. Altri elementi estrinseci (deposizione del notaio germanico,
rapporto di avversione nei confronti della figlia confermato da più testi)
permettono poi di concludere per una completa conferma di questa volontà.
All'accoglimento del rimedio si oppone B.

    Il Tribunale federale ha accolto il ricorso.

Auszug aus den Erwägungen:

                        Dai considerandi:

Erwägung 2

    2.- La testatrice, cittadina germanica, aveva il suo ultimo domicilio
in Svizzera. La sua successione è quindi per principio disciplinata,
in applicazione dell' art. 90 cpv. 1 della legge federale sul diritto
internazionale privato (LDIP; RS 291), dal diritto svizzero. Il capoverso
due di questa norma prevede però la possibilità per lo straniero, di
sottoporre la successione "per testamento o per contratto successorio"
ad uno dei suoi diritti nazionali.

    a) Una tale disposizione, meglio nota come "professio iuris",
era conosciuta dal diritto civile svizzero nell'ambito della legittima
di fratelli e sorelle, dove il disponente poteva derogare al diritto
federale e sottoporre quel tipo di legittima alle norme del suo cantone di
attinenza (cfr. DTF 109 II 403 e rif.) e si estendeva (combinati disposti
degli art. 32 e 22 cpv. 2 della legge del 25 giugno 1891 sui rapporti
di diritto civile dei domiciliati e dei dimoranti, in seguito LR) anche
agli stranieri con domicilio in Svizzera, che potevano sottoporre la loro
successione al diritto del paese di attinenza. In applicazione di quelle
disposizioni, la giurisprudenza del Tribunale federale stabilì dapprima
che la professio iuris doveva essere espressamente e formalmente contenuta
nella disposizione di ultima volontà (DTF 21 II 991 consid. 1; 25 I 49
consid. 3; 30 I 313 consid. 1; 40 II 15 consid. 4). Con la sentenza DTF 109
II 403, il Tribunale federale ha invece modificato questa giurisprudenza,
ammettendo che non è necessario pronunciarsi "in termini solenni per il
diritto del proprio Cantone di attinenza" nella disposizione di ultima
volontà, ma che basta piuttosto "riferirvisi in modo approssimativo o
persino implicito, purché il testo della disposizione a causa di morte
contenga indizi univoci, gli elementi estrinseci potendo servire semmai
a interpretare le indicazioni che emergono dal testo, ma non a supplire
o a sostituire il medesimo".

    b) Nell'ambito dell'elaborazione della LDIP la Commissione di esperti
propose nel suo progetto di legge (art. 91 cpv. 3) che in caso di professio
iuris il diritto scelto dovesse risultare inequivocabilmente dalla
disposizione di ultima volontà, precisando poi nel commento (Bundesgesetz
über das internationale Privatrecht (IPR-Gesetz) - Gesetzesentwurf der
Expertenkommission und Begleitbericht, Eidg. Justizabteilung, Berna, pag.
125 (d) e pag. 310 (f)) che la novella introduce un'innovazione quanto
alla forma della professio iuris. Mentre la LR esige una dichiarazione
espressa nella dichiarazione a causa di morte, la nuova legge si contenta
di una professio implicita, a condizione però che essa risulti senza
equivoci dall'atto, ad esempio se risulta dalla lingua utilizzata, dalla
forma e dal contenuto del testamento che il disponente si è fondato su
un diritto nazionale preciso. Nel rapporto finale (Schlussbericht, in
Schweizer Studien zum internationalen Recht, vol. 13, pag. 184) viene
poi ulteriormente precisato che la scelta del diritto applicabile può
essere dimostrata anche mediante interpretazione della disposizione di
ultima volontà; essa è in particolare da ammettere nei casi in cui il
testamento corrisponda integralmente per lingua, forma e contenuto al
diritto del paese di attinenza.

    Nel corso della procedura di consultazione, la proposta degli esperti
venne da più parti criticata, siccome troppo vaga (Bundesgesetz über
das internationale Privatrecht - Darstellung der Stellungnahmen auf
Grund des Gesetzesentwurfs der Expertenkommission und des entsprechenden
Begleitberichts, Bundesamt für Justiz, maggio 1980, pag. 304 segg.). Con
il messaggio concernente la legge federale sul diritto internazionale
privato (FF 1983 I 239, pag. 363 seg.), il Consiglio federale ha quindi
proposto il testo dell'art. 90 cpv. 2 nella formulazione vigente, rilevando
segnatamente che "l'art. 91 cpv. 3 dell'avamprogetto prevedeva che la
legge eletta dovesse risultare univocamente dalla disposizione a causa
di morte. La professio iuris non esigeva dunque una clausola formale,
ma poteva essere dedotta dalle circostanze. Questa disposizione è stata
criticata nella procedura di consultazione. Il presente disegno ha
rinunciato a siffatta normativa. Spetterà alla giurisprudenza sviluppare
criteri inerenti alla forma della professio iuris" (sulla genesi della
norma cfr. pure RÜETSCHI/BONORAND/GUT-BAUHOFER, Die Gültigkeit der
professio iuris im internationalen Privatrecht, in: SJZ 1986, pag. 154;
HEINI, IPRG Kommentar, n. 10 all'art. 90 LDIP; SCHNYDER in: Kommentar
zum Schweizerischen Privatrecht, n. 18 ad art. 90 LDIP).

    c) La dottrina, specie con riferimento alle ultime sentenze pubblicate
(DTF 111 II 16; 109 II 403), sembra orientarsi verso i criteri colà
esposti, fondati sulla volontà del defunto. L'esistenza e la validità
di una professio iuris dovrebbe quindi essere vagliata secondo le regole
generali vigenti in materia di interpretazione degli atti a causa di morte
(PIOTET, Droit privé suisse, vol. IV, § 54 III, pag. 364 nota 5, BUCHER,
Droit international privé suisse, vol. II, n. 942; HEINI, op.cit.,
n. 11 segg. all'art. 90 LDIP; SCHNYDER, op.cit., n. 18 all'art. 90
LDIP; BREITSCHMID, Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, n. 52 delle
osservazioni preliminari agli art. 467-536 CC; DUTOIT, Droit international
privé suisse, Commentaire de la loi fédérale du 18 décembre 1987, 2a ed,
n. 4 all'art. 90 LDIP). Il testatore può quindi riferirsi al diritto
del paese d'attinenza anche in maniera tacita, purché il testo dell'atto
contenga indizi sufficienti per ammettere che tale fosse la sua volontà. Se
quest'ultima appare in maniera non equivoca, ma incompleta dal testo della
disposizione di ultima volontà, si dovrà procedere all'interpretazione
dell'atto (DTF 116 II 117 consid. 3 e rinvii; 101 II 31 consid. 2), facendo
capo, ai fini del chiarimento delle indicazioni in esso contenute, anche
ad elementi, prove e circostanze estrinseci (DTF 120 II 182 consid. 2a
e rinvii).

Erwägung 3

    3.- a) Il Tribunale federale quale giurisdizione per riforma rivede
liberamente l'interpretazione di una disposizione di ultima volontà
adottata dall'autorità cantonale; esso è, per contro, vincolato agli
accertamenti di fatto, dai quali può essere desunta la volontà del
disponente (DTF 120 II 182 consid. 2a; 115 II 323 consid. 1a).

    b) In concreto, la defunta, cittadina germanica domiciliata in Ticino,
ha disposto un'ultima volta con un testamento pubblico rogato da un notaio
germanico in Germania. In quel testamento, rogato secondo le disposizioni
notarili germaniche, la testatrice ha tra l'altro precisato di essere stata
sposata due volte e di aver avuto una figlia - l'attrice, ora coniugata in
Germania - dal primo matrimonio e di essere stata edotta del diritto alla
legittima della figlia. Con il testamento, la de cuius ha poi revocato ogni
precedente atto di disposizione a causa di morte ed ha così disposto: "Ich
setze Frau A. geb. I., wohnhaft in Augsburg, zu meiner Alleinerbin ein.
Ersatzerben bestimme ich nicht." Si tratta ora di stabilire se disponendo
in Germania, davanti a un notaio germanico e secondo le forme colà vigenti
nei modi di cui si è detto, la testatrice abbia manifestato la volontà
di sottoporre la sua successione al diritto germanico.

    aa) Anzitutto, anche se da solo non determinante, un indizio in
tal senso può già essere intravisto nel fatto di disporre mediante un
atto pubblico rogato in Germania da un notaio germanico secondo le forme
notarili del diritto germanico e dove tutte le parti interessate sono di
nazionalità germanica (testatrice, erede istituita e erede legittimaria). E
il fatto che la professio iuris non appaia in modo espresso nel testamento
può facilmente essere spiegata dal fatto - negletto in causa dalle parti
e dalle precedenti istanze - che il diritto internazionale germanico
prevede dal profilo ereditario l'applicazione generalizzata del diritto
del paese di attinenza del de cuius (art. 25 EGBGB); inoltre, il diritto
internazionale germanico non conosce una professio iuris generalizzata e
illimitata, ma solo una possibilità di derogare al diritto del paese di
attinenza e a favore del diritto germanico per i beni immobili situati
in Germania (art. 25 cpv. 2 EGBGB; J. VON STAUDINGER, Kommentar zum
Bürgerlichen Gesetzbuch mit Einführungsgesetz und Nebengesetzen, 13a ed.,
n. 466 ad art. 25 EGBGB). Non deve quindi destare soverchia meraviglia
il fatto che il notaio germanico non abbia indicato espressamente
l'applicazione del diritto germanico alla successione, perché per lui
una tale dichiarazione era del tutto superflua (STAUDINGER, op.cit.,
n. 520 e 521 ad Anh. zu Art. 25 f EGBGB).

    bb) Ma nel testamento pubblico l'erede viene pure istituita quale
"meiner Alleinerbin": da codesta formulazione, la convenuta ritiene
di poter dedurre una chiara indicazione dell'applicazione del diritto
germanico. Secondo quest'ultimo ordinamento, infatti, l'erede riservatario
non dispone della qualità di erede se viene escluso (espressamente
o tacitamente) dall'eredità, ma beneficia di un semplice credito nei
confronti degli eredi istituiti (§ 2303 cpv. 1 BGB; STAUDINGER, op.cit.,
12a ed., n. 67 ad § 2303 BGB; D. STAEHELIN, Kommentar zum Schweizerischen
Privatrecht, n. 4 ad art. 470 CC): l'istituzione della convenuta quale
"Alleinerbin" fa quindi chiaramente riferimento al diritto germanico,
perché solo in quell'ordinamento l'erede istituito è e rimane unico
erede, mentre nel diritto svizzero l'erede legittimario ha sempre qualità
di erede.

    I giudici cantonali, al proposito, hanno rilevato che detta
formulazione non permette ancora di concludere per l'applicazione del
diritto germanico, perché anche nel diritto svizzero il testatore
può designare un terzo erede universale in presenza di eredi
legittimari. Questa motivazione è vera solo in parte. Qualora, infatti,
il testamento venga fatto nelle forme dell'atto pubblico, il notaio
si esprime in termini giuridicamente corretti e propri all'ordinamento
giuridico applicabile. Orbene, nel diritto svizzero l'erede legittimario
è sempre stato considerato erede ad ogni effetto anche se escluso dalla
successione mediante testamento, perdendo tale qualità solo in caso di
rinuncia dell'eredità. Questa concezione, criticata da alcuni autori,
che attribuiscono all'erede legittimario la qualità di erede solo al
momento in cui ha ottenuto la riduzione, restando nel frattempo solo
erede potenziale, è stata adottata a lungo dal Tribunale federale, che
di recente ha però avuto modo di lasciarla aperta (STAEHELIN, op.cit.,
n. 4 ad art. 470 CC; DTF 104 II 75 consid. 3b/bb). Ad ogni buon conto,
ben si può argomentare che l'istituzione nel testamento pubblico di
una terza persona quale unico erede in presenza di eredi legittimari,
ancorché possibile, non è né corretta né tipica del diritto svizzero. Altro
conto sarebbe se il testamento fosse redatto direttamente dal testatore
nella forma scritta senza l'intervento del notaio. Inoltre, in concreto,
il notaio ha espressamente reso attenta la testatrice sul diritto alla
legittima della figlia, di guisa che l'istituzione della terza persona
quale "Alleinerbin" può senz'altro richiamare l'applicazione del diritto
germanico, piuttosto che quello svizzero.

    c) L'insieme di tutte le ricordate circostanze, ossia il luogo
della rogazione in Germania, la confezione e la pubblicazione dell'atto
secondo il diritto notarile germanico da parte di un notaio germanico,
la nazionalità germanica di tutte le parti interessate, la formulazione
dell'istituzione d'erede tipica del diritto germanico e piuttosto estranea
a quello svizzero lasciano trasparire la volontà della testatrice di
veder disciplinata la sua successione dal diritto germanico. Ciò basta,
per poter procedere all'ulteriore interpretazione della disposizione di
ultima volontà facendo capo a ogni altro elemento o circostanza estrinseci.

    La sentenza impugnata ricorda al proposito, facendo riferimento ai
documenti o alle deposizioni agli atti, diversi elementi estrinseci, che
potrebbero avere una rilevanza nell'ambito dell'interpretazione, ma che a
torto ha negletto perché dal testamento non emerge la volontà di sottoporre
la successione al diritto germanico. Orbene, gli elementi estrinseci sono
parecchi e assai importanti. Innanzi tutto la madre aveva pessimi rapporti
con la figlia e aveva espresso la volontà di lasciarle il meno possibile;
il notaio ha poi reso attenta la testatrice sulla legittima di 1/2 a favore
della figlia prevista dal diritto germanico e la testatrice stessa gli
aveva detto di già saperlo e di voler applicare quel diritto e non quello
svizzero; infine nei precedenti testamenti fatti in Svizzera la testatrice
ha sempre optato per il diritto del paese di attinenza in maniera espressa,
mentre nella disposizione a causa di morte fatta anni prima in Germania la
professio iuris risulta solo da un accenno al BGB. Si tratta di una serie
di elementi, estremamente significativi, che non lasciano dubbi di sorta
sulla volontà della de cuius di sottoporre la sua successione al diritto
del paese di attinenza e che confermano pertanto tutti gli indizi in tal
senso emergenti dal testamento stesso e di cui si è detto in precedenza. Ne
consegue, quindi, che con il testamento pubblico fatto in Germania il 1o
agosto 1994 la testatrice ha validamente optato per l'applicazione del
diritto germanico, ossia per l'ordinamento del suo paese di attinenza e
la sua successione è pertanto disciplinata da quel diritto.