Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 124 I 310



124 I 310

38. Estratto dalla sentenza 28 agosto 1998 della II Corte di diritto
pubblico nella causa avv. Simona Lepori e avv. Daniele Borelli c. Camera
per l'avvocatura e il notariato del Tribunale d'appello del Cantone Ticino
e Commissione di disciplina dell'Ordine degli avvocati del Cantone Ticino
(ricorso di diritto pubblico) Regeste

    Art. 4 BV und 31 BV; Tessiner Gesetz vom 15. März 1983 über die
Advokatur; Standesregeln des Anwaltsverbandes des Kantons Tessin vom 4.
Dezember 1971; Anbieten eines telefonischen Rechtsberatungsdienstes per
Telebusiness durch Anwälte, die dem kantonalen Anwaltsverband angehören.

    Zusammenfassung der im Bereich der Handels- und Gewerbefreiheit
geltenden Regeln (E. 3a). Das Verbot, einen telefonischen
Rechtsberatungsdienst per Telebusiness anzubieten, dessen Missachtung
mit einer disziplinarischen Verwarnung geahndet wird, stellt im Lichte
der ausgesprochenen Sanktion keinen schweren Eingriff in die Handels-
und Gewerbefreiheit des Anwalts dar (E. 3b).

    Rechtliche Grundlage für die Standesregeln der Anwälte: Bestätigung
der Rechtsprechung (E. 4).

    Ist das Anbieten eines telefonischen Rechtsberatungsdienstes per
Telebusiness vereinbar mit dem Erfordernis der beruflichen Würde des
Anwalts? Frage offen gelassen, da jedenfalls die Annahme nicht gegen das
Willkürverbot verstösst, dass eine derartige Arbeitsweise nicht vereinbar
ist mit der im Tessiner Recht umschriebenen Pflicht des Anwalts, seine
Tätigkeit auf gewissenhafte Art auszuüben (E. 5).

    Das Verbot, Rechtsberatung unter Benutzung von Telebusiness anzubieten,
verletzt die Handels- und Gewerbefreiheit des Anwalts nicht (E. 6).

Sachverhalt

    A.-  Gli avv. Simona Lepori e Daniele Borelli hanno fatto pubblicare
su alcuni giornali e periodici ticinesi, nel periodo tra il 17 e il 19
settembre 1997, un'inserzione dal seguente tenore:
                  ANNUNCIANO L'APERTURA DELLO
                   Studio legale e notarile
                       BORELLI & LEPORI
                 VIA DEI GORINI 2, 6900 LUGANO
            TEL. 091 921 06 71 - FAX 091 921 06 79

           AL SEGUENTE NUMERO DI TELEFONO LO STUDIO
                 LEGALE BORELLI & LEPORI OFFRE

                     CONSULENZA GIURIDICA

                          TELEFONICA

    (problemi di divorzio, separazione, questioni ereditarie,

    diritto penale, contratti di lavoro, di appalto, di mandato, di
                    assicurazione, ecc.)
                        TEL. 157 87 87

    Il costo di fr. 4,23 al minuto (servizio Telebusiness)

    è comprensivo delle spese telefoniche, dell'onorario legale

    e IVA, e sarà addebitato direttamente sulla bolletta
                    telefonica dell'utente.

    B.-  Il 19 settembre 1997, il Presidente dell'Ordine degli avvocati
del Cantone Ticino ha informato gli avvocati Simona Lepori e Daniele
Borelli di ritenere incompatibile con le norme che disciplinano la
professione dell'avvocato l'offerta di un servizio di consulenza
giuridica tramite sistema Telebusiness ed ha quindi chiesto loro la
disattivazione di tale linea telefonica. Per le medesime ragioni, il 27
ottobre 1997, la Commissione di disciplina dell'Ordine degli avvocati ha
notificato ai due legali l'apertura nei loro confronti di un procedimento
disciplinare. Preso atto delle osservazioni introdotte dagli interessati,
con decisione 16 dicembre 1997, la suddetta autorità di vigilanza ha
giudicato quest'ultimi colpevoli di aver violato l'art. 7 della legge
ticinese sull'avvocatura, del 15 marzo 1983 (LAvv), nonché gli art. 5, 14 e
18 del codice professionale dell'Ordine degli avvocati del Cantone Ticino,
del 4 dicembre 1971 (CAvv), ed ha inflitto ad entrambi un ammonimento, a
titolo di sanzione disciplinare. I provvedimenti sono stati confermati su
ricorso il 19 febbraio 1998 dalla Camera per l'avvocatura e il notariato
del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.

    C.-  Il 24 marzo 1998, Simona Lepori e Daniele Borelli hanno inoltrato
davanti al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico, con cui
chiedono che quest'ultima decisione cantonale sia annullata. Lamentano
la violazione degli art. 4 e 31 Cost.

    Il Tribunale federale ha respinto il ricorso, per quanto ricevibile.

Auszug aus den Erwägungen:

                       Dai considerandi:

Erwägung 2

    2.- a)  Secondo i giudici cantonali, l'offerta - da parte di
avvocati affiliati all'Ordine - di un servizio di consulenza giuridica
telefonica tramite sistema Telebusiness è incompatibile con i principi
che disciplinano l'esercizio dell'avvocatura nel Cantone Ticino. In
particolare, la Corte cantonale ha ritenuto tale metodo di consulenza
lesivo della dignità professionale dell'avvocato. Inoltre la fatturazione
della prestazione, mediante addebito sulla bolletta telefonica del
cliente dell'importo di fr. 4,23 per ogni minuto di conversazione,
violerebbe la Tariffa dell'Ordine. Da ultimo, il servizio in oggetto non
rispetterebbe il principio secondo cui l'avvocato è tenuto, di massima,
a prestare la propria opera di consulenza ricevendo i clienti in locali
adatti a tale scopo.

    b) I ricorrenti contestano le argomentazioni addotte dalle istanze
cantonali e ravvisano nel giudizio impugnato una violazione della loro
libertà di commercio e d'industria, nonché del divieto d'arbitrio.

Erwägung 3

    3.- a)  La libertà di commercio e d'industria garantita dall'art. 31
Cost. protegge ogni attività economica privata esercitata a titolo
professionale e volta al conseguimento di un guadagno o di un reddito (DTF
123 I 12 consid. 2a). Secondo costante giurisprudenza, l'avvocato fruisce
della tutela dell'art. 31 Cost., alla stessa stregua di chiunque altro
eserciti una professione liberale o sia attivo nell'ambito dell'economia
privata (DTF 123 I 12 consid. 2a e rinvii). La citata norma costituzionale
non impedisce tuttavia ai Cantoni di apportare delle restrizioni di
polizia al diritto di esercitare liberamente un'attività economica al fine
di tutelare l'ordine pubblico, la salute, i buoni costumi e la buona
fede nei rapporti commerciali come pure di prevedere delle limitazioni
fondate su motivi di politica sociale (art. 31 cpv. 2 Cost). Tali
misure devono poggiare su di una base legale, essere giustificate
da un interesse pubblico preponderante e limitarsi, conformemente al
principio di proporzionalità, a quanto necessario per realizzare gli
scopi d'interesse pubblico perseguiti (DTF 123 I 12 consid. 2a; 122 I 130
consid. 3a con rinvii; 111 Ia 101 consid. 4 e rinvii per quanto concerne
più specificatamente la possibilità per i Cantoni d'introdurre delle
prescrizioni che regolamentano l'esercizio dell'avvocatura). Non sono
invece consentite limitazioni basate su ragioni di politica economica,
ossia misure che intervengono nel gioco della libera concorrenza per
favorire certi rami di attività lucrativa e per dirigere l'attività
economica secondo un piano prestabilito (DTF 121 I 129 consid. 3b).

    b) Contrariamente all'opinione dei ricorrenti, nel caso di specie,
non è data una grave limitazione della loro libertà di commercio e di
industria, né dal punto di vista della sanzione pronunciata, alquanto
lieve, né per quanto concerne le conseguenze che la medesima esplica
sulla loro attività professionale. In effetti, il divieto - sottinteso
all'ammonimento - di offrire un servizio di consulenza giuridica tramite
sistema Telebusiness, concerne unicamente un aspetto specifico e, tutto
sommato, marginale della professione che essi svolgono: il provvedimento
non impedisce infatti ai ricorrenti di prestare consulenza legale alla loro
clientela, ma si limita semplicemente a proibire un determinato metodo
con cui fornire questo genere di prestazioni. È dunque unicamente dal
profilo dell'arbitrio che il Tribunale federale esamina se la querelata
restrizione poggia su di una sufficiente base legale. È pure dal punto
di vista dell'arbitrio che esso valuta l'interpretazione e l'applicazione
del diritto cantonale. È per contro con pieno potere cognitivo che questa
Corte esamina se l'interpretazione e l'applicazione non arbitraria del
diritto cantonale sia conforme alla libertà di commercio e di industria
(DTF 122 I 236 consid. 4a; 121 I 117 consid. 3c, 326 consid. 2b con rinvii;
120 Ia 67 consid. 3b; 106 Ia 267 consid. 1 con rinvii).

Erwägung 4

    4.- a)  I ricorrenti censurano in primo luogo la mancanza di una
base legale a fondamento dei provvedimenti adottati nei loro confronti e
ravvisano in ciò una violazione del divieto d'arbitrio (art. 4 Cost.).
Affermano in particolare che l'art. 7 LAvv, a cui fa riferimento la
decisione impugnata, sancisce unicamente un obbligo generale di lealtà
e probità per l'avvocato, senza enunciare alcun divieto di prestare
consulenza telefonica mediante sistema Telebusiness. Contestano inoltre che
le disposizioni del Codice professionale degli avvocati, pure richiamate
nel giudizio impugnato, costituiscono una base legale sufficiente a
limitare la loro libertà professionale. Nel caso specifico, la censura che
i ricorrenti deducono dal divieto d'arbitrio, di cui all'art. 4 Cost.,
non ha portata propria rispetto all'esigenza di una base legale di cui
all'art. 31 Cost. e va quindi esaminata in tale ambito.

    b)  Giusta l'art. 7 cpv. 1 LAvv, "l'avvocato è tenuto ad esercitare
la professione in modo coscienzioso ed a dimostrarsi degno della
considerazione che questa esige, tanto nell'esercizio delle funzioni
di cui gli è riservato il monopolio, quanto nell'ulteriore sua attività
professionale e in genere nel suo comportamento". Al suo capoverso 2 il
suddetto articolo rinvia poi, tra le altre cose, alle norme deontologiche
adottate dall'Ordine degli avvocati ticinesi per una più precisa
descrizione dei vari obblighi professionali a cui è tenuto l'avvocato. Ora,
il Tribunale federale ha già avuto modo di precisare che non è contrario al
diritto costituzionale federale il fatto di stabilire, a livello di legge,
unicamente i principali doveri professionali dell'avvocato, lasciando
poi ai regolamenti emanati dalle organizzazioni di categoria e alla
giurisprudenza il compito di definire nel dettaglio le singole norme volte
a disciplinarne e limitarne l'attività (DTF 106 Ia 100 consid. 7a). In tal
senso è sufficiente che l'avvocato possa valutare la correttezza o meno del
proprio comportamento facendo riferimento, tra l'altro, alle disposizioni
e alle direttive emanate dall'Ordine professionale a cui è affiliato, alla
prassi in materia disciplinare adottata dall' autorità di sorveglianza o
dallo stesso Tribunale federale, nonché al diritto consuetudinario (DTF
108 Ia 316 consid. 2b/aa concernente il par. 7 della legge sull'avvocatura
del Cantone Zurigo, il cui tenore è del tutto simile a quello dell'art. 7
cpv. 1 LAvv; 98 Ia 596 consid. 1a; RDAT 1997 II n. 10 consid 5b; FELIX
WOLFFERS, Der Rechtsanwalt in der Schweiz, Zurigo 1986, pag. 113 e seg.;
MARTIN STERCHI, Kommentar zum bernischen Fürsprecher-Gesetz, Berna 1992,
ad art. 8 n. 2). Per quanto concerne il caso concreto, la censura sollevata
a questo proposito dai ricorrenti non può essere accolta. I provvedimenti
litigiosi adottati nei confronti di quest'ultimi risultano infatti
sorretti da una sufficiente base legale, essendo essi fondati sia sulla
norma generale dell'art. 7 LAvv, che sulle varie disposizioni del Codice
deontologico degli avvocati ticinesi, richiamate nel giudizio impugnato,
il cui contenuto doveva per forza essere conosciuto ai ricorrenti,
essendo tale regolamento pubblicato nella Raccolta delle leggi vigenti
del Cantone Ticino. Il fatto che nessuna di queste disposizioni preveda
esplicitamente per l'avvocato il divieto di fornire delle consulenze
legali tramite sistema Telebusiness non basta a sovvertire una simile
conclusione e a fare apparire, di conseguenza, carenti di base legale
le sanzioni litigiose. In effetti, l'impossibilità oggettiva di elencare
già nella legge tutti i vari comportamenti professionali suscettibili di
dare luogo ad un provvedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato,
fa sì che, in questo particolare ambito, il principio di legalità, inteso
quale esigenza di una base legale, si riduce sostanzialmente all'obbligo
di prevedere con una certa precisione ed in maniera esaustiva a livello
legislativo le varie sanzioni applicabili nei confronti del trasgressore,
così come stabilito dall'art. 24 LAvv (cfr. sull'argomento DOMINIQUE FAVRE,
Les principes pénaux en droit disciplinaire, in: Mélanges Robert Patry,
Losanna 1988, pag. 331-332 e 334 in fine con rinvii).

Erwägung 5

    5.- a) Come sopra accennato (cfr. consid. 2b), i ricorrenti
contestano che l'offerta al pubblico di un servizio di consulenza
giuridica tramite sistema Telebusiness sia lesiva della dignità
professionale dell'avvocato. Negano inoltre che, nel caso concreto,
tale servizio non rispetti la Tariffa dell'Ordine e che esso violi il
principio secondo cui l'avvocato deve ricevere i clienti e fornire
loro consulenza in locali adatti ad una simile attività. Lamentano,
in sostanza, la scorretta interpretazione e applicazione del diritto
cantonale. Già si è detto in precedenza di come una simile censura debba
essere vagliata sotto l'angolo dell'arbitrio (cfr. consid. 3b). A tale
proposito è utile ricordare che, per prassi costante, l'arbitrio non può
essere ravvisato già nella circostanza che un'altra soluzione, diversa da
quella adottata dall'autorità cantonale, sia immaginabile o addirittura
preferibile. Il Tribunale federale si scosta da quella scelta dalle istanze
cantonali soltanto se la stessa appare manifestamente insostenibile,
in contraddizione palese con la situazione effettiva, se viola in modo
evidente una norma o un principio giuridico incontestato o se contrasta in
modo intollerabile con il sentimento di giustizia e di equità (DTF 122 I
61 consid. 3a, 122 II 130 consid. 2; 121 I 113 consid. 3a e rinvii). Va
poi aggiunto che una decisione non va annullata allorché è arbitraria
nella motivazione, ma solo se lo è nel risultato stesso (DTF 119 II 193
consid. 3e con rinvii).

    b) aa)  L'art. 7 LAvv statuisce il principio generale della "dignità
professionale" dell'avvocato. Di massima, si può affermare che, con questo
termine, viene comunemente intesa l'onorabilità e la credibilità di cui
l'avvocato deve fruire presso le autorità e il pubblico per poter svolgere
in maniera adeguata l'importante ruolo che la legge, la giurisprudenza
e la dottrina gli riconoscono nell'ambito dell'amministrazione della
giustizia e dell'assistenza legale (cfr. DTF 106 Ia 100 consid. 6b;
VEREIN ZÜRCHERISCHER RECHTSANWÄLTE, Handbuch über die Berufspflichten
des Rechtsanwaltes im Kanton Zürich, Zurigo 1988, pag. 3 e segg.; sulla
funzione dell'avvocato si confronti in particolare WOLFFERS, op.cit.,
pag. 37 e seg. con rinvii, nonché GIAN CARLO CRESPI, Cenni e riflessioni
sul diritto professionale degli avvocati per i praticanti in Ticino in:
RDAT 1987, pag. 261 e segg.). In concreto, sussistono per il vero dei
dubbi sul fatto che, secondo quanto rilevato dalle precedenti istanze,
la prestazione di consulenza legale tramite sistema Telebusiness configuri
un'attività contraria alla dignità professionale dell'avvocato, nel senso
sopra esposto del termine. In particolare, non è possibile pervenire ad
una simile conclusione per il solo motivo che il servizio offerto dai
ricorrenti sfrutta un'innovazione tecnica nel campo della telefonia,
esulando in questo modo da quelli tradizionalmente proposti in ambito
legale. Fosse vero il contrario, verrebbe in pratica impedito agli
avvocati di poter ricorrere a dei metodi moderni per gestire la loro
attività. Anche il fatto di corrispondere per telefono con un cliente e
di fatturare immediatamente la prestazione fornitagli mediante addebito
sul suo conto telefonico non appare, di per sé, lesivo dell'onorabilità
dell'avvocato. Né tantomeno è determinante in questo senso l'argomento
sollevato dalle istanze cantonali, secondo cui la violazione del principio
della dignità professionale deriva già dal fatto che un servizio analogo
potrebbe venire offerto anche da persone sprovviste della necessaria
preparazione giuridica, altrimenti, a stretto rigore di logica, tutte le
attività che l'avvocato svolge in concorrenza con altre professioni, al di
fuori del settore di monopolio garantitogli dalla legge, dovrebbero pure
essere considerate indegne dal punto di vista deontologico. Il che non è
ragionevolmente sostenibile. In realtà, specialmente laddove l'attività
dell'avvocato è confrontata con l'impiego di nuovi metodi di lavoro,
la questione di sapere se un certo comportamento professionale sia o
meno compatibile con il principio della dignità professionale dev'essere
esaminata di caso in caso, senza ricorrere a schematismi eccessivi. Per
quanto attiene al caso concreto, il quesito di sapere se il servizio
offerto dai ricorrenti sia rispettoso del suddetto principio può restare
nella presente sede aperto, in quanto indipendentemente da ciò, esso
appare comunque in contrasto con un'altra regola deontologica prevista
dall' ordinamento ticinese, vale a dire con l'obbligo per l'avvocato di
esercitare la professione in modo coscienzioso, sancito, in via generale,
dagli art. 7 LAvv e 3 CAvv e, per i suoi aspetti più specifici, pure
dall'art. 18 CAvv, a cui fa riferimento la decisione impugnata.

    bb) In base a tale principio l'avvocato è tenuto a consigliare
il proprio cliente in modo compiuto e sicuro (MICHAEL PFEIFFER, Der
Rechtsanwalt in der heutigen Gesellschaft in: ZSR 115 (1996) II pag. 303;
DOMINIQUE DREYER, L'avocat dans la société actuelle: de la nécessité
de passer du XIXe au XXIe siècle in: ZSR 115 (1996) II pag. 470; Verein
Zürcherischer Rechtsanwälte, op.cit., pag. 91 e segg.). Il parere giuridico
che egli è chiamato a rendere deve, di principio, essere completo e
tenere conto di tutte le circostanze del caso, a meno che il cliente
voglia essere consigliato unicamente in merito ad un ben determinato
aspetto della questione (DREYER, op.cit., pag. 470). Tuttavia, anche in
quest'ultimo caso, la risposta al cliente deve essere - perlomeno su tale
punto - attendibile, conformemente a quanto ci si può aspettare da una
persona provvista di specifiche conoscenze tecniche in ambito giuridico
(PFEIFFER, op.cit., pag. 302 e seg.). Per poter consigliare correttamente
il proprio mandante, l'avvocato deve innanzitutto conoscere a fondo
i fatti sui quali si fonda il problema che gli è stato sottoposto. Da
questo punto di vista egli dipende in buona misura da quanto gli viene
riferito dal cliente. L'avvocato è tuttavia tenuto ad esaminare con senso
critico la correttezza di queste informazioni: nel limite del possibile,
egli ha il dovere di verificarne la completezza e l'esattezza. Qualora le
medesime risultassero lacunose, insufficienti oppure poco chiare, egli ha
quindi l'obbligo di chiedere dei chiarimenti e, se del caso, di compiere
degli accertamenti (STERCHI, op. cit., ad art. 11 n. 5b; DREYER, op.cit.,
pag. 470). Il che comporta l'effettuazione di sopralluoghi oppure, più
sovente, l'esame di documenti. Per quanto concerne in modo particolare
quest'ultimi, gli stessi si trovano normalmente nelle mani del cliente
o presso autorità. Per poter accedere a talune informazioni utili al
corretto adempimento dell'incarico ricevuto, l'avvocato si trova quindi
spesso nella necessità d'instaurare con il suo mandante una relazione
personale e diretta. L'art. 18 CAvv, che fa obbligo all'avvocato di
prestare opera di consulenza ricevendo la clientela in locali propri,
va pertanto interpretato nel contesto di quanto appena esposto. Tale
disposizione non mira infatti solo a fare sì che il legale conferisca
con il cliente in un luogo dove sia garantita sufficiente tranquillità e
discrezione (cfr. STERCHI, op.cit., Anhang 1 ad art. 29), ma sottintende
anche la necessità di un contatto personale tra mandante e mandatario,
quale premessa iniziale per il corretto adempimento dell'incarico di
consulenza. Eccezioni sono certamente possibili, ma, in quanto tali,
devono restare confinate a casi del tutto particolari. Ora, il metodo di
consulenza proposto dai ricorrenti non tiene sufficientemente conto delle
suddette esigenze. Limitando infatti la relazione tra avvocato e cliente
ad un semplice colloquio telefonico, senza la possibilità di ulteriori
sviluppi, esso non permette al primo di operare tutte le verifiche che,
di norma, si rendono necessarie per poter fornire un parere giuridico
affidabile, che sia dal punto di vista qualitativo all'altezza delle attese
del cliente. Inoltre - come rilevato dalla Commissione di disciplina -
è verosimile che un sistema di consultazione del genere possa indurre
quest'ultimo ad affrettare i tempi della conversazione telefonica per
contenerne il costo, rendendo in questo modo ancora più difficoltose le
verifiche che l'avvocato deve poter compiere per potersi pronunciare
con la dovuta cognizione di causa. Si deve pertanto concludere che il
servizio in parola non offre sufficienti garanzie per ciò che concerne la
completezza e la correttezza delle informazioni che verrebbero rilasciate
ai suoi utenti. Il che non si concilia con le norme deontologiche
sopra menzionate. A questo proposito va comunque ancora precisato che la
consulenza che l'avvocato fornisce per telefono nel contesto di un incarico
già esistente si differenzia sensibilmente dal genere di prestazione
proposto dai ricorrenti, non fosse altro per il fatto che nel primo
caso si è già instaurato un contatto personale con il cliente, per cui i
fatti rilevanti per il parere sono, di massima, già conosciuti. Certo,
possono sussistere casi in cui l'avvocato deve operare, senza aver mai
avuto l'occasione d'incontrare personalmente il suo cliente. Ciò capita
ad esempio allorquando quest'ultimo risiede all'estero. Si deve tuttavia
considerare che in simili situazioni, il legale si pronuncia, in genere,
dopo aver avuto l'occasione e il tempo di esaminare le informazioni e
gli atti che gli sono stati messi a disposizione dal suo mandante.

    c) In linea generale, si può certamente ammettere che, come sostengono
i ricorrenti, esiste per il pubblico la necessità di poter far capo a
dei sistemi di consulenza giuridica rapida, mediante i quali ottenere,
senza alcun appuntamento o altre particolari formalità, delle informazioni
da parte di un legale. Tuttavia, dal punto di vista deontologico, non è
ammissibile che il soddisfacimento di un simile bisogno vada a scapito
dell'affidabilità e della completezza della prestazione fornita. Non
si deve infatti dimenticare che sovente le questioni sulle quali viene
chiesto il parere di un legale concernono problemi di una certa importanza
(non solo patrimoniale) per gli interessati: un eventuale errore da parte
dell'avvocato, dovuto all'impossibilità per quest'ultimo di approfondire
come di dovere il quesito a lui sottoposto, può dunque avere delle gravi
conseguenze per il cliente. Da qui la necessità di assicurare al pubblico
un metodo di consulenza che ponga il legale nella posizione di poter
effettuare le verifiche e gli accertamenti del caso. Altri sistemi sono
d'altra parte già stati concepiti in Svizzera al fine di soddisfare l'
esigenza di ottenere in tempi rapidi delle informazioni su delle questioni
legali. Si pensi, ad esempio, all'istituzione in diversi Cantoni di
consultori giuridici (comunemente indicati in francese quali "permanences
juridiques" o, in tedesco, con il termine di "Rechtsauskunftsdienste"),
presso i quali è possibile consultare un avvocato su delle questioni
poco complesse, senza appuntamento, a basso prezzo (in genere fisso)
o addirittura gratuitamente. Laddove esistono, tali servizi sono stati
in genere istituiti su iniziativa dei vari Ordini di categoria. Nulla
impedisce comunque al singolo avvocato di allestire privatamente un
servizio analogo offrendo, ad esempio, durante determinate fasce orarie
della giornata e senza appuntamento, consulenza a chiunque desideri
ottenere in breve tempo informazioni su problemi giuridici di semplice
risoluzione. In tal modo il contatto personale e il dialogo tra cliente
e avvocato si instaurano in maniera certamente più adeguata di quanto
avverrebbe attraverso il sistema di consultazione telefonica proposto
dai ricorrenti.

    d) Stante tutto quanto precede, si deve dunque concludere che, per
ciò che concerne i combinati art. 7 LAvv e 18 CAvv, l'interpretazione del
diritto cantonale operata dalla precedente istanza giudiziaria non appare,
nel suo complesso, arbitraria.

Erwägung 6

    6.- Resta da esaminare (liberamente) se la citata interpretazione e
applicazione del diritto cantonale sia rispettosa o meno della libertà
di commercio e d'industria di cui all'art. 31 Cost., per quanto concerne,
segnatamente, l'interesse pubblico e il principio di proporzionalità.

    a) In primo luogo va detto che è dato un interesse pubblico
preponderante affinché i pareri forniti dagli avvocati poggino su delle
basi attendibili. In caso contrario la clientela verrebbe esposta in
maniera eccessiva al rischio di ottenere dei consigli errati. Rischio che,
oltre una certa misura, non può essere tollerato, potendosi oggettivamente
confidare nel fatto che il parere giuridico reso da uno specialista
del settore, soggetto alla vigilanza disciplinare dello Stato - quale è
l'avvocato - sia il più possibile attendibile.

    I ricorrenti sollevano tuttavia nel loro gravame un problema piuttosto
delicato, allorquando affermano che nel campo della consulenza legale gli
avvocati sono esposti alla concorrenza di persone assai meno qualificate
dal punto di vista professionale, le quali, non essendo soggette a
sorveglianza da parte dell'ente pubblico o di un particolare ordine di
categoria, non incontrerebbero alcun ostacolo a praticare un'attività
consultiva tramite Telebusiness. Secondo gli insorgenti, è paradossale
vietare agli avvocati, che sono pur sempre degli specialisti in materia
giuridica, l'esercizio di un simile metodo di consulenza e permettere
invece che il medesimo possa essere offerto da persone meno preparate
dal punto di vista professionale. In verità la contraddizione denunciata
dagli insorgenti non è che apparente nel senso che, proprio perché
abilitati dallo Stato a svolgere una simile professione e soggetti a
sorveglianza anche nel campo della consulenza, gli avvocati fruiscono
presso il pubblico di una credibilità che non è propria di eventuali
loro concorrenti "laici" e che quindi, nel limite del possibile, non va
disattesa. La questione della concorrenza da parte di persone che operano a
livello professionale in settori non soggetti al monopolio degli avvocati,
senza essere sottoposti alle medesime limitazioni che toccano quest'ultimi,
rappresenta comunque un problema che non deve essere sottovalutato. Se del
caso talune regole professionali dovranno essere modificate al fine di
garantire una certa competitività agli avvocati. Ciò detto, va comunque
rilevato che, nel caso concreto, simili considerazioni non permettono
ancora di prescindere dalla rigorosa applicazione dei principi deontologici
sopra citati, sussistendo sufficienti ragioni per ritenere inammissibile
l'offerta di un sistema di consulenza, che - per le sue caratteristiche -
non sarebbe in grado di soddisfare in maniera appropriata le attese in
esso riposte dal pubblico.

    b) Dal punto di vista del principio della proporzionalità, la decisione
litigiosa non dà adito a critiche. Per quanto concerne la sanzione inflitta
ai ricorrenti, essa è la più lieve prevista dall'ordinamento cantonale
(art. 24 LAvv) e non appare eccessiva per rispetto alla trasgressione
loro rimproverata. Per ciò che invece attiene al divieto a far uso di un
sistema di consulenza tramite sistema Telebusiness, che ne deriva, non si
vede oggettivamente come potrebbero essere ovviati i rischi insiti nell'uso
di un simile metodo attraverso l'adozione di misure meno incisive. Sarebbe,
ad esempio, assai problematico, nonché professionalmente poco serio,
obbligare gli avvocati che offrono consulenza tramite detto sistema
a rendere attenti gli utenti del servizio sul fatto che le risposte
loro fornite mediante Telebusiness costituiscono dei semplici pareri
preliminari, senza alcuna garanzia quanto alla loro correttezza.

    c) Stante tutto quanto precede, la decisione impugnata non risulta
essere lesiva dell'art. 31 Cost. Per il che non si rende necessario
esaminare se le censure sollevate dai ricorrenti in merito alla presunta
disattenzione delle norme relative all'obbligo di rispettare la Tariffa
dell'Ordine siano fondate o meno, non potendo comunque le medesime
influire sull'esito della presente procedura. Ne consegue che il ricorso
dev'essere respinto.