Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 120 IB 224



120 Ib 224

33. Estratto della sentenza 14 giugno 1994 della I Corte di diritto
pubblico nella causa Patriziato di Cagiallo c. Comune di Tesserete e
Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
Regeste

    Art. 99 lit. c OG; Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen
die Festlegung von Plänen betreffend Grundwasserschutzzonen (Art. 30 und
31 aGschG, Art. 20 und 21 nGSchG).

    Zu den Entscheiden über Einsprachen gegen Enteignungen im
Sinne von Art. 99 lit. c OG gehören auch die Verfügungen über
Pläne, die eine materielle Enteignung bewirken können. Gegen die
Festlegung von Plänen betreffend Grundwasserschutzzonen ist daher
die Verwaltungsgerichtsbeschwerde zulässig und nicht mehr die
Verwaltungsbeschwerde an den Bundesrat (E. 1 und 2; Änderung der
Rechtsprechung).

    Die streitigen öffentlichrechtlichen Eigentumsbeschränkungen in bezug
auf die Düngung und die Benutzung der Verkehrswege sind mit Art. 22ter
BV vereinbar (E. 3 und 4).

Sachverhalt

    A.- Il 29 agosto 1990 il Consiglio comunale di Tesserete ha allestito
il piano delle zone di protezione delle captazioni d'acqua potabile nonché
il regolamento generale per le zone di protezione delle sorgenti. Ciò sulla
base degli art. 34 segg. della legge d'applicazione del 2 aprile 1975 della
legge federale contro l'inquinamento delle acque dell'8 ottobre 1971, che
impongono agli enti pubblici proprietari delle prese di acqua sotterranea
site nei settori S di allestire tali piani. Questo piano, approvato poi
dall'allora Dipartimento cantonale dell'ambiente, concerne le captazioni
d'acqua potabile di cui il Comune di Tesserete dispone sul territorio dei
Comuni di Cagiallo, Lopagno, Sala Capriasca e Vaglio. Il piano attribuisce,
in particolare, alle zone S II e S III una superficie di 1,18 ettari della
particella n. 650 RFD del Comune di Cagiallo e, alla zona S III, 10,69
ettari della particella n. 3 RFD del Comune di Vaglio. Queste particelle,
di proprietà del Patriziato di Cagiallo, fanno parte dell'alpe di Rompiago,
sfruttata dal Patriziato per l'estivazione di bestiame bovino.

    Contro le limitazioni al diritto della proprietà imposte dal citato
piano alle sue particelle, il Patriziato di Cagiallo è insorto dinanzi
al Consiglio di Stato del Cantone Ticino, il quale, il 24 novembre 1992,
ha respinto il gravame ed ha approvato definitivamente il contestato
piano e il relativo regolamento.

    Con un ricorso di diritto pubblico e uno di diritto amministrativo,
fondati sugli art. 6 n. 1 CEDU e 4 Cost., il Patriziato di Cagiallo chiede
al Tribunale federale di annullare la decisione governativa e di riformarla
nel senso che le menzionate particelle siano escluse dal perimetro delle
zone di protezione S II e S III. Il Consiglio di Stato e il Comune di
Tesserete propongono di respingere il ricorso di diritto amministrativo
e, in quanto ammissibile, quello di diritto pubblico. L'Ufficio federale
dell'ambiente, delle foreste e del paesaggio chiede la reiezione del
ricorso di diritto amministrativo.

    Il Tribunale federale ha proceduto a uno scambio di opinioni con il
Consiglio federale giusta l'art. 96 cpv. 2 OG. Dopo aver ricordato che
la competenza nella materia in discussione appartiene, di massima, al
Consiglio federale, esso ha rilevato che il piano litigioso poteva avere
degli effetti espropriativi e che, pertanto, riguardo alla possibilità
di sottoporre il litigio a un tribunale ai sensi dell'art. 6 n. 1 CEDU,
appariva opportuno che la causa fosse trattata dall'istanza giudiziaria. Il
Consiglio federale ha dichiarato di condividere questa opinione.

Auszug aus den Erwägungen:

                      Dai considerandi:

Erwägung 1

    1.- a) La risoluzione impugnata costituisce una decisione ai sensi
dell'art. 5 PA, presa in applicazione degli art. 30 e 31 della previgente
legge federale contro l'inquinamento delle acque dell'8 ottobre 1971
(LCIA; RU 1972 I 1120 segg.). Queste norme corrispondono sostanzialmente
agli art. 20 e 21 della legge federale sulla protezione delle acque del
24 gennaio 1991 (LPAc; RS 814.20), entrata in vigore il 1o novembre 1992,
quindi prima dell'emanazione della decisione impugnata: questa legge è
direttamente applicabile nell'ambito di tutte le procedure pendenti al
momento della sua entrata in vigore (DTF 119 Ib 177, 283 consid. 9g). La
controversia è quindi retta dalla PA e dall'OG (cfr. art. 10 LCIA e art. 67
LPAc). Ora, quand'era in vigore la LCIA, contro le misure adottate dai
cantoni per istituire le zone di protezione delle acque sotterranee ai
sensi dell'art. 30 (art. 20 LPAc) o per delimitare le aree di protezione
delle acque sotterranee giusta l'art. 31 (art. 21 LPAc), il ricorso
di diritto amministrativo era inammissibile conformemente all'art. 99
lett. c OG: la competenza per dirimere tali liti spettava al Consiglio
federale (sentenza inedita del 1o ottobre 1979 apparsa parzialmente in ZBl
81/1980 pag. 90 seg.; decisione del Consiglio federale del 17 dicembre
1984 pubblicata in GAAC 49/1985, n. 34, pag. 191-195).

    b) Nel caso in esame la corporazione di diritto pubblico ricorrente
agisce come proprietario privato e sostiene che le criticate misure
limitano il suo diritto di proprietà. Essa fa valere altresì che il
Consiglio di Stato non è un tribunale ai sensi dell'art. 6 n. 1 CEDU.

    È pacifico che l'invocata garanzia di un tribunale indipendente e
imparziale non è rispettata quando un governo cantonale statuisce, come in
concreto, su un gravame diretto contro una decisione comunale (DTF 119 Ia
95 consid. 5a, 117 Ia 527 consid. 3c, 385/386 consid. 5c e rinvii). Si
tratta quindi d'esaminare se si è in presenza di una contestazione
inerente a "diritti e doveri di carattere civile" giusta l'art. 6 n. 1
CEDU (su questa nozione v. il riepilogo della giurisprudenza in DTF 119
Ia 92 consid. 3b). Nel caso in esame, l'adozione dei contestati piani
potrebbe comportare limitazioni al diritto di proprietà costitutive
di un'espropriazione materiale ai sensi dell'art. 22ter cpv. 3
Cost. Tuttavia, secondo la prassi finora vigente, giusta l'art. 99
lett. c OG, le decisioni concernenti i piani, da cui poteva derivare
soltanto un'espropriazione materiale, non erano impugnabili con ricorso di
diritto amministrativo, ma unicamente con ricorso amministrativo dinanzi al
Consiglio federale. Ora, il Tribunale federale ha recentemente stabilito
che il diritto del proprietario fondiario a una protezione giuridica da
parte di un'autorità giudiziaria che dispone di pieno potere d'esame
dev'essere ammesso anche nell'ambito dell'adozione di piani dai quali
possono derivare espropriazioni o limitazioni della proprietà assimilabili
a un'espropriazione o nel caso di un'espropriazione materiale incombente o
di misure che, nel caso concreto, denotino una natura quasi espropriativa
(v. DTF 119 Ia 94 consid. 4b, 118 Ia 227 consid. 2c con riferimenti
alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, 331, 382
consid. 6b; ROUILLER, La protection juridique en matière d'aménagement
du territoire par la combinaison des art. 6 par. 1 CEDH, 33 LAT et 98a
OJ in Schweizerische Juristenzeitung 90/1994, pag. 23 lett. c aa). Per
questo motivo il Tribunale federale, cambiando la sua giurisprudenza,
ha stabilito che anche le decisioni relative a piani suscettibili di dar
luogo a un'espropriazione materiale vanno annoverate fra le decisioni
emanate su opposizione contro espropriazioni, che esulano dal principio
fissato all'art. 99 lett. c OG; applicando tale disposto non si giustifica
pertanto più di distinguere fra espropriazione formale ed espropriazione
materiale (DTF 120 Ib 138 consid. 1).

    Del resto, riguardo a un caso analogo a quello in esame, anche la
Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che l'istituzione di un
piano comunale sull'utilizzazione dei suoli che priva l'interessato della
libertà di coltivare la sua proprietà a suo piacimento, costringendolo
ad adottare un modo di sfruttamento diverso di certe attività agricole,
può costituire, a determinate condizioni, una contestazione ai sensi
dell'art. 6 n. 1 CEDU (sentenza del 27 novembre 1991 in re Oerlemans,
Publications de la Cour, serie A, Vol. 219, par. 46-48).

    Per questi motivi, e ritenuto che in concreto il ricorrente fa valere
una violazione dell'art. 6 n. 1 CEDU, il Tribunale federale ha proceduto al
citato scambio di opinioni con il Consiglio federale, che si è dichiarato
d'accordo che la presente causa venga trattata dall'istanza giudiziaria.

Erwägung 2

    2.- Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione
la ricevibilità dei ricorsi che gli vengono sottoposti (DTF 119 Ib 243
consid. 1a, 352, 118 Ia 119 consid. 1).

    a) Contro la decisione impugnata il ricorrente ha interposto -
legittimamente con un unico allegato (DTF 114 Ib 217 consid. d, 112 Ib
165) - un ricorso di diritto amministrativo e uno di diritto pubblico. In
concreto, l'ammissibilità del ricorso di diritto amministrativo è data,
come si è visto anche riguardo all'art. 99 lett. c OG, considerato che
oggetto del presente litigio è essenzialmente la criticata applicazione
della LCIA e della LPAc. Pertanto, giusta l'art. 97 OG, in relazione con
l'art. 5 PA, contro la decisione impugnata, fondata o che avrebbe dovuto
fondarsi sul diritto pubblico federale ed emanata da un'istanza inferiore
enumerata all'art. 98 OG, è esperibile tale rimedio. Con ricorso di diritto
amministrativo possono essere deferite infatti al Tribunale federale anche
le decisioni fondate sul diritto cantonale non autonomo di esecuzione del
diritto federale, che sono in un rapporto di connessione sufficientemente
stretto con le questioni relative all'applicazione del diritto federale
e che devono essere esaminate nel quadro di tale rimedio (DTF 118 Ib 237
consid. 1, 389 consid. 1a, 115 Ib 30 consid. 1, 114 Ib 47 consid. 1b).

    Con il ricorso di diritto amministrativo si può far valere la
violazione del diritto federale, compreso l'eccesso o l'abuso del potere di
apprezzamento (art. 104 lett. a OG). Il diritto federale comprende anche i
diritti costituzionali del cittadino, la cui lesione può essere censurata
anche dal Patriziato (DTF 113 Ia 338 consid. 1a). Il Giudice amministrativo
federale può così essere adito con censure relative alla violazione di
questi diritti, che esamina nello stesso modo di quando statuisce, come
Giudice costituzionale, su un ricorso di diritto pubblico. In questo caso
il suo potere d'esame è lo stesso di quello di cui fruisce nell'ambito del
ricorso di diritto pubblico (DTF 118 Ib 132 consid. 1a, 199 consid. 1c, 118
Ia 10 consid. 1c e b). Ne segue che le censure di violazione dei diritti
costituzionali sollevate nel ricorso di diritto pubblico, sussidiario,
sono inammissibili, nella misura in cui possono essere esaminate
nell'ambito di quello di diritto amministrativo (art. 84 cpv. 2 OG;
cfr. DTF 118 Ib 237 consid. 1a). Ciò è il caso per le censure di natura
formale derivanti dall'art. 6 n. 1 CEDU e 4 Cost. (diritto di essere
sentito, motivazione insufficiente della decisione impugnata e mancato
esperimento di un sopralluogo). In effetti, in tale ambito, il Tribunale
federale fruisce di una cognizione tale che, da una parte, è Giudice ai
sensi del diritto convenzionale e, dall'altra, è autorità atta a sanare,
con il suo giudizio, le asserite irregolarità commesse nella sede cantonale
(cfr. DTF 118 Ib 120 seg. consid. 4 e rinvio, 116 Ia 95 consid. 2).

    b) Anche nella sede federale il ricorrente ha chiesto che venga
esperito un sopralluogo. Questa prova non appare tuttavia necessaria ai
fini del giudizio, ragione per cui si giustifica di non dar seguito
a questa richiesta (art. 95 OG). A torto il ricorrente critica
che il richiesto sopralluogo non è stato esperito neppure nella
sede cantonale. Infatti, l'autorità può rinunciare all'assunzione
delle prove richieste il cui presumibile risultato, come in concreto
vista la documentazione agli atti, non porterebbe nuovi chiarimenti
(cd. apprezzamento anticipato delle prove; DTF 117 Ia 268 consid. 4b,
115 Ia 100 consid. 5b, 109 II 398, 102 Ia 202 consid. 2b). Il diritto di
essere sentito del ricorrente non è stato leso nemmeno dalla motivazione
della decisione impugnata, al suo dire insufficiente, poiché il Governo
cantonale si è pronunciato su tutti i punti essenziali per il giudizio
(DTF 117 Ia 3 consid. 3a, 117 Ib 86).

Erwägung 3

    3.- L'art. 20 LPAc ha il tenore seguente:

    "Zone di protezione delle acque sotterranee

    1 I Cantoni delimitano zone di protezione attorno alle captazioni di
   interesse pubblico d'acqua sotterranea e agli impianti d'interesse
   pubblico e d'alimentazione delle falde e stabiliscono le necessarie
   limitazioni del diritto di proprietà.

    2 Il proprietario di una captazione d'acqua sotterranea deve:

    a. eseguire i rilevamenti necessari per delimitare le zone di
   protezione;

    b. acquistare i necessari diritti reali;

    c. sopperire agli indennizzi per le limitazioni del diritto di
   proprietà."

    Questa disposizione, che riprende essenzialmente i termini dell'art. 30
LCIA, è concretata dagli art. 13 e seguenti dell'ordinanza del Consiglio
federale del 28 settembre 1981 contro l'inquinamento delle acque con
liquidi nocivi (Oliq; RS 814.226.21). Le zone S II e S III istituite dal
Comune sono definite all'art. 14 Oliq che prescrive:

    "Zona S

    La zona S comprende:

    a. le zone di protezione attorno alle prese d'acqua sotterranea
e sorgiva
   (art. 30 della legge), cioè la zona di captazione (zona S 1), la zona
   di protezione adiacente (zona S 2) e la zona di protezione distante
   (zona S 3);

    b. omissis."

    Le limitazioni istituite nelle zone S II e S III sono enumerate
all'art. 23 Oliq concernente gli impianti, in particolare i serbatoi,
autorizzati nella zona S.

    L'Ufficio federale dell'ambiente, delle foreste e del paesaggio
(UFAFP) nell'ottobre del 1977 ha pubblicato, all'intenzione delle autorità
cantonali, delle "Direttive per la determinazione dei settori di protezione
delle acque, delle zone ed aree di protezione delle acque sotterranee",
rivedute parzialmente nel 1982. Nelle stesse si precisa che le suddivisioni
delle zone di protezione delle acque sotterranee sono designate tramite
i termini S I, S II e S III e non S 1, S 2 e S 3 come avviene nella nuova
Oliq del 1981. L'emanazione di queste direttive è espressamente prevista
agli art. 29 cpv. 2 LCIA e 5 dell'ordinanza generale sulla protezione
delle acque del 19 giugno 1972 (RS 814.201; cfr. al riguardo DTF 107 Ib
127 consid. 2a e per l'applicazione in generale di direttive DTF 119
Ib 41 consid. 3d, 115 Ib 344 consid. 2b). Nella loro parte quinta le
direttive precisano quali sono le limitazioni dell'utilizzazione a cui,
in virtù della legge, sono assoggettati i fondi attribuiti alle differenti
zone di protezione delle acque, in particolare quelle inerenti ai terreni
agricoli inseriti nelle zone S II e S III; esse specificano altresì le
limitazioni imposte in queste stesse zone alle infrastrutture del traffico.

Erwägung 4

    4.- Le criticate misure pianificatorie costituiscono restrizioni di
diritto pubblico della proprietà; esse sono compatibili con la garanzia
dell'art. 22ter Cost. solo se si fondano su una base legale sufficiente, se
sono giustificate da un interesse pubblico preponderante e se sono conformi
al principio della proporzionalità (DTF 118 Ia 171 consid. 3b e rinvii). Il
ricorrente non sostiene, a ragione, che i criticati provvedimenti si
fondino su una base legale insufficiente e che non siano sorretti da un
interesse pubblico preponderante, ma rimprovera al Consiglio di Stato di
non aver proceduto a una valutazione completa e corretta dei contrapposti
interessi in gioco, sostenendo che le limitazioni imposte all'utilizzazione
dell'alpe sarebbero eccessive. Trattasi di questioni che il Tribunale
federale esamina, di massima, liberamente (cfr. DTF 117 Ia 431 consid. 4a,
113 Ia 448 consid. 4b/ba). Esso s'impone tuttavia un certo riserbo ove
si tratta di valutare situazioni locali meglio conosciute dall'autorità
cantonale (cfr. DTF 117 Ib 117 consid. 4, 115 Ib 135 seg. consid. 3,
352 consid. 3a); tale riserbo è compatibile con l'art. 6 n. 1 CEDU,
che non esige un controllo dell'adeguatezza (DTF 118 Ia 227 consid. 1c,
117 Ia 502 in basso, 115 Ia 191 seg. con riferimenti alla dottrina).

    a) Il ricorrente critica in primo luogo le restrizioni concernenti
la concimazione.

    In virtù dell'art. 2.1.B del regolamento generale per le zone di
protezione delle sorgenti in discussione (regolamento), lo spandimento
di colaticcio è vietato nelle zone S II e S III, ossia su tutto il
territorio di proprietà del ricorrente oggetto del piano litigioso. Lo
spandimento di letame è invece vietato unicamente nella zona S II che
concerne una superficie di soli 1,18 ettari della particella n. 650
RFD di Cagiallo. Nella zona S III questa utilizzazione agricola è
autorizzata quando il suolo non è né saturo d'acqua o coperto di neve,
né gelato. L'impiego di concime commerciale è permesso nella zona S
III e, previo esame del caso particolare, può essere autorizzato in via
eccezionale anche nella zona S II.

    Ora, queste limitazioni appaiono necessarie. Certo, il divieto di
spandere colaticcio in tutte le zone (S I, S II e S III), come pure
quello di spandere letame nelle zone S I e S II nonché, come si è visto,
l'imposizione di condizioni particolari per effettuare tale attività
nella zona S III vanno oltre quanto indicato nelle citate direttive;
riguardo alla concimazione, queste direttive non istituiscono infatti
alcuna distinzione tra l'uso di colaticcio e quello di letame: l'impiego
di entrambi è vietato nella zona S I, è autorizzato a determinate
condizioni nella zona S II ed è consentito senza limitazioni nella
zona S III. Le direttive stesse riservano tuttavia espressamente la
possibilità di adottare limitazioni più severe in tale ambito, segnatamente
riguardo alle condizioni locali, in particolare quelle idrogeologiche,
come rettamente rilevato dall'UFAFP nelle sue osservazioni al presente
gravame. In concreto, solo lo spandimento del colaticcio è vietato in modo
generale nelle due zone istituite su una parte dei terreni del ricorrente.
Nella parte più estesa di queste zone lo spargimento di letame è vietato
soltanto in condizioni invernali o piovose, mentre l'impiego di concime
commerciale può esservi autorizzato in via eccezionale. Del resto, anche se
il divieto totale di spandere colaticcio va oltre quanto prescritto dalle
direttive, che rappresentano comunque valori minimi, non bisogna perdere
di vista la circostanza ch'esse sono state emanate alla fine degli anni
settanta e all'inizio degli anni ottanta, quindi prima del rafforzamento
delle misure di protezione delle acque intervenuto con l'adozione della
LPAc nel 1991. Inoltre, questo provvedimento è giustificato dalla
particolare situazione idrogeologica di questo settore, caratterizzato
dalla rapida infiltrazione delle acque di superficie nel sottosuolo,
costituito da roccia molto fratturata e fessurata, ciò che diminuisce
l'effetto di autodepurazione naturale delle acque e ne aumenta notevolmente
il rischio d'inquinamento. Nel caso in esame non è quindi ravvisabile
alcuna circostanza che permetta di scostarsi da questa opinione espressa
sulla base di un parere di un ingegnere geologo, esperto la cui oggettività
non è stata messa in discussione. Per di più secondo gli accertamenti di
questo esperto e le affermazioni del ricorrente, gran parte dei terreni
interessati dalla criticata misura non sono accessibili ai veicoli che
vengono impiegati a tale scopo, ragione per cui l'area interessata dal
divieto di spandere colaticcio è assai ridotta. Occorre sottolineare infine
che il piano di protezione litigioso, in applicazione del principio della
proporzionalità, non limita affatto l'utilizzazione agricola principale
dei fondi del ricorrente, ossia il libero pascolo del bestiame.

    b) Il ricorrente contesta poi le limitazioni previste all'art. 2.5 del
citato regolamento generale relativo all'utilizzazione delle infrastrutture
del traffico, segnatamente le misure imposte per la protezione delle acque
nelle costruzioni stradali e nell'utilizzazione delle strade forestali;
egli critica in particolare il divieto di spargere sale durante il
periodo invernale e quello di circolare con veicoli che trasportano
liquidi nocivi alle acque. Secondo questo regolamento, l'utilizzazione
delle strade forestali è autorizzata nella zona S III; essa lo è
parimenti nella zona S II a condizione di servire il traffico destinato
all'agricoltura, alla silvicoltura e alla necessità dell'approvvigionamento
d'acqua. Ora, queste misure sono del tutto ragionevoli e rispettano il
principio della proporzionalità, secondo cui esse devono essere idonee a
raggiungere lo scopo d'interesse pubblico perseguito e non devono eccedere
l'indispensabile (DTF 113 Ia 134 consid. 7b). Del resto, mal si comprende
perché il divieto di spargere sale sulle strade d'accesso durante il
periodo invernale comprometterebbe in maniera seria l'utilizzazione di
un'alpe, situata a 1272 m d'altitudine e in una regione molto solatia,
destinata esclusivamente al pascolo di bestiame. Infine, per quanto
concerne le altre criticate misure, è evidente ch'esse non ostacolano
in modo eccessivo questa utilizzazione dei terreni del ricorrente. Per
di più, il piano litigioso tutela le fontane e gli abbeveratoi naturali
esistenti. Il ricorso di diritto amministrativo deve pertanto essere
respinto.