Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 117 IV 369



117 IV 369

65. Estratto della sentenza della Corte di cassazione penale del 9
aprile 1991 nella causa B. c. Procura pubblica sottocenerina, e viceversa
(ricorso per cassazione) Regeste

    1. Art. 6 StGB. Verbrechen oder Vergehen von Schweizern im Ausland.

    Diese Bestimmung ist auch gegenüber einem Täter anwendbar, der das
Schweizer Bürgerrecht nach der Verübung von Verbrechen oder Vergehen
im Ausland erworben hat und wegen seines Schweizer Bürgerrechts nicht
ausgeliefert werden kann (E. 3-7).

    2. Art. 21 StGB. Versuchte Tat. Bestimmung des entscheidenden Schritts,
von dem es in der Regel kein Zurück mehr gibt.

    Fall, in dem der entscheidende Schritt zur Verübung eines Mordes
verneint wird (E. 8-10); Fall, in dem der entscheidende Schritt zur
Verübung eines Raubes bejaht wird, obschon die Tat erst am folgenden Tag
ausgeführt werden sollte (E. 11-12).

    3. Art. 2 Abs. 2 StGB. Anwendung des milderen Rechts durch die letzte
kantonale Instanz.

    Die "lex mitior" muss von einer kantonalen Kassationsinstanz (hier:
des Kantons Tessin) angewendet werden, wenn diese nach ihrer Zuständigkeit
- die ihr gestattet, aufgrund der tatsächlichen Feststellungen der ersten
Instanz, ohne Rückweisung an diese, in der Sache selber zu urteilen, den
angefochtenen Entscheid zu ändern und das Gesetz anzuwenden (Art. 237
StPO/TI) - in diesem Sinne einem Sachrichter gleichgestellt ist. Dazu
genügt, dass sie zur Überprüfung von Bundesrecht befugt ist (E. 13-15a);
es ist unerheblich, ob sie die diesbezüglichen Rügen gutheisst oder abweist
(E. 15b-c). Fall betreffend die Änderung von Art. 112 StGB zwischen dem
Urteil der ersten und dem Entscheid der zweiten Instanz.

    4. Art. 112 StGB. Mord.

    Ob eine Tötung als Mord im Sinne des neuen Art. 112 StGB
zu qualifizieren sei, kann nur aufgrund der direkt mit der Tat
zusammenhängenden Umstände entschieden werden; Prüfung der Umstände des
konkreten Falles (E. 18-19).

    Die "besondere Skrupellosigkeit" gemäss dem Wortlaut des neuen Art. 112
StGB kann auch dann eine Verurteilung wegen Mordes rechtfertigen, wenn sie
nicht durch "eine besondere Verwerflichkeit des Beweggrundes, des Zwecks
der Tat oder der Art der Ausführung" manifestiert wird. Die Aufzählung in
Art. 112 StGB nennt nur Beispiele. Fall, in dem ein Richter getötet wird,
einzig um durch diese Tat zur Destabilisierung des Staates beizutragen
(E. 17-19).

Sachverhalt

    A.- Con sentenza del 6 novembre 1989 la Corte delle assise
criminali del Cantone Ticino sedente a Lugano dichiarava B. colpevole
dell'assassinio del giudice T., commesso a Roma il 10 ottobre 1978, e di
rapina aggravata tentata in due occasioni ai danni della Banca Nazionale
delle Comunicazioni, commessa nel giugno e nel luglio 1979 a Roma, e
lo condannava alla reclusione perpetua. Tale corte lo assolveva invece
dall'accusa di tentato assassinio nella persona di V. e da quella di un
terzo tentativo di rapina ai danni della banca sopra menzionata.

    Adita sia dall'imputato che dalla Procura pubblica sottocenerina,
la Corte di cassazione e di revisione penale del Cantone Ticino (CCRP)
respingeva con sentenza del 6 aprile 1990 il ricorso di B. e accoglieva
parzialmente quello della Procura pubblica. La CCRP dichiarava B. colpevole
anche del terzo tentativo di rapina, avvenuto il 24 settembre 1979 a Roma,
ma riduceva la pena a 17 anni di reclusione in virtù dell'applicazione
del nuovo art. 112 CP, entrato in vigore nel frattempo, ossia il 1o
gennaio 1990.

    B. è insorto con ricorso per cassazione contro la sentenza della CCRP,
chiedendone l'annullamento.

    La Procura pubblica sottocenerina ha anch'essa impugnata la sentenza
della CCRP con ricorso per cassazione, chiedendo che tale decisione
sia annullata e la causa rinviata all'autorità cantonale perché decida
di nuovo e condanni il resistente per assassinio, tentato assassinio e
ripetuta tentata rapina alla pena della reclusione perpetua, confermando
le imputazioni contenute nell'atto di accusa del 29 maggio 1989.

    La Corte di cassazione ha respinto il ricorso di B. e quello della
Procura pubblica nella misura in cui era ammissibile.

Auszug aus den Erwägungen:

                   Considerando in diritto:

Erwägung 3

    3.- a) B., allora L., cittadino italiano, era stato condannato il
31 maggio 1990 a 16 anni di reclusione e a 500'000 lire di multa dalla
Corte delle assise d'appello di Roma per reati da lui commessi a Roma,
e il 14 marzo 1985 all'ergastolo nel processo cd. Moro 1bis.

    Il 19 giugno 1986 L., figlio di madre svizzera, otteneva la
cittadinanza svizzera mediante la procedura della naturalizzazione
agevolata e il 28 gennaio 1987 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino
lo autorizzava a cambiare il suo cognome in quello della madre, B.

    b) Ricercato a lungo in base a ordini di arresto internazionali in
cui figurava sotto il cognome di L., B. era infine arrestato l'8 giugno
1988 a Lugano e posto in carcerazione preventiva.

    Il 14 giugno 1988 l'Ambasciata d'Italia a Berna chiedeva al
Dipartimento federale di giustizia e polizia l'incarcerazione provvisoria
del B. in vista d'estradizione. Il 14 luglio 1988 le autorità italiane
chiedevano che fosse data esecuzione in Svizzera, conformemente all'art. 94
cpv. 1 lett. c AIMP, alle due menzionate sentenze italiane passate in
giudicato.

    Il 22 luglio 1988 l'Ufficio federale di polizia respingeva la domanda
italiana di esecuzione in Svizzera, ritenendo che l'AIMP non fosse
applicabile, trattandosi di reati commessi prima della sua entrata in
vigore. Secondo tale ufficio, la Svizzera era peraltro tenuta ad avviare
un procedimento penale nei confronti di B., in virtù dell'art. 6 n. 2 della
Convenzione europea di estradizione (CEEstr RS 0.353.1) e della Convenzione
europea per la repressione del terrorismo (CETerr RS 0.353.3). Il 21 luglio
1988 l'Ufficio federale di polizia aveva invitato la Procura pubblica
sottocenerina ad avviare nei confronti di B. un procedimento penale;
esso esprimeva in tale occasione l'avviso che fosse data la giurisdizione
svizzera benché la CETerr e l'art. 6bis CP fossero entrati in vigore
solo dopo la commissione dei reati; riteneva che il procedimento potesse
d'altronde fondarsi eventualmente sull'art. 6 CP.

Erwägung 4

    4.- Poiché la giurisdizione svizzera, affermata nelle sentenze
cantonali di prima e seconda istanza ma contestata da B., costituisce un
elemento essenziale, la cui esistenza va rilevata d'ufficio, ai fini del
presente giudizio, occorre esaminare preliminarmente tale aspetto.

    a) La CCRP ha ritenuto che nulla osti all'applicazione dell'art. 6 CP,
ma che tale questione poteva rimanere indecisa, poiché erano comunque
applicabili l'art. 6bis CP e la CETerr, anche se le loro disposizioni
erano entrate in vigore solo successivamente alla commissione dei reati
di cui trattasi.

    B. ritiene che l'art. 6 CP non gli sia applicabile, non essendo egli
all'epoca della commissione dei reati cittadino svizzero; esclude altresì
l'applicazione degli art. 6bis CP e della CETerr a cui nega efficacia
retroattiva.

    b) Secondo l'art. 7 della CETerr, entrata in vigore per la Svizzera
il 20 agosto 1983, uno Stato contraente, nel cui territorio venga scoperta
una persona sospettata di avere commesso un reato di cui all'art. 1 della
Convenzione e che abbia ricevuto una richiesta di estradizione, ai sensi
delle condizioni previste all'art. 6 paragrafo 1, deve - ove non estradi
tale persona -, sottoporre il caso, senza alcuna eccezione e senza indebiti
indugi, alle proprie autorità competenti perché avviino il procedimento
penale; dette autorità sono tenute ad adottare le loro decisioni nello
stesso modo che si trattasse di un qualsiasi reato di natura grave ai sensi
della legislazione di tale Stato. Soprattutto in considerazione di questa
Convenzione, la Svizzera ha introdotto nel codice penale l'art. 6bis, in
vigore dal 1o luglio 1983. In virtù di tale nuova norma, il codice penale
svizzero si applica, sempreché l'atto sia punibile anche nel luogo in cui
è stato compiuto, a chiunque commetta in territorio estero un crimine o
un delitto che la Confederazione si è impegnata a reprimere in virtù di
un accordo internazionale, se l'imputato si trova nella Svizzera e non
è estradato all'estero (art. 6bis n. 1 prima proposizione CP).

    Nel procedimento penale svizzero sono stati imputati a B. reati
commessi in Italia nel 1978 e nel 1979. La giurisdizione svizzera può
quindi fondarsi sulle disposizioni sopra citate soltanto se esse siano
applicabili retroattivamente.

    c) Richiamandosi a opinioni espresse in dottrina, B. sostiene che la
CETerr non può essere applicata retroattivamente.

    La CETerr non contiene alcuna clausola concernente una sua eventuale
retroattività, dalla quale risulti se e in che misura detta Convenzione
sia applicabile a reati commessi prima della sua entrata in vigore e
che costituiscano l'oggetto di procedimenti penali ancora pendenti o
di condanne passate in giudicato. La Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati, conclusa il 23 maggio 1969 ed entrata in vigore per
la Svizzera il 6 giugno 1990 (RS 0.111), stabilisce all'art. 28 il
principio della irretroattività dei trattati. Secondo ROBERT LINKE
("Das Europäische Übereinkommen zur Bekämpfung des Terrorismus", in
Österreichische Juristen-Zeitung, 1977, pag. 238), la Convenzione di
Vienna non può peraltro essere richiamata in relazione alle norme di
cui trattasi della CETerr poiché "accordi in materia di estradizione
soggiacciono, per la loro natura e i loro fini, ad un meccanismo diverso,
non considerato dalla Convenzione di Vienna; essi, conformemente a una
prassi del diritto internazionale, possiedono, in caso di dubbio, effetto
retroattivo" (trad.). Tale dottrina auspica nondimeno la retroattività
solo in materia di estradizione, mentre la esclude per quanto concerne una
regolamentazione della giurisdizione, dato che quest'ultima, e quindi la
punibilità, non possono essere fondate su di una retroattività (LINKE,
op.cit. loc.cit.; G. DAETWYLER, Der Terrorismus und das internationale
Strafrecht, tesi Zurigo 1981, pag. 323/324).

    La questione della rilevanza da attribuire al proposito alla
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e, più generalmente,
quella della retroattività della CETerr, possono nondimeno rimanere
indecise. Infatti, con la CETerr non sono state introdotte norme di
diritto penale sostanziale (DAETWYLER, op.cit., pag. 4). Gli Stati
contraenti si sono soltanto impegnati ad emanare norme di diritto interno
che consentano, a determinate condizioni, di punire, per quanto concerne
gli atti terroristici, anche quelli commessi all'estero. Con gli art. 6
e 7 della CETerr non è stata quindi introdotta una giurisdizione penale
svizzera in tale materia, bensì è stato soltanto creato l'obbligo per la
Svizzera di adottare le corrispondenti disposizioni nazionali, quali norme
del cd. diritto penale di applicazione internazionale (cfr. al proposito,
come pure in generale sulla nozione di diritto penale internazionale,
D. OEHLER, Internationales Strafrecht, pag. 1 segg.). Tale obbligo
è stato adempiuto dalla Svizzera con l'inserzione nel codice penale
dell'art. 6bis. Trattasi quindi di esaminare se questo articolo abbia o
no effetto retroattivo. Solo in caso affermativo occorrerebbe esaminare
se sia data una retroattività della CETerr quale presupposto necessario
per l'applicazione dell'art. 6bis CP.

    d) Le condizioni di applicazione nel tempo del codice penale
sono regolate, in linea di principio, nell'art. 401 cpv. 1 CP: le sue
disposizioni originarie e quelle introdotte successivamente mediante
revisioni parziali sono applicabili con la loro entrata in vigore; per le
disposizioni introdotte successivamente rimane la riserva di un'eventuale
disciplina speciale della loro entrata in vigore; una siffatta disciplina
non è stata stabilita in occasione dell'introduzione dell'art. 6bis
CP. L'art. 2 cpv. 1 CP prevede, quale deroga a questo principio,
l'applicazione del codice penale solo nei confronti di chi commetta un
crimine o un delitto dopo la sua entrata in vigore; non sarebbe infatti
solo iniquo, ma violerebbe altresì il principio "nullum crimen sine lege"
contenuto nell'art. 1 CP (HAUSER/REHBERG, Strafrecht I pag. 42), giudicare
su crimini o delitti secondo una legge non ancora in vigore al momento
della loro commissione. L'art. 2 cpv. 1 CP intende tuttavia stabilire
soltanto quando non sia consentito risolvere in base al nuovo diritto
se e come l'agente debba essere punito; esso non dice invece quando
non siano applicabili disposizioni da cui non dipenda la punibilità o
la misura della pena. La regolamentazione posta dall'art. 2 cpv. 1 CP
non si estende a norme di procedura (DTF 114 IV 4, 69 IV 138 consid. 3,
68 IV 39 e 62; TRECHSEL, Kurzkommentar zum StGB n. 1 e 3 ad art. 2).

    e) Secondo la giurisprudenza sopra menzionata, le disposizioni
sulla determinazione del foro contenute negli art. 346 segg. CP sono
da applicare anche in casi che sostanzialmente soggiacciono al diritto
previgente. Queste disposizioni sulla competenza per materia e soprattutto
per territorio prevedono quali autorità sono competenti in Svizzera a
giudicare reati punibili secondo il codice penale. Esse hanno per oggetto
la procedura, per cui il divieto dell'irretroattività non vale per esse
(DTF 109 IV 158 e richiami, 68 IV 60, 70 IV 88 consid. 2).

    Gli art. 3-7 CP disciplinano invece l'ambito di applicazione
del codice penale sotto l'aspetto territoriale, ossia stabiliscono a
quali condizioni un reato sia punibile in Svizzera. Essi delimitano la
giurisdizione svizzera in materia penale - lo jus puniendi - per quanto
concerne lo spazio (DTF 108 IV 146 consid. 2 e richiami; HAUSER/REHBERG,
op.cit., pag. 44). Contrariamente a quanto sembra ritenere la CCRP
(sentenza impugnata, pag. 13), non si tratta soltanto di stabilire,
nel senso di una determinazione del foro, chi sia competente a giudicare
il caso, se sia la Svizzera o l'Italia. Nel quadro internazionale non
esiste un ente o un complesso di norme posto al di sopra degli Stati che
determina quando un atto sia punibile e dove debba essere perseguito e
giudicato. Ciò sarebbe il caso soltanto ove fosse stato creato un vero
e proprio diritto penale internazionale, il che non è tuttavia avvenuto
nell'ambito della repressione del terrorismo (cfr. supra lett. b in fine,
nonché DTF 76 IV 210). La Svizzera - come d'altronde gli altri Stati -
stabilisce autonomamente i limiti della propria giurisdizione penale; essa
lo ha fatto con gli art. 3-7 CP, e in particolare anche con l'art. 6bis
CP. Poiché si tratta della questione se B. possa essere punito in Svizzera,
il divieto dell'irretroattività posto dall'art. 2 cpv. 1 CP rimane,
diversamente da quanto ha ritenuto la CCRP, applicabile.

    f) Nella decisione impugnata l'ammissibilità d'un effetto retroattivo
dell'art. 6bis CP viene giustificata anche con l'argomento secondo cui
il divieto dell'irretroattività non vige nell'ambito dell'assistenza
internazionale in materia penale, salvo eccezioni espressamente riservate.

    Tale modo di vedere, nella sua formulazione generale e in quanto
riferito in particolare alla procedura penale sostitutiva, non può
essere condiviso. Secondo l'art. 110 cpv. 1 AIMP, i procedimenti
di estradizione pendenti al momento dell'entrata in vigore dell'AIMP
sono ultimati secondo le disposizioni procedurali della legge federale
del 22 gennaio 1892 sull'estradizione agli Stati stranieri (LEstr). Il
perseguimento penale e l'esecuzione penale giusta le parti quarta - in
cui è disciplinato il perseguimento penale in via sostitutiva - e quinta
possono essere assunti soltanto se il reato a cui si riferisce la domanda
sia stato commesso dopo l'entrata in vigore dell'AIMP. Risulta da queste
due disposizioni che non è stabilito un divieto d'irretroattività per
ciò che concerne la procedura di estradizione, bensì precisamente per la
punizione in Svizzera dell'interessato mediante il perseguimento penale
in via sostitutiva. Tale disciplina corrisponde in misura essenziale
alla prassi vigente nel diritto internazionale (cfr. supra lett. b).
L'art. 6bis CP regola una specie di perseguimento penale in via sostitutiva
(v. al proposito HAUSER/REHBERG, op.cit., pag. 47), alla quale non si
applica tuttavia l'art. 85 cpv. 1 e 2 AIMP, come emerge dal cpv. 3 di
quest'ultimo articolo (cfr. DTF 116 IV 250 consid. 3d in fine). Pur non
essendo per detto motivo applicabile nella fattispecie l'art. 110 AIMP va
quindi negato che nell'ambito dell'assistenza penale internazionale viga in
modo generale il principio della retroattività, come sostenuto dalla CCRP.

    g) Ne discende che non è compatibile con il divieto
dell'irretroattività, quale posto dall'art. 2 cpv. 1 CP, applicare
retroattivamente l'art. 6bis CP e ammettere, di conseguenza, conformemente
a quanto fatto dalla CCRP, la giurisdizione svizzera per i reati imputati
a B. in base a quest'ultima disposizione.

    Per ragioni di completezza giova rilevare che, se è vero che gli atti
di cui trattasi commessi da B. in Italia, erano, al momento della loro
commissione, punibili, la loro punibilità in Svizzera, in quanto fondata
sull'art. 6bis CP, sarebbe potuta sopravvenire solo successivamente. La
punibilità secondo il diritto italiano, ossia secondo il diritto dello
Stato in cui tali atti sono stati commessi, costituisce uno dei presupposti
per l'applicazione dell'art. 6bis CP, ma non è sufficiente a dar luogo,
da sola, alla giurisdizione svizzera. Come già menzionato, non sussiste
un vero e proprio diritto penale internazionale vincolante al proposito
per la Svizzera, che dichiari autonomamente gli atti di cui trattasi
punibili già al momento della loro commissione.

Erwägung 5

    5.- Poiché, come sopra illustrato, l'AIMP, in ragione del suo art. 110
cpv. 2, non è applicabile retroattivamente nell'ambito del perseguimento
penale in via sostitutiva, e non può pertanto entrare in considerazione
per il caso di B., ci si deve chiedere se ci si possa fondare sulla
già citata legge federale del 22 gennaio 1892 sull'estradizione
agli Stati stranieri (LEstr), in vigore al momento in cui sono stati
commessi i reati di cui trattasi. L'art. 2 cpv. 2 LEstr consentiva,
a certe condizioni, un perseguimento penale in via sostitutiva in
Svizzera nei confronti di un cittadino svizzero, non estradibile perché
tale. SCHULTZ (Das schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 59 seg.) era
d'avviso che ove l'agente fosse divenuto cittadino svizzero dopo la
commissione degli atti punibili, i reati da lui commessi all'estero
prima della sua naturalizzazione non soggiacessero all'art. 6 CP e che
un'estradizione fosse esclusa in base all'art. 2 cpv. 1 LEstr; per tali
casi eccezionali l'art. 2 cpv. 2 LEstr permetteva, quale diritto penale
sostitutivo, una giurisdizione svizzera per i reati commessi all'estero
dal cittadino svizzero prima della sua naturalizzazione. L'art. 2 cpv. 2
LEstr subordinava la punibilità di un reato in Svizzera, tra l'altro,
all'esistenza di una domanda di estradizione e all'assicurazione da parte
dello Stato richiedente che esso non avrebbe processato una seconda volta
l'agente sul suo territorio per lo stesso fatto, e che la sentenza di
condanna che vi fosse stata pronunciata nei suoi confronti non sarebbe
stata eseguita, salvo che l'agente non avesse scontato la pena inflittagli
in Svizzera.

    a) Non può dirsi che nulla osta a un'applicazione retroattiva
dell'art. 6bis CP per il motivo che già prima della sua entrata in vigore
era consentito perseguire penalmente in Svizzera B. per i reati da lui
commessi in Italia e che tale perseguimento penale in Svizzera sarebbe
stato per B. addirittura più favorevole di quello possibile in base
all'art. 6bis CP in ragione delle assicurazioni (di non procedere una
seconda volta contro B. e di non fargli scontare la pena inflittagli in
Italia) che l'Italia avrebbe dovuto fornire, assicurazioni non presupposte
dall'art. 6bis CP. Poiché tali assicurazioni non sono state date - le
autorità italiane non hanno presentato una domanda formale di estradizione
né hanno fornito le assicurazioni richieste dall'art. 2 cpv. 2 LEstr - la
giurisdizione svizzera non potrebbe essere dedotta da tale disposizione,
anche se fosse in ipotesi applicabile al caso concreto.

    b) Per una ragione analoga non può essere fatto capo all'art. 6
n. 2 della Convenzione europea di estradizione, il quale prevede
che, se la Parte richiesta non procede all'estradizione di un suo
cittadino, essa dovrà, su domanda della Parte richiedente, sottoporre
il caso alle autorità competenti affinché, ove occorra, possano essere
esercitati perseguimenti giudiziari. Manca infatti nel caso concreto
la domanda della Parte richiedente presupposta da tale disposizione:
le autorità italiane non hanno chiesto il perseguimento penale in via
sostitutiva, bensì l'esecuzione in Svizzera delle sentenze italiane
passate in giudicato. Equiparare le due domande non appare possibile né
giustificato. Le autorità italiane hanno invano espresso chiaramente
il loro intendimento di far scontare - in Svizzera o in Italia - le
sentenze passate in giudicato da loro pronunciate nei confronti di chi
era, al momento di detti giudizi, esclusivamente cittadino italiano. Esse
non hanno mai ripiegato, per motivi che non compete a questo Tribunale
di sindacare, sulla soluzione di richiedere, in via subordinata, il
perseguimento penale in via sostitutiva in Svizzera. Un'applicazione
diretta dell'art. 6 n. 2 CEstr, ossia prescindendo dal requisito formale
della domanda di perseguimento penale in via sostitutiva, non appare
possibile né opportuno. Essa comporterebbe, senza che ragioni imperative
lo giustifichino (v. infra la soluzione fondata sull'art. 6 CP), una
forzatura di una disposizione convenzionale inserita in un sistema in
cui è stato a suo tempo raggiunto un non agevole equilibrio tra esigenze
contrastanti e in cui le condizioni formali (quali un'univoca domanda
dello Stato richiedente) acquistano una particolare rilevanza; questa è
tanto maggiore, ove si consideri che ogni Stato europeo ha la possibilità
di regolare autonomamente, in base al suo diritto interno, le situazioni
non previste e non codificate dal diritto convenzionale. Il fatto che il
legislatore abbia ratificato disposizioni convenzionali che subordinano
a determinate condizioni la disciplina di una certa situazione non può,
quanto meno in linea di principio, significare che esso abbia inteso
dar forza di legge a detta disciplina anche quando queste condizioni,
dipendenti dalla volontà di un altro Stato, non siano adempiute. Tale modo
di vedere risulta suffragato dal fatto che, nella materia di cui trattasi
(estradizione e assistenza internazionale in materia penale in generale),
le domande di uno Stato richiedente non hanno solo una rilevanza formale,
ma possono essere (come verosimilmente nella fattispecie) l'espressione
di una precisa scelta giuridica, sorretta da motivi inerenti al proprio
ordinamento (nel caso concreto può essere compreso che, per ragioni di
principio, l'Italia non intendesse rinunziare alla propria giurisdizione,
da essa considerata come esclusiva trattandosi di reati commessi in
Italia da un cittadino allora esclusivamente italiano). La necessità,
da un canto, di rispettare integralmente le pattuizioni internazionali
e quella, dall'altro, di distinguere chiaramente, per ragioni dettate
dall'esigenza della certezza del diritto e in particolare del rispetto
della chiara volontà del legislatore, tra normativa internazionale e
diritto interno autonomo, impediscono nel caso concreto di fondare la
giurisdizione svizzera sull'art. 6 n. 2 CEstr.

    c) L'art. 6 CP prevaleva sull'art. 2 cpv. 2 LEstr (SCHULTZ, op.cit.,
pag. 53 segg.), nella stessa guisa in cui prevale sull'art. 6bis CP
(TRECHSEL, op.cit., n. 2 ad art. 6bis) e sulle disposizioni dell'AIMP
in materia di perseguimento penale sostitutivo da parte della Svizzera
e di esecuzione di decisioni penali estere (art. 85 cpv. 3 e art. 94
cpv. 3 AIMP). Va quindi esaminato se la giurisdizione penale svizzera
nei confronti di B. non risulti dall'art. 6 CP.

Erwägung 6

    6.- a) È da convenire che la dottrina, nella misura in cui si è
espressa su tale questione, è d'avviso che l'art. 6 CP sia applicabile
soltanto se l'agente era cittadino svizzero al momento in cui ha commesso
il reato. Gli autori che si esprimono in questo senso si astengono
peraltro dal motivare la loro opinione (THORMANN/VON OVERBECK, n. 5
ad art. 6 CP; HAFTER, vol. I, pag. 61; LOGOZ/SANDOZ, pag. 49; SCHULTZ,
op.cit., pag. 52, e Einführung in den Allgemeinen Teil des Strafrechts,
pag. 109). Il Tribunale penale di Basilea ha deciso nello stesso senso
(Basler Juristische Mitteilungen 1964, pag. 243). Il Tribunale federale
non ha avuto occasione di occuparsi sin qui di tale questione, né sono
note altre sentenze cantonali al proposito.

    b) In base al cd. principio della personalità attiva o della
nazionalità è soggetto alle norme del codice penale, in virtù dell'art. 6
CP, anche il cittadino svizzero che abbia commesso un reato all'estero. A
sostegno di tale principio sono addotti vari motivi.

    È stato ribadito in passato che con questo principio si è
inteso vincolare il cittadino di uno Stato alla sua patria, nel
senso di obbligarlo a rispettare leggi della patria anche all'estero,
indipendentemente dall'ordinamento colà vigente. In questa forma assoluta,
ispirata a un'importanza determinante attribuita al sentimento nazionale,
il principio della personalità attiva era in vigore in Germania fino
al 1975. Attualmente esso viene considerato come un'esasperazione della
concezione del diritto penale centrata sullo statuto personale (OEHLER,
op.cit., pag. 444).

    Secondo la dottrina svizzera dominante, il principio della personalità
attiva considerato sotto l'aspetto della procedura penale sostitutiva,
è volto ad impedire che la fuga in Svizzera dell'agente gli procuri
l'impunità (STRATENWERTH, Allg. Teil, § 5 n. 12 e richiami; TRECHSEL,
Kurzkommentar, n. 1 ad art. 6 CP). In DTF 79 IV 50 si è considerato che
la punibilità in Svizzera sostituisce e corregge il divieto di estradare
un cittadino svizzero. Se SCHULTZ (Strafrecht, Allg. Teil, pag. 109),
nel fondarsi su DTF 76 IV 209, è d'avviso che l'art. 6 CP non costituisce
soltanto diritto penale sostitutivo, ma che crea, indipendentemente da
una domanda dello Stato estero, una vera e propria sovranità in materia
penale, tale diversa opinione è dovuta a una diversa nozione di procedura
penale in via sostitutiva.

    Secondo SCHULTZ (op.cit., pag. 105), il perseguimento penale in via
penale sostitutiva presuppone che lo Stato in cui è stato commesso il reato
lo chieda espressamente. In DTF 76 IV 209 è stato deciso che l'art. 6 CP
non è applicabile soltanto se lo Stato in cui il reato è stato commesso
chieda alla Svizzera di perseguire a giudicare l'agente. Non ne può
tuttavia essere dedotto che tale disposizione non comporta una procedura
penale sostitutiva, dato che detta procedura, quale intesa generalmente,
non implica una richiesta da parte dello Stato estero di perseguimento
penale (OEHLER, op.cit., pag. 145; HAUSER/REHBERG, op.cit., pag. 47).

    La nozione di procedura penale sostitutiva non è peraltro chiara sotto
il profilo tecnico. Così, ad es., OEHLER (op.cit., pag. 507) considera
i casi in cui un cittadino non è estradato allo Stato in cui il reato è
stato commesso come una sottocategoria del principio della personalità
attiva. Anche HAUSER/REHBERG (op.cit., pag. 45/46) ritengono che l'art. 6
CP costituisca la realizzazione di tale principio; la Svizzera assoggetta i
propri cittadini al proprio diritto penale per reati commessi all'estero;
secondo questi autori - la cui opinione diverge al proposito da quella
espressa nella precedente edizione della loro opera -, l'applicazione
del principio della personalità attiva o di quello della nazionalità è
giustificata dal fatto che, ai sensi dell'art. 7 cpv. 1 AIMP, un cittadino
svizzero non può essere estradato senza il suo consenso scritto. D'altronde
lo stesso SCHULTZ ha espresso nella sua opera citata sull'estradizione
secondo il diritto svizzero (pag. 51 segg.) l'avviso che l'art. 6
CP collega due diverse possibilità, ma non ne realizza alcuna in modo
conseguente; detta disposizione crea infatti per la Svizzera un obbligo
autonomo di punire, secondo il principio della personalità attiva, e
contiene il diritto penale sostitutivo la cui applicazione interviene
in virtù della mancata estradizione dovuta alla cittadinanza svizzera
dell'agente.

    c) Risulta da quanto precede che la disciplina posta dall'art. 6 CP
non dà forma concreta a uno dei principi elaborati dalla dottrina e da
quest'ultima non sempre delimitati in modo univoco (cfr. al riguardo,
OEHLER, op.cit., pag. 443 segg. e pag. 497 segg.). In tale articolo
sono ravvisabili tanto elementi del principio della personalità
attiva, quanto elementi della procedura penale sostitutiva. Secondo
l'opinione oggi dominante, l'estensione della giurisdizione svizzera ai
reati commessi all'estero da cittadini svizzeri non si fonda in misura
prevalente sull'assoggettamento di questi ultimi al diritto penale svizzero
(tale era ancora l'opinione di SCHULTZ in Auslieferungsrecht, pag. 53),
quanto invece sulla necessità che la Svizzera non divenga ricettacolo di
delinquenti per il fatto che non estrada i propri cittadini; ciò appare
giustificato sia perché non è compatibile con il senso della giustizia
lasciare impuniti delinquenti solo perché non possono essere estradati,
sia perché il principio della solidarietà con gli altri Stati impone
di non costringere lo Stato in cui è stato commesso il reato a vedere
impunito l'agente che esso non sia in grado di perseguire penalmente in
modo diretto.

    Tenuto conto di questo senso e scopo dell'art. 6 CP, può ammettersi
che le condizioni della sua applicazione sono adempiute, quando l'agente
era cittadino svizzero al momento della commissione del reato oppure lo
era al momento del suo arresto a fini di estradizione e del perseguimento
penale in Svizzera. Tale è anche disciplina vigente ad es. in Francia e in
Germania. In Francia, una norma corrispondente all'art. 6 del codice penale
svizzero è stata modificata nel senso di renderla applicabile anche in
caso di acquisto della cittadinanza francese dopo la commissione del reato
(cfr. al proposito, SCHULTZ, Auslieferungsrecht, pag. 52 n. 92; trattasi
dell'art. 689 cpv. 3 del codice di procedura penale francese). L'analoga
disposizione del diritto germanico (§ 7 cpv. 2 n. 1 del codice penale
germanico) concerne espressamente l'agente germanico al momento della
commissione del reato o che lo è divenuto dopo di essa ("oder es nach
der Tat geworden ist").

    Dall'espressione "ogni svizzero che commette in territorio estero
un crimine o un delitto ..." non deriva necessariamente che l'agente
debba essere stato cittadino svizzero al momento della commissione
del reato. È da convenire che tale interpretazione possa apparire di
prim'acchito come la più ovvia. Nell'interpretazione di una norma di
legge non occorre tuttavia fondarsi esclusivamente sul testo letterale,
bensì anche sulla sua genesi, sul suo senso e scopo e sulla relazione
in cui si trova con le altre disposizioni di legge (DTF 114 IV 64 e
richiami). Come sopra illustrato, accanto al principio secondo cui
i cittadini svizzeri devono attenersi anche all'estero alle norme di
diritto penale della loro patria, vige altresì, ed è oggi predominante,
il principio che esclude l'impunità di coloro che, dopo aver commesso un
reato all'estero, non possono essere estradati, in virtù dell'art. 7 cpv. 1
AIMP, perché cittadini svizzeri. L'art. 6 CP è quindi applicabile anche
se l'agente abbia acquistato la cittadinanza svizzera dopo la commissione
del reato; la menzionata disposizione dell'AIMP non può avere il senso
di lasciare impunito il cittadino divenuto svizzero tra la commissione
del reato all'estero e il perseguimento penale in Svizzera, solo perché è
esclusa l'estradizione. A tale conclusione non osta il principio "nullum
crimen sine lege certa" (art. 1 CP), applicabile per l'interpretazione
delle norme penali (DTF 95 IV 73 consid. 3a); non trattasi d'altronde di
un'interpretazione contraria al senso letterale del testo di legge, caso
nel quale si giustificherebbe un maggior rigore. Né l'ammettere in queste
ipotesi la giurisdizione svizzera suole comportare un peggioramento della
situazione dell'interessato, il quale non avrebbe altrimenti chiesto
la naturalizzazione svizzera; ciò appare evidente nella fattispecie
concreta. L'interessato può del resto sottrarsi ad un perseguimento penale
per lui sfavorevole in Svizzera consentendo alla sua estradizione (art. 7
cpv. 1 AIMP); né, d'altra parte, egli deve rispondere in Svizzera di un
atto non punibile all'estero o punito più rigorosamente che all'estero,
dato che i reati imputatigli nel procedimento penale svizzero debbono
essere punibili anche all'estero e che si applica il principio della
"lex mitior" (art. 6 n. 1 CP).

Erwägung 7

    7.- La CCRP ha, per le ragioni di cui sopra, ammesso a ragione
la giurisdizione svizzera ai sensi dell'art. 6 CP per i reati commessi
all'estero da B. e imputatigli nel procedimento penale svizzero, pur avendo
egli acquistato la cittadinanza svizzera solo dopo la commissione di tali
reati. Le ulteriori condizioni poste dall'art. 6 CP sono pacificamente
adempiute (DTF 104 IV 87 consid. 7c). Il ricorso di B. risulta pertanto
infondato su questo punto.

Erwägung 8

    8.- La CCRP ha confermato l'assoluzione di B.  dall'imputazione di
tentato omicidio del magistrato V. Essa ha rilevato che il gruppo
di brigatisti a cui apparteneva B. aveva la dichiarata intenzione
di uccidere il giudice V. e disponeva altresì dei mezzi necessari per
farlo. B. ha eseguito con C. sopralluoghi nel quartiere romano Don Bosco
per individuare l'abitazione del giudice e cercare di conoscerne gli
orari e le abitudini. Se V. non fosse stato trasferito ad altro ufficio,
meno interessante per le Brigate Rosse, egli sarebbe stato probabilmente
ucciso. I ruoli operativi non erano tuttavia ancora stati distribuiti;
l'unico elemento certo è che C. era stato contrattato da P. e da G. e
richiesto di fungere da autista. Nulla si conosceva invece circa gli altri
partecipanti e il loro ruolo. Neppure le altre modalità dell'operazione
erano state precisate, né riguardo alla dinamica, né riguardo al momento
e neppure rispetto a chi avrebbe materialmente sparato. La CCRP ha
considerato che in queste circostanze non poteva ritenersi che B. già
avesse iniziato l'esecuzione di quell'assassinio; l'operazione non era
ancora scattata e ci si trovava in presenza di tipici atti preparatori.

Erwägung 9

    9.- Quanto la Procura pubblica adduce per sostenere la tesi del
tentativo di assassinio non basta per ammetterla.

    Come già osservato dalle Corti cantonali, non è sufficiente che gli
agenti fossero determinati a dare esecuzione a quanto erano in procinto
di preparare. Ai sensi dell'art. 21 cpv. 1 CP, si è in presenza di un
reato tentato ove l'agente abbia cominciato l'esecuzione di un crimine o
di un delitto. Fa parte di questo stadio qualsiasi attività che, secondo il
piano ideato dall'agente, costituisce l'ultimo passo decisivo sulla strada
verso la realizzazione del reato, sul quale di regola più non si ritorna,
salvo che circostanze esterne ostacolino o impediscano la continuazione
dell'esecuzione (DTF 114 IV 114 consid. 2c e richiami). La Procura pubblica
non è in grado d'indicare - né ciò risulta dagli atti - quale attività i
brigatisti, con la partecipazione di B., avessero cominciato ad eseguire,
in cui, secondo il loro piano criminoso, fosse ravvisabile l'ultimo
passo decisivo. Poiché, come accertato nella sentenza impugnata in modo
vincolante per il Tribunale federale, non erano ancora stati determinati
né il momento del progettato crimine né i ruoli operativi, non può nella
fattispecie parlarsi di un inizio di esecuzione, tenuto conto che nel
caso concreto si trattava di un crimine che doveva aver luogo in base
ad un piano preciso. L'intenzione di commettere un reato non basta,
dato che tale intenzione, tranne che in relazione con atti preparatori
di determinati reati ai sensi dell'art. 260bis CP, non è di per sé
punibile. Ciò vale anche nel caso di una pluralità di agenti, associatisi
per commettere reati, dato che il diritto penale svizzero non conosce in
linea di principio la fattispecie legale dell'associazione per delinquere.

Erwägung 10

    10.- Escludendo il tentativo di assassinio del giudice V. la CCRP
non ha di conseguenza violato il diritto federale. Poiché gli atti
preparatori litigiosi sono stati commessi prima dell'entrata in vigore
dell'art. 260bis CP, non poteva entrare in considerazione una condanna
per atti preparatori punibili ai sensi di tale disposizione, ciò che è
stato a ragione ribadito dalle Corti cantonali.

Erwägung 11

    11.- a) A differenza di quanto concerneva il caso del progettato
assassinio del magistrato V., la CCRP ha ritenuto che, in occasione del
terzo progetto di rapina a danno della Banca Nazionale delle Comunicazioni,
del 24 settembre 1979, il piano criminoso già fosse stato compiutamente
studiato, i sopralluoghi eseguiti, i ruoli distribuiti; i lasciapassare
per accedere al luogo della rapina erano pronti, le armi assegnate e
il momento della rapina già fissato per il giorno successivo. La CCRP
ha considerato che la stessa rapina era già stata tentata due volte in
precedenza, il 25 giugno e il 25 luglio 1979, che il trasporto della valuta
per i salari oggetto della progettata rapina aveva luogo il 25 del mese,
che il 24 settembre dovevano essere sostituite le targhe di due veicoli
in precedenza rubati e depositati nei dintorni della banca, che gli autori
si erano trovati tutti armati in Piazzale delle Province e poi separati in
due gruppi di quattro persone, di cui l'uno (con B.) si recava verso Corso
Trieste, ove era parcheggiata una Fiat 132, e l'altro in zona San Giovanni,
dove si trovava un'Alfa Romeo Giulia; che il secondo gruppo veniva sorpreso
da una pattuglia di polizia e che ne scaturiva un conflitto a fuoco nel
quale G. veniva gravemente ferito. La CCRP ne ha dedotto che gli autori
non avrebbero interrotto la propria attività senza un intervento esterno,
e che essi avevano iniziato atti di esecuzione della rapina progettata in
vicinanza di tempo e di luogo rispetto alla progettata commissione del
reato. Circostanze obiettive e soggettive suffragavano tale conclusione
(v. sentenza impugnata, pag. 121/122).

    b) B. eccepisce che la CCRP ha violato l'art. 21 cpv. 1 CP per aver
ammesso un tentativo, dato che la rapina vera e propria doveva essere
commessa solo il giorno successivo.

Erwägung 12

    12.- La censura di B. è infondata. A differenza di quanto accertato
nel caso concernente il progettato assassinio del magistrato V., esisteva
qui un vero e proprio piano operativo e parti essenziali dello stesso
erano già state realizzate. Così, ad es., i veicoli destinati alla fuga
già erano stati predisposti ed erano stati iniziati gli atti diretti alla
sostituzione delle targhe; i partecipanti erano stati scelti e le armi,
altrimenti depositate presso D., erano già state distribuite; era stato
altresì determinato esattamente il momento dell'esecuzione della rapina
vera e propria, che poteva aver luogo solo in quel preciso giorno del mese
a causa della periodicità del trasporto di denaro oggetto della progettata
rapina. In tali circostanze la CCRP non ha violato il diritto federale
ravvisando negli atti eseguiti dagli autori, e ai quali B. ha preso parte,
il passo decisivo sulla strada della realizzazione del reato, dal quale non
vi è di regola più ritorno (DTF 114 IV 114 consid. 2c). Neppure lo stesso
B. sostiene che gli autori non intendessero commettere la rapina. A ragione
la CCRP ha evocato l'estrema determinazione del gruppo, che pochi mesi
prima, con la partecipazione di B., aveva eseguito l'assassinio del giudice
T. Pure a ragione la CCRP ha sottolineato che la stessa rapina era stata
tentata due volte in precedenza, con le stesse modalità e dallo stesso
gruppo. Essa ha addotto correttamente tali circostanze soggettive per
illustrare come agli autori, e pertanto anche a B., non facesse difetto la
determinazione di portare a termine l'esecuzione già iniziata della rapina.

    La censura ricorsuale sollevata su questo punto da B. va quindi
disattesa.

Erwägung 13

    13.- La Corte delle assise criminali aveva applicato nella propria
sentenza del 6 novembre 1989 il testo dell'art. 112 CP allora vigente.
Poiché il nuovo testo di tale disposizione è entrato in vigore il 1o
gennaio 1990, la CCRP ha applicato questo testo quale disposizione
più favorevole all'imputato, ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CP. Essa
ha rilevato al proposito che il ricorso per cassazione del diritto
cantonale ticinese non è un mero rimedio cassatorio e ammette una limitata
competenza di merito; il potere d'esame della CCRP eccede quello della
Corte di cassazione penale del Tribunale federale; ove siano adempiute
le condizioni stabilite dall'art. 237 CPP/TI, è consentito alla CCRP un
giudizio di merito; inoltre, il ricorso per cassazione cantonale ha per
legge (art. 242 cpv. 1 CPP/TI) effetto sospensivo (v. sentenza impugnata,
pag. 101 segg., in particolare, pag. 104 e 111).

    La Procura pubblica è d'avviso che su questo punto la CCRP abbia
violato il diritto federale.

Erwägung 14

    14.- Nella misura in cui la Procura pubblica adduce che la CCRP
ha violato la procedura penale ticinese per quanto concerne la natura
giuridica e la funzione del ricorso per cassazione cantonale, le sue
censure sono in questa sede inammissibili, dato che il ricorso per
cassazione al Tribunale federale può essere fondato solo sulla violazione
del diritto federale (art. 269 cpv. 1 PP).

Erwägung 15

    15.- Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, la Corte di
cassazione penale del Tribunale federale non può applicare una nuova
disposizione di legge più favorevole all'imputato ove la decisione
dell'autorità cantonale sia stata pronunciata in applicazione del diritto
previgente. Per decisione dell'autorità cantonale va intesa la decisione
del giudice di merito determinante per l'applicazione della legge nel
tempo, ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CP (DTF 101 IV 361 consid. 1; 76 IV
259). Ove un'autorità cantonale di seconda istanza non sia più giudice di
merito, ma disponga soltanto del potere d'esame che compete alla Corte di
cassazione penale del Tribunale federale adito con ricorso per cassazione
federale, essa si trova, per quanto concerne l'applicazione dell'art. 2
cpv. 2 CP, nella stessa situazione di detta corte del Tribunale federale
(DTF 97 IV 235 consid. 2b). La Corte di cassazione penale del Tribunale
federale non è giudice di merito, perché le incombe esclusivamente di
esaminare se l'autorità cantonale abbia applicato correttamente ai fatti
da essa accertati il diritto federale allora vigente. In armonia con
questa disciplina, il ricorso per cassazione al Tribunale federale non ha
per legge effetto sospensivo. La decisione cantonale rimane esecutiva,
anche quando sia stato proposto ricorso per cassazione al Tribunale
federale, salvo che la Corte di cassazione penale del Tribunale federale
o il suo presidente ne sospenda l'esecuzione (art. 272 cpv. 7 PP).
Un'esecuzione consentita in base a quanto sopra non può divenire in
seguito ingiustificata per essere vigente al momento in cui si decida sul
ricorso per cassazione proposto dinanzi al Tribunale federale un diritto
diverso da quello in vigore al momento della decisione del giudice di
merito. La situazione giuridica è su questo punto analoga a quella che
si ha per la prescrizione dell'azione penale, che cessa di correre con
la pronuncia della decisione cantonale (DTF 115 Ia 325; 111 IV 90 seg.;
76 IV 261 consid. 2).

    Se TRECHSEL (Kurzkommentar zum StGB, art. 2 n. 7) rileva che in DTF
97 I 924 consid. 2 il Tribunale federale ha risolto in modo diverso la
questione sopra menzionata, va precisato che in quella decisione non
si trattava di un ricorso per cassazione in materia penale, bensì di un
ricorso di diritto amministrativo proposto al Tribunale federale contro
una decisione del Consiglio di Stato in materia di esecuzione delle
pene. In sede di giudizio su di un ricorso di diritto amministrativo,
compete al Tribunale federale un potere d'esame più ampio ed esso può
giudicare direttamente sul merito (art. 114 cpv. 2 OG).

    a) Poiché per la questione se debba essere applicato il nuovo diritto
ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CP vale per le autorità cantonali di ricorso
lo stesso principio applicabile per la Corte di cassazione penale del
Tribunale federale, occorre esaminare se il ricorso per cassazione regolato
dalla procedura penale ticinese corrisponda nei suoi aspetti determinanti
al ricorso per cassazione al Tribunale federale.

    La CCRP è pervenuta alla conclusione che ciò non è il caso; il suo
parere è vincolante per il Tribunale federale adito con ricorso per
cassazione. A differenza del Tribunale federale, essa, quando, adita
con ricorso per cassazione cantonale, annulla la decisione impugnata per
violazione della legge nella sua applicazione ai fatti posti a base di
tale decisione, giudica nel merito, senza rinvio, riformando la decisione
impugnata (art. 237 CPP/TI). Inoltre, sempre a differenza del ricorso
per cassazione dinanzi al Tribunale federale, il ricorso per cassazione
cantonale ha per legge effetto sospensivo (art. 242 cpv. 1 CPP/TI).

    b) Nell'applicare in tali condizioni, quale legge più favorevole
all'imputato, il nuovo art. 112 CP, la CCRP non ha quindi leso il diritto
federale. Contrariamente a quanto da essa ritenuto, non è peraltro
determinante al riguardo se il ricorso per cassazione cantonale debba o
no essere accolto in un suo punto.

    Per stabilire se sia o non sia da applicare la legge più favorevole
per l'imputato non è rilevante se il ricorso proposto abbia o non
abbia successo, né se la sentenza di prima istanza sia effettivamente
modificata. Determinante è solo la circostanza che le censure sollevate
nel ricorso abbiano indotto l'autorità di ricorso a riesaminare, ormai
alla luce delle nuove disposizioni di legge (più favorevoli all'imputato),
questioni di diritto inerenti alla sentenza di prima istanza. Ove ciò sia
il caso, è irrilevante la sorte del ricorso; se infatti il ricorso dovesse
essere disatteso secondo il diritto previgente, il diritto più favorevole
all'imputato non potrebbe esplicare i suoi effetti, contrariamente al
senso della norma che ne regola l'applicazione. È sufficiente che
la questione di diritto alla quale si applica il nuovo diritto più
favorevole all'imputato debba essere esaminata in sede di giudizio su
ricorso e che, ove il rimedio giuridico vada accolto, la sentenza di
prima istanza possa, secondo la procedura cantonale, non solo essere
annullata con il rinvio della causa per nuovo giudizio all'autorità di
prima istanza, bensì essere modificata dall'istanza di ricorso in modo da
sostituirsi a quella di merito pronunciata in primo grado. In altre parole,
è determinante se il rimedio giuridico cantonale abbia o no carattere
riformatore (cfr. HAUSER, Strafprozessrecht, pag. 269). Ove si tratti di
un rimedio giuridico con carattere riformatore - in tal caso suole avere
per legge effetto sospensivo -, nella decisione dell'autorità di ricorso
va ravvisata comunque - ossia anche se disattenda il ricorso - una nuova
decisione di merito. L'autorità di ricorso dev'essere considerata allora
come giudice di merito, tenuto ad applicare, secondo l'art. 2 cpv. 2 CP,
l'eventuale nuovo diritto più favorevole all'imputato.

    Nella fattispecie, B. s'era doluto dinanzi alla CCRP che la qualifica
d'assassinio data all'omicidio litigioso era lesiva delle relative norme
del codice penale. Applicando il nuovo testo dell'art. 112 CP quale legge
più favorevole all'imputato, la CCRP non ha quindi violato il diritto
federale, dato che, in base alla natura del ricorso per cassazione del
diritto cantonale, essa aveva, su questo punto, la competenza del giudice
di merito.

    c) A quanto sopra non si oppone il principio procedurale del diritto
ticinese che consente alla CCRP di pronunciare un nuovo giudizio di
merito solo in base ai fatti accertati nella sentenza di prima istanza
(art. 237 CPP/TI), e che le attribuisce, in materia di riesame dei fatti,
solo un potere d'esame ristretto, di guisa che, in quanto ritenga fondate
le censure riguardanti gli accertamenti fatuali, essa può soltanto
rinviare la causa al giudice di prima istanza (art. 237 a contrario,
e art. 236 CPP/TI). In quest'ultimo caso, il giudice di merito a cui la
causa è rinviata è tenuto ad esaminare se nuove disposizioni di legge
entrate in vigore nel frattempo non siano più favorevoli per l'imputato
(DTF 97 IV 235 consid. 2c). Se il ricorso per cassazione cantonale ha per
oggetto soltanto questioni di procedura e di fatto e sia disatteso, la
sentenza di merito di prima istanza rimane ferma. La legge più favorevole
all'imputato non trova allora applicazione, poiché le censure ricorsuali
non concernevano questioni di diritto sostanziale, con la conseguenza
che l'applicabilità del nuovo diritto neppure entrava in considerazione.

Erwägung 16

    16.- La CCRP ha qualificato come assassinio anche in applicazione
del nuovo testo dell'art. 112 CP l'uccisione del giudice T., commessa da
B. come coreo. In ciò B. ravvisa una violazione del diritto federale. Egli
adduce, in sostanza, che la nuova disposizione di legge impone di
prendere in considerazione esclusivamente le circostanze direttamente
connesse con il reato commesso. La CCRP s'è, a suo avviso, a torto
rifiutata di espungere dalla sua valutazione le circostanze seguenti:
la disponibilità a concorrere all'uccisione di qualsiasi persona in quel
momento interessante per l'organizzazione delle Brigate Rosse; l'inserirsi
del reato in una catena di molteplici azioni delittuose delle Brigate
Rosse; la partecipazione alla "riunione di verifica", che ha avuto luogo
dopo la consumazione del reato, e non è servita a prepararne altri;
l'atteggiamento processuale dell'imputato. B. sostiene che la CCRP ha
altresì violato l'art. 112 CP nel rilevare che, anche espungendo le
menzionate circostanze, il suo agire doveva essere considerato come
particolarmente privo di scrupoli. Secondo B., il movente, lo scopo
e le modalità di esecuzione dell'uccisione di cui trattasi non erano
particolarmente riprovevoli.

Erwägung 17

    17.- L'uccisione volontaria di una persona costituisce secondo il nuovo
art. 112 CP assassinio, "se il colpevole ha agito con particolare mancanza
di scrupoli, segnatamente con movente, scopo o modalità particolarmente
perversi". Tale nozione di assassinio, proposta dalla commissione peritale,
era stata trasfusa immutata dal Consiglio federale nel proprio messaggio
(FF 1985 II 913). Nelle deliberazioni parlamentari la nuova disposizione
non ha dato luogo a discussione. Nel testo francese l'espressione
"hautement répréhensible", usata in relazione con il movente, lo scopo
e le modalità, fu sostituito con "odieux" (Boll.Uff. CS 1987, pag. 368).

    Secondo il testo previgente dell'art. 112 CP, era dato l'assassinio,
se il colpevole aveva ucciso in circostanze o con una premeditazione
che rivelassero in lui una particolare pericolosità o perversità. Per la
giurisprudenza, rilevanti per decidere sulla pericolosità o perversità
erano non solo le circostanze direttamente connesse con il reato commesso,
bensì anche le circostanze e il comportamento prima e dopo la commissione,
nella misura in cui fossero suscettibili di fornire indicazioni sulla
personalità dell'agente, la sua attitudine e la sua mentalità all'epoca
della commissione del reato (DTF 115 IV 13 consid. 1b, 106 IV 344 e 104 IV
151). La definizione della fattispecie legale dell'assassinio, come pure
la sua interpretazione e applicazione da parte del Tribunale federale,
erano state criticate e ritenute incompatibili con il principio della
colpa (v. STRATENWERTH, Schw. Strafrecht, BT I, § 1 n. 14/15 e n. 22;
NOLL, Strafrecht, BT I, pag. 17; SCHUBARTH, n. 12 ad art. 112; in senso
contrario, WALDER, Vorsätzliche Tötung, Mord und Totschlag, in RPS 96/1979,
pag. 175). Il nuovo testo dell'art. 112 CP era destinato a por rimedio
a queste manchevolezze.

    Poiché il criterio della pericolosità del colpevole non è, ai fini
della definizione dell'assassinio, compatibile di per sé con il principio
della colpa, ma solo quale conseguenza di una particolare perversità, è
divenuto superfluo menzionarlo espressamente tra gli elementi costitutivi
del reato. La nuova versione si riferisce dunque solo alla particolare
perversità dell'autore, ma utilizza un'altra terminologia. Essa contempla
infatti un agire "con particolare mancanza di scrupoli", realizzato
segnatamente quando il movente, lo scopo o il modo d'agire dell'autore sia
particolarmente perverso. Questa enumerazione non esauriente evita che
il giudice debba fondarsi esclusivamente su di una clausola generale (la
particolare mancanza di scrupoli), la cui interpretazione e delimitazione
potrebbero creare nuove difficoltà. L'enumerazione introdotta ribadisce
inoltre, a differenza della disciplina previgente, che le circostanze
rilevanti per determinare se gli elementi costitutivi dell'assassinio siano
adempiuti sono solo le circostanze dell'atto, quelle cioè direttamente
connesse con la sua commissione. Questa soluzione è l'unica compatibile
con il principio della colpa su cui si fonda il codice penale svizzero. Il
tipo d'assassino a cui si riferisce il nuovo art. 112 è esclusivamente
quello descritto dallo psichiatra HANS BINDER (Der juristische und der
psychiatrische Massstab bei der Beurteilung der Tötungsdelikte, in RPS
67/1952, pag. 313/314, 324): una persona senza scrupoli, che agisce a
sangue freddo, di un egoismo primitivo e crasso, priva di sentimenti
sociali, che non tiene dunque in nessun conto la vita altrui pur di
realizzare il proprio interesse (Messaggio, FF 1985 II 912/913; rapporto
della commissione peritale, pag. 3/4; cfr. anche STRATENWERTH, BT I e II,
Teilrevisionen 1987 bis 1990, § 1 n. 15; REHBERG, Strafrecht III, pag. 19).

Erwägung 18

    18.- La CCRP ha considerato nella sentenza impugnata che delle quattro
circostanze ritenute da B. irrilevanti ai fini della qualificazione del
reato, solo l'ultima, ossia l'atteggiamento processuale dell'imputato,
era priva di rilevanza per tale qualifica; di essa era stato tuttavia
tenuto conto solo nella commisurazione della pena. La CCRP ha rilevato che
B. procede da una nozione troppo stretta della "commissione del reato"
e dei fatti che con essa sono in diretto rapporto; con essa verrebbe a
mancare ogni aggancio per valutare lo scopo e il movente del reato, solo
le modalità d'esecuzione rimanendo presenti. Il fatto che l'uccisione
del giudice T. si inserisca in una catena di altri attentati perpetrati
dalla stessa organizzazione delle Brigate Rosse nello stesso anno, pur
senza la fattiva collaborazione di B., contribuisce invero, secondo la
CCRP, ad apprezzare meglio il movente e lo scopo delle Brigate Rosse,
aspetti che hanno trovato la loro espressione nel reato da giudicare
e dei quali B. era a conoscenza. Lo stesso vale, ad avviso della CCRP,
per i preparativi fatti in vista dell'uccisione del giudice V. Qualche
perplessità poteva sollevare, a mente della CCRP, la considerazione della
"riunione di verifica", tenutasi il giorno successivo all'assassinio. Anche
al riguardo non poteva tuttavia essere negata la stretta connessione col
reato, dato che tale riunione faceva parte di un piano prestabilito ed
era indicativa per la freddezza e la determinazione con la quale era stato
portato a termine. Pur espungendo tale circostanza, la particolare mancanza
di scrupoli doveva essere ammessa in base alla minuziosa preparazione
dell'uccisione, alla freddezza e alla determinazione con la quale questa è
stata eseguita, al concorso di cinque persone ben organizzate e armate fino
ai denti. Ad avviso della CCRP, le modalità di questa esecuzione capitale
di una vittima sacrificale e innocente caratterizzavano l'efferatezza
dall'atto: il giudice T. era stato messo a morte come un capro espiatorio,
passando sopra senza scrupolo ai contenuti umani della persona, tant'è
che la vittima sarebbe anche potuta essere un altro magistrato.

Erwägung 19

    19.- B. eccepisce a torto che le circostanze litigiose siano state
prese in considerazione in modo inammissibile ai fini della qualificazione
del reato. Per quanto concerne l'atteggiamento processuale di B., che, come
affermato dalla CCRP, non contraddetta su questo punto dall'interessato,
è stato valutato solo per la commisurazione della pena, la censura è
comunque priva di pertinenza. Le altre circostanze, tranne in parte la
cd. "riunione di verifica", sono senza alcun dubbio direttamente connesse
con l'assassinio.

    a) Una connessione diretta con l'assassinio va ammessa per le
circostanze vere e proprie del reato e i moventi che hanno indotto
gli autori ad agire (v. Messaggio cit., loc.cit.; STRATENWERTH,
Teilrevisionen, loc.cit.). Appartiene a tali elementi il fatto che
l'assassinio di cui trattasi s'inserisce in una serie di crimini commessi
dalle stesse Brigate Rosse nello stesso anno, ossia che esso è stato
commesso per gli stessi motivi a cui erano dovuti tali crimini, tra cui
il rapimento e l'assassinio dell'ex presidente del Consiglio Moro. Gli
autori dell'assassinio di T., tra i quali è pacificamente da includere B.,
intendevano, alla stessa stregua degli altri brigatisti nell'esecuzione dei
loro attentati, destabilizzare con atti di terrorismo le strutture dello
Stato di diritto italiano, fondato sulla democrazia, allo scopo dichiarato
di pervenire così ad un migliore ordinamento sociale. Quale vittima era
stato scelto un giudice come rappresentante dell'ordinamento statale da
combattere. Ove questi atti di terrorismo avessero avuto l'effetto sperato,
altri atti della stessa indole avrebbero dovuto seguire, possibilmente
senza soluzione di continuità. Per questa ragione vanno comprese tra le
circostanze direttamente concernenti il reato la disponibilità degli autori
a uccidere nell'interesse dell'organizzazione terroristica qualsiasi
persona in qualsiasi momento, come pure il fatto che l'assassinio
del giudice T. s'iscrive in una serie di reati analoghi. Quanto alla
"riunione di verifica", ossia alla riunione che ha avuto luogo il giorno
successivo per trarre il bilancio di quell'assassinio, essa pure appartiene
alla stessa categoria di circostanze, nella misura in cui è destinata a
confermare e a suffragare che l'assassinio di T. è da situare nel senso
sopra menzionato nella catena delle azioni terroristiche delle Brigate
Rosse. Se la "riunione di verifica" sia altresì suscettibile di dimostrare
il sangue freddo e la determinazione con cui è stata eseguita l'uccisione
del giudice T., tenuto conto che tale riunione ha avuto luogo poco dopo
l'esecuzione di detta uccisione, può, in ultima analisi, rimanere indeciso
poiché questo aspetto non è determinante (v. infra lett. b). Comunque
osservasi che quali circostanze non concernenti direttamente l'atto sono
da considerare soltanto i precedenti dell'agente e il suo comportamento
prima e dopo l'atto, nella misura in cui tali elementi, considerati
prescindendo dalla loro relazione con l'atto, siano valutati solo per
ottenere un'immagine della personalità dell'agente (cfr. al proposito il
Messaggio loc.cit., e STRATENWERTH, Teilrevisionen cit., loc.cit.).

    b) B. ribadisce che il proprio movente e quello dei suoi correi delle
Brigate Rosse era legato a una scelta ideologica prefigurativa di un
ordinamento sociale e collettivo ritenuto migliore; il reato era diretto
all'instaurazione di un ordinamento politico-istituzionale diverso da
quello esistente.

    Tale obiezione non può giovare a B., anche se il movente e lo scopo
da lui addotti fossero provati (la CCRP non ha compiuto accertamenti
fattuali al proposito). Può quindi rimanere indeciso se la versione di
B. corrisponda al vero o se il movente e scopo principale non fossero,
soprattutto e prima di ogni altro, la distruzione dello Stato.

    È da convenire che il movente e lo scopo dichiarati da B. - la
trasformazione dell'ordinamento statale e sociale - non possono essere
ritenuti come egoistici né come particolarmente perversi (v. al riguardo
DTF 115 IV 14 in relazione con una liberazione di detenuti addotta
da un terrorista come fine del suo atto). Né sono date circostanze
che lascino apparire l'esecuzione dell'uccisione come particolarmente
perversa. Non è stato nella fattispecie utilizzato un mezzo particolare
perverso (quale il veleno o il fuoco), né si può parlare di crudeltà,
di una particolare perfidia, di una brama di uccidere, di vendetta o di
egoismo crasso; mancano pure particolari relazioni con la vittima (per es.
relazione amorosa o vincoli di sangue - DTF 106 IV 345 consid. 2, 104 IV
151/152, le cui considerazioni al proposito continuano a valere anche con
riferimento al nuovo testo dell'art. 112 CP; cfr. altresì STRATENWERTH,
Teilrevisionen, n. 16/17 ad § 1; REHBERG, op.cit., pag. 19 segg.). Sussiste
tuttavia assassinio non soltanto quando sia da ammettere la presenza di
una delle circostanze di particolare perversità sopra evocate, bensì, in
modo generale, quando il colpevole abbia agito con particolare mancanza di
scrupoli. L'enumerazione, non limitativa, delle circostanze che denotano
una particolare perversità dell'agente, sono soltanto destinate ad evitare
che il giudice debba fondarsi esclusivamente sulla clausola generale
della particolare mancanza di scrupoli (Messaggio, FF 1985 II 912). È
pertanto consentito di ravvisare in casi speciali - da ammettere con un
certo riserbo - l'assassinio esclusivamente in base alla citata clausola
generale. Quest'ultima garantisce in tal senso che l'assassinio come forma
qualificata dell'omicidio sia desumibile anche da circostanze diverse da
quelle elencate in via esemplificativa dal legislatore. Basti pensare, ad
es., al disprezzo manifestato verso la vita umana altrui, spesso tipico in
atti di terrorismo compiuti da fanatici in materia politica o religiosa,
o nell'uccisione effettuata in modo ripetitivo e ordinario da un sicario
professionale (STRATENWERTH, Teilrevisionen, n. 17 ad § 1).

    c) È indubbio che l'uccisione del giudice T., commessa
dall'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse e alla quale B. ha
partecipato, dev'essere considerata come denotante una particolare mancanza
di scrupoli ai sensi della clausola generale del nuovo testo dell'art. 112
CP. Un fanatismo che arriva sino al disprezzo totale della vita di altri
esseri umani costituisce uno degli elementi specifici dell'assassinio,
poiché rivela la mentalità dell'agente e lo specifico e duraturo pericolo
che questi rappresenta per coloro che non condividono i suoi principi
(DTF 115 IV 8). Nello stesso modo in cui nel caso del terrorista libanese
Ha. - il quale con il dirottamento di un aereo e con l'uccisione di un
ostaggio intendeva conseguire la liberazione di terroristi detenuti
in Svizzera -, la Corte penale federale ha ravvisato nell'uccisione
dell'ostaggio un assassinio, anche nel caso di B. deve riconoscersi che
sono adempiute le condizioni richieste perché il reato sia da qualificare
come assassinio. L'uccisione del giudice T. va considerata come un atto
terroristico avvenuto in Italia nel quadro degli altri atti terroristici
commessi lo stesso anno dalle Brigate Rosse, ciò che B. a ragione
non contesta. Come tale, questo atto terroristico denota il fanatismo
politico dei suoi autori, e quindi anche di B., per il quale la vita di
un essere umano non contava nulla e doveva addirittura essere eliminata,
in base ad un freddo calcolo e con modalità accuratamente preparate,
dove e quando ciò servisse agli interessi perseguiti dall'organizzazione
terroristica. È manifesto il disprezzo per la vita della vittima innocente
all'uopo scelta. Esso può soltanto essere interpretato come indice di
una particolare mancanza di scrupoli.

    La CCRP non ha quindi violato il diritto federale nel riconoscere B.
colpevole di assassinio.