Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 113 IA 368



113 Ia 368

57. Estratto della sentenza 23 dicembre 1987 della I Corte di diritto
pubblico nella causa Balli contro Stato del Cantone Ticino (ricorso di
diritto pubblico) Regeste

    Unterschutzstellung einer archeologischen Sammlung: Entschädigung
für materielle Enteignung (Art. 4 und 22ter BV).

    1. Zulässigkeit der staatsrechtlichen Beschwerde gegen einen Entscheid
der letzten kant. Instanz über die Entschädigung für materielle Enteignung
beweglicher Sachen (E. 1).

    2. a) Inhalt und Zweck der Tessiner Gesetzesbestimmungen, soweit
sie bewegliche Sachen im gleichen Masse wie historische Monumente und
Kunstdenkmäler schützt (E. 3a).
   b) Vereinbarkeit einer solchen Regelung mit Art. 22ter BV (E. 3b).

    c) Besonderheit der Tessiner Gesetzgebung in diesem Bereich gegenüber
der Regelung aller übrigen Kantone (E. 3d).

    3. Grundsätzliche Anwendbarkeit der von der Rechtsprechung als
massgeblich erklärten Kriterien im Bereich der materiellen Enteignung
von Grundstücken auf die Enteignung beweglicher Sachen (E. 4).

    4. Die Pflicht zur Einholung einer Bewilligung für die Verlegung eines
Gegenstandes der Antike innerhalb des Kantonsgebiets stellt keine schwere
Beschränkung des Eigentums an beweglichen Sachen dar, ebensowenig das
Verbot, den Gegenstand zu verändern, selbst wenn die Arbeiten nur seiner
Erhaltung oder Restaurierung dienen; hingegen können die Verpflichtung,
Arbeiten zur Erhaltung des Gutes ausführen zu lassen, und das generelle
Verbot der Ausfuhr aus dem Kantonsgebiet eine schwere Beeinträchtigung
bewirken (E. 5).

    5. Eine weniger schwere Beeinträchtigung des Eigentums an beweglichem
Gut kann ebenfalls eine materielle Enteignung bewirken, wenn sie nur
einen einzigen oder eine beschränkte Anzahl Eigentümer trifft; Anwendung
im konkreten Fall (E. 6).

Sachverhalt

    A.- Gian Michele, Gloria, Alessandra Balli e Consuelo Botteri-Balli
possiedono una collezione di circa 590 reperti archologici appartenuti al
loro avo Emilio Balli (1855-1934); sono comproprietari per un terzo e per
un ventesimo, inoltre, di due collezioni analoghe, l'una di circa 490 e
l'altra di circa 90 reperti. Il 1o febbraio 1979, in applicazione della
legge cantonale per la protezione dei monumenti storici ed artistici,
il Dipartimento dell'ambiente del Cantone Ticino ha iscritto le tre
collezioni nel catalogo dei monumenti storici siccome "parte integrante
della documentazione archeologica del Cantone Ticino" e "materiale
indispensabile per il proseguimento delle ricerche volte ad aumentare
le conoscenze in materia". Contro l'iscrizione nel catalogo i fratelli
Balli sono insorti al Tribunale cantonale amministrativo. Il 29 settembre
1979 la corte ha respinto il ricorso, tranne per quanto concerne due
reperti che, ormai fuori Cantone, non potevano soggiacere al vincolo
di monumento. Riguardo alla pretesa per espropriazione materiale fatta
valere nel ricorso, i giudici hanno rinviato le parti al foro competente.
Questa sentenza non è stata oggetto di rimedi giuridici e ha acquisito
carattere definitivo.

    B.- Introdotta una notifica del 23 settembre 1980 al Tribunale di
espropriazione della giurisdizione sopracenerina, i proprietari Balli
hanno chiesto che il Cantone Ticino versasse loro Fr. 700'000.-- a titolo
di espropriazione materiale per l'inserimento dei reperti nel catalogo
dei monumenti storici, come pure Fr. 50'000.-- per oneri di esposizione
e Fr. 25'000.-- annui per spese ricorrenti; hanno sollecitato altresì
lo sgravio delle collezioni da ogni imposta. La corte, statuendo il
4 gennaio 1982, non ha ravvisato nel vincolo di monumento storico gli
estremi di un'espropriazione e ha negato anche le indennità accessorie;
per il resto ha invitato i proprietari a sottoporre l'istanza di esenzione
fiscale all'autorità tributaria.

    C.- Il 18 febbraio 1982 Gian Michele, Gloria, Alessandra Balli
e Consuelo Botteri-Balli si sono rivolti al Tribunale cantonale
amministrativo chiedendo che la sentenza predetta fosse annullata e che il
Cantone Ticino fosse tenuto al pagamento di Fr. 700'000.-- con interessi,
riservati eventuali crediti da parte loro nei confronti dello Stato e
della Città di Locarno per la mancata restituzione o il danneggiamento
di reperti; in subordine hanno proposto che la causa fosse rinviata al
Tribunale di espropriazione per completare l'istruttoria ed emanare un
nuovo giudizio. Con sentenza del 30 giugno 1982 il Tribunale amministrativo
ha respinto il ricorso.

    D.- I fratelli Balli hanno esperito il 30 luglio 1982 al Tribunale
federale un ricorso di diritto pubblico per violazione degli art. 4
e 22ter Cost. in cui postulano l'annullamento della sentenza appena
citata. Dal profilo formale sostengono che il Tribunale amministrativo,
rifiutando di ispezionare i reperti e di ordinare una perizia sul valore
delle collezioni, non avrebbe esaminato compiutamente gli oneri connessi
al vincolo imposto dall'autorità e la portata dei medesimi nel caso
specifico; dal punto di vista sostanziale, dopo avere illustrato tutte
le conseguenze derivanti dal vincolo, essi affermano - in sintesi -
che le premesse dell'espropriazione materiale sono date tanto per la
gravità della restrizione in sé quanto per l'esistenza di un sacrificio
particolare a loro carico. Invitati a esprimersi, Il Consiglio di Stato
del Cantone Ticino e il Tribunale cantonale amministrativo propongono di
respingere il gravame.

Auszug aus den Erwägungen:

                       Dai considerandi:

Erwägung 1

    1.- La decisione impugnata emana dall'ultima autorità cantonale e si
fonda sul diritto pubblico ticinese. Il ricorso di diritto amministrativo
non è ammissibile poiché il giudizio concerne oggetti mobili e non cade
nel novero delle misure prese per la pianificazione del territorio,
come sarebbe il caso se il vincolo di monumento storico gravasse un
fondo (art. 17 in rapporto con gli art. 5 cpv. 2 e 34 cpv. 1 LPT;
DTF 111 Ib 257 consid. 1a). Solo il ricorso di diritto pubblico entra
così in considerazione (art. 84 cpv. 2 OG). I proprietari, la cui
richiesta di indennità per espropriazione materiale è stata respinta,
sono manifestamente legittimati a insorgere (art. 88 OG). Tempestivo,
il gravame è quindi proponibile e la richiesta di annullare la sentenza
cantonale è conforme alla natura meramente cassatoria del rimedio (DTF
112 Ia 225 consid. 1c).

Erwägung 2

    2.- (Esame simultaneo delle censure formali e sostanziali.)

Erwägung 3

    3.- a) La legge ticinese per la protezione dei monumenti storici
ed artistici (LMS), del 15 aprile 1946, stabilisce che possono essere
"dichiarate monumenti nel senso della legge e, come tali, assoggettate ad
una particolare protezione" tutte le cose immobili o mobili, compresi i
documenti, le quali abbiano pregio di antichità o d'arte (art. 1). Sono
escluse le opere di artisti viventi o la cui esecuzione risalga a meno
di cinquant'anni, come pure le opere di artisti stranieri entrate nel
territorio cantonale da meno di cinquant'anni (art. 2 cpv. 1). Gli oggetti
d'arte o d'antichità che appartengono a privati, inoltre, possono diventare
monumenti "solo in quanto la loro perdita od esportazione arrechino,
per il loro grande pregio, un danno grave al patrimonio artistico od
alla storia del Cantone" (art. 2 cpv. 2). È indiscusso che le collezioni
archeologiche dei ricorrenti sono parte, per il loro grande pregio, di
quest'ultima categoria. È pacifico altresì che il vincolo di monumento
storico si giustifica - come è stato riconosciuto il 26 settembre 1979 con
sentenza avente forza di giudicato - per il danno ingente che la perdita o
l'esportazione dei reperti cagionerebbe al patrimonio culturale ticinese.
Il vincolo di monumento storico comporta le restrizioni che seguono:

    - il divieto di alterare l'oggetto, sia pure a scopo di manutenzione
o di restauro, senza il consenso dell'autorità (art. 7 cpv. 1 LMS);

    - l'obbligo di conservazione, alleviato da eventuali interventi di
sussidio, ritenuto che lo Stato ha la facoltà di eseguire esso medesimo i
lavori necessari e di rivalersi verso il proprietario come un gestore di
affari senza mandato (l'art. 8 cpv. 2 LMS rinvia all'art. 472 CO, ma si
tratta in realtà dell'art. 472 vCO corrispondente all'attuale art. 422 CO);

    - l'obbligo di conservare i beni mobili nel luogo accertato dal
catalogo, di annunciare ogni trasferimento all'interno dei confini
cantonali e di ottenere l'autorizzazione per ogni passaggio di proprietà
(art. 14 LMS);

    - il divieto di esportazione definitiva dal territorio cantonale e
l'obbligo di richiedere un'autorizzazione per l'esportazione temporanea
(art. 15 LMS).

    b) Dai materiali legislativi si desume con chiarezza che il legislatore
cantonale ha inteso precisare, rafforzare e inasprire nel 1946 i vincoli
già istituiti dalla precedente legge sulla conservazione dei monumenti
storici ed artistici del 14 gennaio 1909 (dibattito parlamentare del 15
aprile 1946 in: Verbali del Gran Consiglio, sessione ordinaria primaverile
1946, pag. 9 seg.; Messaggio del Consiglio di Stato del 15 gennaio 1946:
ibidem, pag. 11 segg.; Rapporto della Commissione della legislazione del 14
marzo 1946: ibidem, pag. 18 segg.). Quella legge prevedeva in particolare,
all'art. 11 cpv. 1 e 2, un "diritto di prelazione" che nell'ipotesi in
cui un bene dichiarato monumento fosse stato venduto o trasferito fuori
Cantone il governo avrebbe potuto esercitare "a parità di condizioni ed
entro tre mesi dall'avvenuta denuncia (obbligatoria) di alienazione o
d'esportazione" (Bollettino officiale delle leggi e degli atti esecutivi
del Cantone Ticino 1909, pag. 46 seg.). Il termine per l'esercizio
del diritto poteva essere prorogato a sei mesi ove per la simultanea
offerta di numerose opere d'antichità o d'arte il Consiglio di Stato non
avesse avuto "in pronto tutte le somme necessarie agli acquisti" (art. 11
cpv. 3). Se il "diritto di prelazione" (in effetti un diritto di compera
a un prezzo fissato da esperti, come emerge dall'art. 46 del regolamento
29 settembre 1909: Bollettino officiale 1909, pag. 373) non fosse stato
esercitato nei termini, l'autorizzazione di vendita o di esportazione si
riteneva tacitamente concessa (art. 11 cpv. 2 seconda frase). Solo in via
eccezionale il Consiglio di Stato poteva rifiutare l'autorizzazione senza
valersi del diritto di "prelazione": quando si trattava di oggetti "aventi
un'importanza capitale per l'arte e per la storia del Cantone", ma in casi
simili il proprietario poteva essere retribuito "con compensi equitativi";
la decisione del governo era impugnabile al Tribunale di appello (art. 12).

    Il messaggio del Consiglio di Stato (pag. 14), il rapporto della
Commissione (pag. 18 seg.) e il dibattito svoltosi in Gran Consiglio
(interventi Marazzi e Riva, relatore) dimostrano che nel 1946 si è
voluto sopprimere, distanziandosi dalla vecchia normativa, ogni forma
di risarcimento per il divieto di esportare dal Cantone beni mobili
dichiarati monumenti storici. Il messaggio del Consiglio di Stato definisce
l'indennizzo accordato dalla legge anteriore "privo di costante e sicura
efficacia pratica", con la sola concessione che l'onere derivante ai
privati sarebbe stato "mitigato" procedendo alle iscrizioni nel catalogo
secondo criteri restrittivi. Del resto - argomentava il messaggio -
la maggior parte delle cose mobili dichiarate monumenti appartengono
alle parrocchie, sicché l'opera dell'ente pubblico volta a impedire
la dispersione di oggetti meritevoli di tutela sarebbe stata accolta,
"com'è già stato, con soddisfazione dall'Autorità ecclesiastica".

    Ci si potrebbe domandare, ciò premesso, se il legislatore ticinese
- ispirandosi verosimilmente alla legge italiana del 1o giugno 1939,
n. 1039, sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico
(Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia 1939,
vol. V, pag. 3403 segg.) ed escludendo ogni indennizzo per le limitazioni
imposte - rispettasse la garanzia della proprietà (art. 22ter cpv. 3
Cost., all'epoca diritto costituzionale non scritto). Sia come sia, il
problema non dev'essere risolto poiché nel frattempo l'eventuale vizio è
stato riparato. La nuova legge ticinese di espropriazione, dell'8 marzo
1971, si applica per vero a tutti i casi in cui una restrizione della
proprietà abbia conseguenze equivalenti a quelle di un'espropriazione
(art. 2 cpv. 2); la massima autorità cantonale ha riconosciuto che tale
disposto fa stato - contrariamente alla tesi sostenuta dal governo -
non solo per gli immobili, ma anche per i beni mobili, in conformità
all'art. 27 del regolamento d'applicazione della legge 15 aprile 1946
per la protezione dei monumenti storici ed artistici (testo modificato il
22 gennaio 1974). Se ne conclude che, prevedendo oggi un'indennità piena
per i casi di espropriazione materiale, la legislazione ticinese adempie
senza dubbio le esigenze dell'art. 22ter cpv. 3 Cost.

    c) (Analisi comparativa degli altri ordinamenti cantonali, suddivisi
per gruppi.)

    d) La genesi legislativa e il raffronto con gli altri ordinamenti
cantonali mostrano d'acchito che, così come sono uscite dalla riforma
del 1946, le norme ticinesi sono assai incisive sia per quanto attiene
all'inventariazione delle cose mobili private sia per i vincoli istituiti
al riguardo. La nozione di "pregio d'antichità o d'arte", infatti, è
particolarmente estesa e suscettibile di comprendere vaste categorie di
oggetti; le eccezioni sancite dall'art. 2 lett. a e b LMS per le opere
di artisti viventi o la cui esecuzione risalga a meno di cinquant'anni
oppure per le opere di artisti stranieri entrate nel territorio ticinese
da meno di cinquant'anni non sono di grande portata: l'unica vera
attenuazione delle possibilità d'intervento statale è l'art. 2 cpv. 2
LMS, che permette di dichiarare monumenti solo i beni mobili privati
la cui perdita o esportazione arrecherebbe un danno grave al patrimonio
artistico o alla storia ticinese. Gli oneri che gravano il proprietario
(e che ancora saranno esaminati diffusamente) non trovano equilibrio
nei diritti del proprietario verso lo Stato: l'esecuzione di lavori
conservativi o di restauro per opera del Cantone fa nascere anzi diritti di
rivalsa nei confronti del proprietario (art. 8 cpv. 2 LMS) e alla facoltà
d'espropriazione formale che spetta all'ente pubblico (art. 8 cpv. 3 LMS)
non fa riscontro alcuna possibilità per il proprietario di esigere dallo
Stato l'assunzione dei beni.

    Giova rilevare che il diritto del proprietario di esigere l'acquisto
dei beni da parte dello Stato (cfr. DTF 109 Ib 261 consid. 1 con
richiamo), oltre a ritrovarsi in svariate legislazioni cantonali,
costituisce una delle raccomandazioni fatte dagli esperti in un modello
di legge elaborato durante un convegno sui problemi giuridici relativi
alla tutela dei monumenti indetto nel 1970 dal Politecnico federale di
Zurigo (v. THEODOR BÜHLER, Organisation, Verfahren und Rechtsschutz in
der Denkmalpflege, in: Rechtsfragen der Denkmalpflege, Veröffentlichungen
des Schweizerischen Instituts für Verwaltungskurse an der Hochschule
St. Gallen, nuova serie, vol. 3, 1981, pag. 134 nota 6; il disegno di
legge è annesso alla pubblicazione). Questo modello, una volta chiarita
la nozione di monumento (§ 2 cpv. 1 e 2), istituisce non solo un diritto
di prelazione e di espropriazione a favore dell'ente pubblico (§ 13 e
14 cpv. 1), ma anche un corrispettivo diritto a favore del proprietario,
che può esigere l'espropriazione dell'oggetto (§ 14 cpv. 2 e 3); per il
resto il modello contiene un rinvio generale al principio dell'indennizzo
ove i vincoli imposti equivalgano a un'espropriazione (§ 24 cpv. 1).

    Gli elementi appena descritti si ravvisavano già nella cessata legge
ticinese sulla conservazione dei monumenti storici ed artistici del 14
gennaio 1909, la quale nelle sue caratteristiche essenziali appare perfino
aver precorso i tempi e non si rivela per nulla "manchevole" o a tratti
"sovrabbondante" come il Consiglio di Stato l'ha definita nel messaggio
del 15 gennaio 1946 con la manifesta intenzione di eliminare ogni forma
di compenso per i vincoli monumentali. È vero che il vizio della legge
promulgata nel 1946 è stato corretto della legge di espropriazione dell'8
marzo 1971: rimane pur sempre la circostanza, tuttavia, che rispetto
ad altri ordinamenti cantonali (e al noto modello degli esperti)
la legislazione ticinese si distingue per un palese squilibrio tra i
diritti concessi all'ente pubblico e quelli riconosciuti al privato. Ciò
può essere di rilievo per il giudizio.

Erwägung 4

    4.- a) Il concetto di espropriazione materiale, coniato nel 1941
(sentenza inedita del 18 luglio 1941 in re Wettstein) e ripreso nelle
sentenze successive, ha trovato in DTF 91 I 338 una formulazione rimasta
poi sostanzialmente invariata (GRISEL, Traité de droit administratif,
vol. II, Neuchâtel 1984, pag. 766 seg.). Secondo la stessa vi è
espropriazione materiale quando l'uso odierno o il prevedibile uso futuro
di una cosa è vietato o limitato in modo particolarmente grave, sicché
il proprietario è spogliato di una delle facoltà essenziali derivanti
dal diritto di proprietà; vi è altresì espropriazione materiale quando
un solo proprietario o un numero limitato di proprietari è toccato in
modo meno grave, ma tale che - fosse negato un indennizzo - il sacrificio
imposto a favore della collettività riuscirebbe eccessivamente gravoso e
incompatibile con l'uguaglianza di trattamento (DTF 112 Ib 506 consid. 3
con richiami). Nell'una e nell'altra ipotesi la protezione si estende
all'uso futuro della cosa solo se, alla data determinante, questo appare
come molto probabile in un avvenire prossimo; per giudicare in proposito
vanno presi in considerazione tutti gli elementi di fatto e di diritto
da cui la possibilità di un miglior uso dipende (loc.cit.).

    La prassi citata si riferisce a casi di espropriazione fondiaria, e
soprattutto - per quanto riguarda l'uso futuro del bene - alla possibilità
di fabbricare previa demolizione di uno stabile esistente, ciò che
spesso si verifica nell'evenienza di vincoli monumentali. Per statuire
sull'edificabilità è determinante, prima ancora dell'attitudine fisica del
fondo alla costruzione e dell'interesse economico a un'operazione siffatta,
lo statuto pianificatorio del terreno: se l'edificazione è giuridicamente
esclusa o estremamente problematica in un futuro prossimo, è vano
domandarsi se essa sarebbe fattibile dal profilo tecnico o vantaggiosa
dal lato finanziario (DTF 112 Ib 109 consid. 2b, 109 Ib 15 consid. 2
con rinvii).

    b) Giurisprudenza e dottrina ammettono che anche cose mobili e
altri beni patrimoniali, trovandosi al beneficio della garanzia della
proprietà (cfr. DTF 105 Ia 46, 96 I 292 supra, 94 I 448 consid. 2, 91 I
419 consid. 3e; MEIER-HAYOZ in: Berner Kommentar, 5a edizione, nota 441
seg. dell'introduzione agli art. 641-654 CC), possono essere oggetto di
espropriazione materiale (MEIER-HAYOZ, op.cit., nota 625; GEORG MÜLLER
in: Kommentar BV, maggio 1987, nota 45 ad art. 22ter Cost.; HANS HUBER,
Öffentlichrechtliche Gewährleistung, Beschränkung und Inanspruchnahme
privaten Eigentums in der Schweiz, in: Staat und Privateigentum, Colonia
1960, pag. 77; GIACOMETTI, Allgemeine Lehren des rechtsstaatlichen
Verwaltungsrechts, vol. I, Zurigo 1960, pag. 530 nota 48). Le decisioni
giudiziarie sono rare: in DTF 74 I 465 la lite verteva sull'indennità
conseguente al mancato esercizio di una rete per la distribuzione
dell'energia elettrica, in DTF 96 I 291 consid. 5c sull'indennità per il
mancato uso di un corso d'acqua concesso a titolo privativo.

    Che un'espropriazione materiale possa colpire cose mobili è stato
riconosciuto espressamente in DTF 93 I 708 a proposito dell'obbligo
imposto dal Canton Ginevra agli editori di depositare gratuitamente
presso la biblioteca universitaria un esemplare degli stampati destinati
al pubblico. In quell'occasione il Tribunale federale ha dichiarato
applicabili anche ai beni mobili i principi espressi in DTF 91 I 338;
ha negato però che l'obbligo di deposito costituisse un'espropriazione
materiale, sempre che il prezzo dello stampato fosse relativamente modesto
(contenuto, all'epoca, in Fr. 50.--); per opere di valore superiore lo
Stato avrebbe dovuto pagare il prezzo di costo (pag. 712 seg.). Si noti
ancora che in quel caso il Tribunale federale non era chiamato a giudicare
una fattispecie concreta, ma a esaminare la costituzionalità in astratto
della regolamentazione ginevrina.

Erwägung 5

    5.- I principi generali istituiti dalla giurisprudenza per
l'espropriazione degli immobili devono applicarsi quindi alla controversia
attuale tenendo conto delle peculiarità inerenti alle cose mobili
(CHRISTOPH JOLLER, Denkmalpflegerische Massnahmen nach schweizerischem
Recht, tesi, Friburgo, 1986, pag. 154 seg.). Ciò significa che i vincoli
sanciti dall'ordinamento cantonale a salvaguardia dei beni iscritti nel
catalogo delle antichità protette devono essere vagliati singolarmente;
questo esame deve considerare sia la natura del vincolo rispetto alle
facoltà che l'art. 22ter Cost. assicura al proprietario, sia gli effetti
che il vincolo esplica nel caso precipuo.

    a) L'obbligo di mantenere la cosa mobile nel luogo menzionato
dall'inventario e quello di ottenere un'autorizzazione per il trasferimento
della stessa all'interno del territorio cantonale costituiscono semplici
vincoli di procedura. È palese che l'autorità, già per gli scopi insiti
nella tutela, deve conoscere il luogo in cui gli oggetti si trovano e
poter intervenire qualora fosse previsto uno spostamento in sede non
adeguata alla loro conservazione. Il permesso di trasferimento, del
resto, non può essere rifiutato senza ragione oggettiva: l'autorità è
tenuta infatti a valersi nel giusto modo del potere di apprezzamento che
le compete e non può statuire a beneplacito. Gli oneri in discorso non
risultano così particolarmente incisivi e in essi non si può scorgere
una restrizione notevole delle facoltà che spettano al proprietario.

    b) Il divieto di alterare l'oggetto, sia pure a scopo di
manutenzione o di restauro, e l'obbligo di chiedere il permesso
dell'autorità per qualsiasi lavoro di modifica hanno a loro volta natura
procedurale. Valgono, per analogia, le considerazioni sopra esposte. Un
restauro che dovesse rendersi necessario e per il quale fossero date
tutte le garanzie non potrà essere rifiutato, tanto più che gli interessi
del proprietario alla salvaguardia del monumento coincideranno di regola
con quelli dell'ente pubblico. È indispensabile per altro che eventuali
controversie sull'idoneità delle misure previste siano risolte prima di
ogni manomissione. Quanto poi al divieto di alterare l'oggetto oltre
i limiti di una corretta manutenzione o di un corretto restauro, esso
limita si il potere di disposizione del proprietario, ma non cagiona a
costui alcun pregiudizio economico. L'imperativo si traduce nel divieto di
un impiego scriteriato, abusivo, che deteriori o distrugga l'oggetto. Un
impedimento del genere non rappresenta però una restrizione notevole del
diritto di proprietà.

    c) L'obbligo di conservare il bene mobile crea invece una situazione
delicata. Esso implica per vero un'obbligazione di fare che può anche
rivelarsi dispendiosa e di impegno proibitivo. Una valutazione d'ordine
generale non è possibile: bisogna considerare il caso specifico. In linea
di massima si può ritenere, comunque sia, che dal proprietario non possono
esigersi investimenti finanziati con il suo ulteriore patrimonio ove la
conservazione della cosa mobile non abbia per lui utilità economica, e in
specie non dia il minimo reddito. Vale una volta di più il ragionamento
analogo svolto dal Tribunale federale in merito all'obbligo di conservare
o al divieto di demolire stabili protetti come beni culturali: la
proibizione di demolire edifici per sostituirli con fabbricati più
redditizi non costituisce espropriazione materiale ove l'immobile,
debitamente restaurato, mantenga una ragionevole redditività economica
che dev'essere analizzata nel caso concreto (DTF 111 Ib 267 consid. 4c,
99 Ia 41 consid. 3c; sentenza inedita del 1o ottobre 1986 in re Schuchter,
consid. 5).

    Proprio il richiamo di questa giurisprudenza mostra che i criteri
elaborati in materia immobiliare non possono essere trasferiti come tali,
per quanto riguarda l'obbligo conservativo, ai monumenti mobili. La
demolizione di un edificio è voluta dal proprietario, in genere, per
fruire del valore assoluto del terreno, relativizzato dalla presenza
della costruzione. L'alternativa mantenimento o demolizione si prospetta,
in altri termini, per l'uso più vantaggioso di un'entità - il terreno -
che la demolizione trasferirebbe dalla categoria delle aree edificate
a quella delle aree fabbricabili. Questi elementi di calcolo economico
non si riscontrano nel caso di beni mobili: qui non esiste un supporto
fondiario e l'onere di conservazione, salvo ipotesi del tutto particolari
(provento di rassegne, mostre e simili oppure ricupero di materiali
preziosi costituenti l'oggetto), non trova contropartita nel reddito che
il bene permette di conseguire.

    Ora, è indubbio che l'obbligo di conservazione può comportare in
taluni casi spese ragguardevoli e ricorrenti: ciò può verificarsi per un
oggetto singolo e delicato (si pensi a un quadro antico, da mantenere in
condizioni ambientali costanti in modo da evitarne il deterioramento),
e ancor più per una collezione di beni protetti non solo singolarmente,
ma per il loro insieme: in tale evenienza occorrono locali adeguati,
sorveglianza, controlli periodici, manutenzione costante, tutti oneri
che possono rivelarsi costosi anche per la necessità di personale
qualificato. Il collezionista o l'amatore, motivati per lo più da
interessi ideali o affettivi, faranno fronte spontaneamente a tali spese
ove le condizioni economiche lo permettano. Tuttavia di simile attività
volontaria mal si vede come l'ente pubblico possa fare un obbligo qualora
non sovvenzioni debitamente il proprietario o non intervenga in sua vece
e in suo sgravio. È vero che la legge per la protezione dei monumenti
storici ed artistici del 1946 prevede la possibilità dell'intervento
surrogatorio dello Stato, ma questo fonda per espressa disposizione di
legge un credito del Cantone, il quale può esigere il rimborso delle
spese (art. 8 cpv. 2). Al proprietario è accollato, in altri termini,
l'onere integrale della conservazione, che egli deve sopportare con i suoi
ulteriori elementi di reddito o di patrimonio per quanto elevato l'impegno
possa essere. Ne consegue che la gravità dell'onere non può essere esclusa
a priori. Certo, si potrebbe essere tentati di porre la stessa in relazione
con i mezzi finanziari di cui normalmente il collezionista dispone; se non
che codesto ragionamento farebbe dell'onere di conservazione un tributo
commisurato alla capacità contributiva del proprietario e porterebbe
a una disuguaglianza di trattamento poiché quelle risorse non possono
servire come criterio distintivo nell'ambito della materia in esame. Nel
considerando che segue si tornerà sull'argomento.

    d) Il divieto assoluto di esportare l'oggetto dal territorio cantonale
può rivelarsi ancora più grave dell'obbligo di conservazione. Per
sua natura esso influisce sulla libertà di alienare la cosa protetta a
compratori con domicilio fuori Cantone, i quali di regola sono intenzionati
all'acquisto solo ove possano esportare il bene. L'ultima giurisdizione
cantonale ha argomentato che, in sé, la libertà di alienare a titolo
retributivo o grazioso permane, salva la riserva imposta all'acquirente
di non trasferire la cosa oltre Cantone. Tale assunto non può essere
condiviso nella sua apoditticità. È vero che, se gli oggetti hanno
rilevanza puramente locale, la cerchia degli interessati è ristretta alla
gente del luogo e il divieto di esportazione non toglie al proprietario la
possibilità di realizzare convenientemente l'oggetto poiché non preclude
alcun potenziale compratore. Del tutto diversa si presenta la situazione
allorché il bene - per il suo particolare pregio artistico, antiquario o
scientifico - desti l'interesse di persone residenti oltre le frontiere
cantonali. A tale riguardo non occorre nemmeno prefigurare l'esistenza di
virtuali clienti esteri: già il fatto di escludere interessati di altri
Cantoni riduce in modo drastico la possibilità di realizzare l'oggetto ove
appena si pensi al numero ridotto degli abitanti e degli enti giuridici
del Ticino rispetto all'intera Svizzera, come pure alla forza economica
e ai motivi che possono indurre una persona all'acquisto. A ciò si deve
aggiungere che gli amatori di simili oggetti sono relativamente rari
e che il novero dei possibili acquirenti non si esaurisce in una serie
di persone fisiche (la categoria degli speculatori e degli egoisti cui
allude la corte cantonale) ma comprende istituti privati, semipubblici
o pubblici, in specie fondazioni e musei. Nel campo dei beni mobili con
qualità storiche, artistiche o scientifiche il valore di mercato di un
oggetto - che per sua natura, come si è visto, non può essere determinato
in funzione del reddito o dell'utilità economica conseguibile - dipende
molte volte dall'interesse che l'oggetto medesimo suscita nel collezionista
o nel responsabile di un museo, come avviene per le opere di pittori,
scultori, orafi, ceramisti, vetrai, o per i manoscritti e i libri antichi.

    Ne consegue che il problema dell'eventuale indennizzo spettante a
un proprietario per il divieto di esportare antichità dal Cantone si
distingue radicalmente da qualsiasi compenso dovuto per la tutela di un
fondo come monumento. In quest'ultima ipotesi, come detto, il Tribunale
federale esamina se nonostante il vincolo sia garantita al proprietario
una redditività ragionevole e in caso affermativo nega - almeno in linea di
principio - ogni indennizzo seppure la costruzione di un nuovo edificio al
posto del monumento consenta un maggior beneficio economico. Nell'oggetto
mobile l'elemento del reddito ragionevole manca e fa difetto altresì
la nozione di "miglior uso" poiché la cosa non può essere adibita a
un uso diverso e la sua distruzione non libererebbe alcun fondo da cui
ricavare entrate maggiori. L'interesse economico del proprietario del bene
mobile risiede così, eccettuate le rare particolarità evocate dianzi,
nel prodotto ch'egli ritrae alienando l'oggetto in condizioni di libero
mercato. Questo parametro costituisce anche l'unico criterio cui far capo
per valutare la gravità concreta del vincolo impostogli.

    Il Tribunale amministrativo reputa che il divieto di esportazione
dal territorio cantonale non colpisca il proprietario di beni mobili
più duramente del divieto di vendere fondi a persone domiciliate
all'estero. Dimentica però che gli immobili non sono trasferibili per loro
natura e che il divieto di vendere a persone con domicilio all'estero
lascia intatta la vasta cerchia di potenziali acquirenti con domicilio
in Svizzera. La corte cantonale ha parificato in realtà due situazioni
fondamentalmente diverse, violando gli art. 4 e 22ter Cost. A torto
dipoi il Tribunale amministrativo ha escluso in via affatto generale,
senza riferimento alle peculiarità del caso sul quale doveva pronunciarsi e
senza alcuna misura istruttoria (ispezione dei reperti, perizia sul valore
dei medesimi e sulle incidenze derivanti dal divieto di esportazione) che
l'obbligo di mantenere gli oggetti sul suolo ticinese possa configurare una
limitazione delle facoltà essenziali del proprietario. Il vincolo restringe
sensibilmente già come tale una delle facoltà giuridiche primarie, quella
di disporre della cosa per alienazione, e incide in modo evidente nella
libertà contrattuale. La gravità del divieto puro e semplice di esportare
è suffragata anche dal confronto con le altre legislazioni cantonali:
nessuna di esse, a quanto si è visto, istituisce una proibizione tanto
categorica senza garantire lo statuto giuridico del proprietario, sia
attraverso l'esercizio di un diritto di prelazione da parte dello Stato,
sia prevedendo l'acquisto per un prezzo stabilito di comune intesa, sia
riservando l'espropriazione formale (che assicura un'indennità piena), sia
conferendo al proprietario la facoltà di esigere l'assunzione dell'oggetto
per opera dell'ente pubblico.

    Alla limitazione del diritto di proprietà contenuta nell'ordinamento
ticinese non può dunque essere negato, in linea di principio, carattere
di particolare gravità né per quanto concerne il divieto di esportazione
né per quel che riguarda l'obbligo di conservazione. Tali precetti vanno,
per la Svizzera, nettamente più lontano dell'usuale. Giovi rammentare
che il criterio relativo al carattere inusitato di una misura è già
stato assunto dalla giurisprudenza per decidere se la base legale di una
limitazione alla garanzia della proprietà debba essere "chiara e netta"
o resistere soltanto alla censura di arbitrio (ZBl 88/1987 pag. 540
consid. 3b; DTF 90 I 340 consid. 3, 89 I 467 consid. 2, 104 consid. 1,
69 I 242): nulla osta a che esso sia utilizzato, ove opportuno, anche
per il giudizio sull'esistenza di un'espropriazione materiale.

    Ancora un rilievo merita il nesso che intercorre tra divieto di
esportazione e obbligo di conservazione. Il dovere di conservare
l'oggetto, che in determinate circostanze può risultare gravoso,
è accettato dal proprietario nella misura in cui il bene mantenga il
proprio valore sul mercato libero, possa essere realizzato cioè con una
libera alienazione. Tale contropartita viene a cadere qualora il divieto
di esportazione distolga dall'acquisto i clienti più interessati. Anche da
questo profilo il Tribunale amministrativo ha negato in modo aprioristico
la gravità del vincolo monumentale imposto alle collezioni dei ricorrenti
senza vagliarne appieno gli effetti concreti.

Erwägung 6

    6.- L'argomentazione dei giudici cantonali non può essere condivisa
neppure ove esclude i requisiti della seconda ipotesi in cui la
giurisprudenza ravvisa un'espropriazione materiale, il caso cioè di una
limitazione meno grave dei diritti di uno solo o di un numero circoscritto
di proprietari, ma tale da esigere lo stanziamento di un'indennità per
il particolare sacrificio richiesto e per il principio di uguaglianza.

    a) Al riguardo è bene premettere che in tema di espropriazione
materiale il riferimento all'uguaglianza concerne una ripartizione o
una compensazione di oneri e non può essere equiparato semplicemente al
precetto di uguaglianza com'è inteso di solito nelle cause relative
alla violazione dell'art. 4 Cost. (MEIER-HAYOZ, op.cit., nota
638). Abitualmente il mancato ossequio di tale precetto da parte di
un'autorità cantonale non conduce alla mera elargizione di un indennizzo
per il danno patito, bensì all'annullamento della norma o della decisione
vera e propria; il problema del compenso si pone solo in subordine,
ove la limitazione al diritto di proprietà risulti legittima. I criteri
vigenti in caso di espropriazione materiale sono analoghi a quelli
applicabili, per esempio, nell'eventualità di un raggruppamento terreni,
ove la giurisprudenza prescrive all'autorità di vegliare a un'equilibrata
ripartizione dei vantaggi e degli oneri tra i consorziati nel rispetto
dell'art. 4 Cost. e del principio della compensazione reale che sgorga
dall'art. 22ter Cost. (DTF 105 Ia 326 consid. 2b e 2c). V'è da domandarsi,
quindi, se l'indennità espropriativa dovuta per restrizione meno grave
a uno solo o a un numero circoscritto di proprietari trovi conforto
unicamente nell'art. 4 e non anche nell'art. 22ter Cost. (MÜLLER,
op.cit., note 57 a 59 ad art. 22ter Cost.). Il problema può continuare a
rimanere irrisolto (DTF 110 Ib 32 consid. 4 con rinvii), ritenuto che in
ogni modo la limitazione imposta al proprietario, sebbene "meno grave",
deve pur sempre essere di una certa intensità (DTF 109 Ib 15 consid. 2;
MÜLLER, loc.cit.; GRISEL, op.cit., vol. II, pag. 774; KUTTLER, Materielle
Enteignung aus der Sicht des Bundesgerichts, in: ZBl 88/1987 pag. 192
segg.; AEMISEGGER, Raumplanung und Entschädigungspflicht, Schweizerische
Vereinigung für Landesplanung, Schriftenreihe Nr. 36, Berna 1983, pag. 66;
AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse, vol. 2, pag. 768 n. 2198).

    b) L'ultima giurisdizione cantonale ha evocato, per negare l'esistenza
di un sacrificio particolare, l'art. 724 CC, che assegna in proprietà gli
oggetti senza padrone di rilevante pregio scientifico - segnatamente
i reperti archeologici - al Cantone nel cui territorio essi sono
scoperti. Ha richiamato altresì il vecchio decreto legislativo circa
gli scavi per la ricerca di oggetti archeologici, del 19 maggio 1905
(Bollettino officiale delle leggi e degli atti esecutivi del Cantone
Ticino 1905, pag. 67 seg.), che precorrendo quasi la soluzione adottata
dal Codice civile svizzero conferiva la proprietà dei rinvenimenti per
due terzi allo Stato e per un terzo allo scopritore, "con facoltà nello
Stato di far propria anche questa parte rimborsandone all'inventore il
valore corrispondente" (art. 3). Ciò non basta tuttavia per escludere
l'ipotesi di un'espropriazione materiale. I giudici disconoscono che
le norme citate regolavano e regolano l'acquisto originario della
proprietà su cose senza padrone, designando il soggetto giuridico al
quale la titolarità va attribuita. È indubbio che il fatto di impedire
la nascita di un diritto di proprietà non può costituire espropriazione
materiale poiché quest'ultima premette appunto l'esistenza di un diritto
in tal senso. Ora, i ricorrenti sono legittimi proprietari dei reperti
in questione - come stabiliscono sentenze passate in giudicato - per
aver acquisito i loro diritti nel secolo scorso, prima che entrassero
in vigore le norme accennate. Sostenere ch'essi non meritano tutela
giuridica perché sono divenuti proprietari solo in virtù della casuale
epoca dei ritrovamenti archeologici significa riconoscere ai loro diritti
un contenuto meno pieno di quelli che competono ai proprietari di altri
oggetti mobiliari altrettanto considerevoli per la storia o l'arte del
Cantone (opere pittoriche o scultoree, incunaboli, documenti storici ecc.).
L'argomento della corte viola l'uguaglianza di trattamento davanti alla
legge e trasgredisce l'art. 4 Cost.

    È opportuno soggiungere che la corte cantonale ha trascurato di
accertare persino quanti sono i proprietari privati di oggetti mobili
inclusi nel catalogo dei monumenti giusta l'art. 5 cpv. 3 LMS, fattore
che può essere di rilievo per il giudizio. Ora, dall'elenco dei monumenti
storici ed artistici del Cantone Ticino pubblicato dal Dipartimento delle
pubbliche costruzioni nel 1969 e dai vari aggiornamenti si evince che
- a parte gli enti ecclesiastici (Confraternite, Seminario Diocesano,
Capitoli canonicali, Amministrazione apostolica e altri organismi) -
il numero dei proprietari privati di beni mobili figuranti nel catalogo
è ridottissimo. Tale circostanza non può semplicemente andare ignorata.

Erwägung 7

    7.- Tutto quanto precede permette di concludere che l'impugnazione
dei ricorrenti dev'essere accolta e la sentenza cantonale annullata. Il
tribunale amministrativo si pronuncerà di nuovo tenendo conto dei
considerandi esposti nell'attuale giudizio (DTF 112 Ia 354 consid. 3bb).

    (...)