Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 111 IV 130



111 IV 130

34. Sentenza della Corte di cassazione del 25 settembre 1985 nella causa
Procura pubblica sottocenerina c. A. (ricorso per cassazione) Regeste

    Abgrenzung zwischen Veruntreuung und Betrug (Art. 140, 148 StGB).

    Wer unrechtmässig über die ihm anvertraute Sache eines andern verfügt,
über die er aufgrund einer Vereinbarung mit dem Eigentümer die tatsächliche
Verfügungsmacht hat, ist gemäss Art. 140 StGB zu bestrafen. Wo zwar ein
Vertrauensverhältnis zwischen dem Eigentümer und dem Täter besteht, dieser
die tatsächliche Verfügungsmacht aber durch arglistige Täuschung erlangt,
da die ihm verliehenen Befugnisse nicht ausreichen, ist Betrug gegeben
und ausschliesslich Art. 148 StGB anwendbar. Anwendung dieser Bestimmung
im Fall eines Bankangestellten, der Vermögenswerte eines Kunden, über
die er nicht allein verfügen konnte, unrechtmässig verwendete.

Sachverhalt

    A.- A. era stato incaricato nel 1972 della gerenza dell'agenzia della
Banca B. a C. Da mandatario ne diveniva successivamente procuratore,
vicedirettore e direttore. Era l'unico responsabile dell'agenzia, con
funzione autonoma e indipendente, iscritto nel Registro di commercio con
firma collettiva a due, autorizzato a ricevere la clientela e a fornirle
la propria consulenza, in particolare nell'ambito del settore titoli,
in cui aveva ampia autonomia.

    Dal febbraio 1976 alla fine di gennaio 1984 A. prelevava illecitamente
in 132 casi da conti di clienti complessivamente Fr. 1'658'000.--, che
utilizzava per sé o per altri clienti. In relazione con questi fatti egli
era posto in stato d'accusa, con atto del 21 novembre 1984 e con atto
aggiuntivo dell'11 marzo 1985, per ripetuta e continuata appropriazione
indebita, aggravata ai sensi dell'art. 140 n. 2 CP, nonché per falsità
in documenti e soppressione di documenti. In ambedue gli atti d'accusa,
accanto all'imputazione principale di appropriazione indebita aggravata,
era menzionata, in via subordinata, l'imputazione di truffa.

    Con sentenza del 15 marzo 1985 la Corte delle assise criminali del
Cantone Ticino sedente a Lugano dichiarava A. colpevole di ripetuta
appropriazione indebita aggravata, di ripetuta e continuata falsità in
documenti e di soppressione di documenti, condannandolo alla pena di 2
anni e 9 mesi di reclusione.

    Adita da A., la Corte di cassazione e di revisione penale del Cantone
Ticino (CCRP) ne accoglieva parzialmente il gravame, nel senso che lo
dichiarava colpevole di ripetuta truffa anziché di appropriazione indebita
aggravata, e riduceva la pena a 2 anni e 6 mesi di reclusione.

    La Procura pubblica sottocenerina è insorta con ricorso per cassazione
contro la decisione della CCRP, chiedendo che essa sia annullata e che la
causa sia rinviata a detta Corte perché giudichi nuovamente, riconoscendo
A. colpevole di appropriazione indebita aggravata come descritta nei due
atti d'accusa e nella sentenza di prima istanza, e confermando la pena,
inflittagli in tale istanza, di 2 anni e 9 mesi di reclusione.

    Il Tribunale federale ha respinto il ricorso.

Auszug aus den Erwägungen:

                   Considerando in diritto:

Erwägung 1

    1.- La qualificazione litigiosa (truffa od appropriazione
indebita?) concerne 132 atti di disposizione, con i quali A. ha fatto
trasferire a se stesso, a conti di cui era cointeressato o a terzi,
titoli o somme di denaro depositati su conti appartenenti a clienti che
li avevano affidati alla banca in custodia. Secondo gli accertamenti della
CCRP vincolanti per il Tribunale federale, A. simulava, con l'allestimento
di appositi moduli bancari denominati "fonogrammi in arrivo", altrettanti
ordini telefonici d'ignari clienti.

    a) Il reato d'appropriazione indebita (art. 140 CP) presuppone in
primo luogo che l'agente abbia, d'intesa con il proprietario, un potere
di fatto (ossia la possibilità di disporne fattualmente) su cose o beni
altrui. Il modo in cui gli è consentito di usare di tale potere risulta
dall'accordo, in virtù del quale il proprietario gli ha affidato valori
patrimoniali. Perché sia dato l'atto dannoso punito dall'art. 140 CP non
occorre, stante la facoltà conferita dal proprietario all'agente, che
questi violi il possesso altrui (come nel caso del furto, art. 137 CP)
o che induca altri in errore (come nel caso della truffa, art. 148 CP);
l'agente può qui disporre direttamente in modo illecito del patrimonio
altrui. Poiché l'oggetto del reato (cosa o bene altrui) gli è affidato,
l'atto dannoso da lui commesso è punito più gravemente di un'appropriazione
illecita di cose altrui di cui sia venuto in possesso casualmente (art. 141
CP), ma in modo meno grave di un pregiudizio arrecato al patrimonio altrui
mediante violazione del possesso (art. 137 CP) o mediante un inganno
astuto (art. 148 CP). Il criterio dell'esistenza di un potere di fatto
(disponibilità fattuale), determinante per distinguere l'appropriazione
indebita dalla truffa, è di rigore anche ove per l'applicazione
dell'art. 140 CP entri in considerazione la forma aggravata contemplata
nel n. 2. Una punibilità ai sensi dell'art. 140 n. 2 CP è prospettabile
soltanto allorquando l'agente appartenente alla cerchia definita nel n. 2
abbia, in virtù della situazione di fiducia in cui si trova, disposto
da solo di valori patrimoniali altrui. Allorché, per converso, si tratti
di atti punibili che sono stati possibili esclusivamente in virtù di un
inganno astuto o di una violazione del possesso altrui, la fattispecie
legale dell'art. 140 CP non è adempiuta e gli atti vanno puniti, anche
se tra il danneggiato e l'agente fosse esistita una relazione di fiducia,
a norma degli art. 148 o 137 CP, che prevedono pene più severe di quella
stabilita per l'appropriazione indebita non aggravata. In caso di esistenza
di un rapporto di fiducia, va pertanto esaminato se gli atti imputati siano
stati commessi esclusivamente grazie al potere fattuale di disposizione
su di esso fondato (cfr. DTF 109 IV 27; 106 IV 23). In quanto l'evento
dannoso sia stato possibile soltanto mediante un inganno astuto o mediante
una violazione del possesso altrui, e non perché l'agente si trovasse in un
rapporto di fiducia nel quale i poteri conferitigli non gli assicuravano
il potere di disporre dei valori patrimoniali poi sottratti, l'esistenza
di un tale rapporto non può comportare l'applicazione dell'art. 140 CP;
manca infatti l'elemento costitutivo rappresentato da un sufficiente
potere di disposizione lecito. In questo senso i valori altrui di cui
l'agente si appropria non possono essere ritenuti a lui "affidati".

    b) Tale interpretazione della nozione di appropriazione indebita
ha come conseguenza nel caso concreto, in base ai fatti accertati
dall'autorità cantonale in modo vincolante per la Corte di cassazione
del Tribunale federale, che i valori di cui A. ha illecitamente disposto
non gli erano stati affidati ai sensi dell'art. 140 CP, dato che egli
non era in grado di conseguire i trasferimenti delittuosi in virtù del
proprio rapporto di fiducia con il proprietario, valendosi dei propri
poteri. A. ha, al contrario, indotto in errore gli organi d'esecuzione
della banca servendosi di moduli bancari da lui falsamente allestiti
e simulanti ordini telefonici dei rispettivi clienti. In tal modo,
con un inganno astuto ai sensi dell'art. 148 CP, ha fatto illecitamente
trasferire a se stesso e a terzi elementi del patrimonio altrui (v. circa
la configurabilità della truffa in situazioni similari, anche NIKLAUS

SCHMID, Missbräuche im modernen Zahlungs- und Kreditverkehr, pag. 26
in alto).

    Ne discende che la sentenza impugnata non ha violato il diritto
federale.

Erwägung 2

    2.- La fondatezza di tale conclusione non può essere revocata in
dubbio per il fatto che la pena edittale prevista per la truffa semplice
ai sensi dell'art. 148 cpv. 1 CP (reclusione fino a 5 anni o detenzione)
è più mite di quella stabilita per l'appropriazione indebita aggravata
(reclusione fino a 10 anni, detenzione non inferiore a un mese). Le
pene massime comminate nel codice penale non sono state armonizzate
con particolare cura. Un raffronto tra la pena edittale dell'art. 140
n. 2 CP e quella dell'art. 148 cpv. 1 CP dimostra che nel caso concreto
atti punibili analoghi che fossero stati commessi da un amministratore
che potesse lecitamente disporre dei conti della clientela sarebbero
stati soggetti ad una pena edittale più rigorosa di quella che entrava
in considerazione per la truffa commessa da A. Tale differenza di
comminatoria, di per sé non giustificata, risulta peraltro solo ove debba
ammettersi la truffa semplice e non la truffa per mestiere (art. 148
cpv. 2 CP). Ma persino nel caso della truffa semplice sarebbe senz'altro
concepibile una pena concreta della stessa durata di quella ritenuta
adeguata dalla ricorrente e dalla prima istanza con riferimento al reato
di appropriazione indebita aggravata. La pena massima per ripetuta truffa
(non truffa per mestiere), è infatti di 7 anni e mezzo di reclusione,
ai sensi dell'art. 148 cpv. 1 in relazione con l'art. 68 n. 1 CP. Non
si giustifica quindi di derogare, in base a considerazioni sulle pene
comminate, alla distinzione tra appropriazione indebita e truffa, quale
fondata su ragioni logico-sistematiche.