Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 109 IB 317



109 Ib 317

51. Estratto della sentenza 19 agosto 1983 della I Corte di diritto
pubblico nella causa Licio Gelli c. Dipartimento federale di giustizia
e polizia (opposizione a una domanda d'estradizione) Regeste

    Auslieferung. Europäisches Auslieferungsübereinkommen (EAÜ),
Rechtshilfegesetz (IRSG).

    1. a) Begriff des Alibis gemäss Art. 53 IRSG.

    b) Abklärungen zur Kontrolle des Alibis müssen nur dann durchgeführt
werden, wenn bei positivem Ergebnis die Verweigerung der Auslieferung
oder der Rückzug des Auslieferungsgesuchs in Betracht gezogen werden kann
(E. 11b).

    2. Betrügerischer Konkurs; Grundsatz der beidseitigen Strafbarkeit.

    Im schweizerischen Recht muss die Konkurserklärung, die eine objektive
Strafbarkeitsbedingung darstellt, rechtskräftig sein. Art. 35 Abs. 2
Teil 1 IRSG, welcher die Tragweite des Grundsatzes der beidseitigen
Strafbarkeit einschränkt, erlaubt jedoch die Bejahung der Strafbarkeit
zu Auslieferungszwecken, selbst wenn die gerichtliche Insolvenzerklärung
noch nicht in Rechtskraft erwachsen ist (E. 11c/aa). Rechtslage nach
italienischem Recht (E. 11c/bb).

    3. Verfolgbarkeit der Straftat in der Schweiz.

    Anwendbarkeit des Art. 36 Abs. 2 IRSG auf den wegen mehrerer Straftaten
Verfolgten, von denen eine die Auslieferung begründet (E. 11f).

    4. Spezialitätsprinzip.

    a) Das in Art. 14 Ziff. 1 EAÜ enthaltene Verbot hat seine Grundlage
und zugleich seine Beschränkung im Persönlichkeitseingriff, den die in
dieser Bestimmung vorgesehenen Zwangsmassnahmen bewirken: im Gegensatz
zum kontradiktorischen Verfahren ist daher die Durchführung eines
Abwesenheitsverfahrens zulässig (E. 13).

    b) Art. 14 Ziff. 1 EAÜ verbietet die Ausübung richterlicher Gewalt -
mit Ausnahme der Durchführung von Abwesenheitsverfahren (Ziff. 2) - in
bezug auf Taten, für welche die Auslieferung nicht gewährt wurde, auch
wenn im ersuchenden Staat, noch bevor das Auslieferungsgesuch gestellt
wurde, für diese ein Strafverfahren eingeleitet worden war (E. 14).

    c) Der Spezialitätsgrundsatz verbietet auch Zwangsmassnahmen
verwaltungsrechtlicher Natur mit Bezug auf andere von der Auslieferung
nicht erfasste frühere Taten (im konkreten Fall hinsichtlich der vom
Verfolgten vor der Parlamentarischen Kommission gemachten Ausführungen über
die Freimaurer Loge P2, die seit dem 23. September 1981 in Italien besteht)
(E. 15a).

    d) Gemäss Art. 14 Ziff. 1 lit. b EAÜ muss der endgültig freigelassene
Ausgelieferte nicht nur theoretisch sondern auch praktisch die Möglichkeit
gehabt haben, das Gebiet des ersuchenden Staates zu verlassen; diese ist
nicht gegeben bei Krankheit und Mangel an finanziellen Mitteln (E. 15b).

    5. Begriff der mit einer politischen Straftat konnexen Tat und des
relativ politischen Delikts.

    Verhältnisse im konkreten Fall (E. 16b).

    6. Verweigerung der Auslieferung gemäss Art. 3 Ziff. 2 EAÜ.

    Verhältnisse im konkreten Fall (E. 16c).

Sachverhalt

    A.- Licio Gelli, cittadino italiano nato a Pistoia il 21 aprile
1919, fu fermato a Ginevra il 13 settembre 1982 in possesso di documenti
d'identità falsi e posto in detenzione provvisoria a fine d'estradizione
per ordine dell'Ufficio federale di polizia (UFP), emesso a richiesta
dell'Interpol di Roma. L'Ambasciata d'Italia a Berna ha chiesto la sua
estradizione con nota del 22 settembre 1982. La domanda si fonda su tre
mandati di cattura del Giudice istruttore presso il Tribunale di Roma,
Dott. Ernesto Cudillo, emanati il 20 gennaio 1982 (n. 1575/81A R.G.P.M
e n. 6571/81C R.G.I), l'11 giugno 1982 e il 15 settembre 1982 (entrambi
n. 7888/81A R.G.P.M e 1575/81A R.G.I), nonché su un ordine di cattura
(n. 7177/82A R.G.P.M) emesso il 17 settembre 1982 dai Sostituti Procuratori
della Repubblica di Milano, Dott. Marra, Fenizia e Dell'Osso. Della serie
di imputazioni, talune delle quali nel frattempo decadute, si dirà in
seguito. La domanda d'estradizione era corredata di una relazione sui fatti
del Giudice istruttore di Roma del 17 settembre 1982 e di una nota con
documenti della Procura della Repubblica di Milano del 20 settembre 1982.

    Gelli si opponeva all'estradizione. I suoi difensori presentavano
il 7 febbraio 1983 un voluminoso memoriale, completato con una perizia
giuridica 14 febbraio 1983 del prof. Pietro Nuvolone e con un ulteriore
esposto del 22 marzo 1983 accompagnante una relazione 1o marzo 1983
dell'avv. Massimo Krogh e del prof. Fabio Dean sulla giurisprudenza
italiana circa il principio di specialità.

    L'UFP presentava il 3 marzo 1983 al Ministero italiano di grazia e
giustizia domande di informazioni supplementari, che venivano fornite con
ulteriore documentazione presentata con note dell'Ambasciata d'Italia a
Berna dell'11 e del 19 marzo 1983. Il 16 aprile 1983 il Giudice istruttore
presso il Tribunale civile e penale di Milano faceva pervenire all'UFP
una comunicazione relativa agli sviluppi dell'inchiesta, da considerare -
a mente dell'UFP - come complemento alla domanda d'estradizione; dal canto
suo l'Ambasciata d'Italia forniva con nota 27 aprile 1983 un'assicurazione
del Ministero di grazia e giustizia circa l'ossequio del principio di
specialità.

    Il 27 aprile 1983 i difensori del ricercato prendevano posizione
sul complemento d'informazioni fornito dall'Ambasciata l'11 marzo. Su
richiesta telescritta del 13 maggio 1983 dell'UFP, il Ministero di grazia
e giustizia comunicava il 16 maggio che con sentenza 17 marzo 1983 il
Giudice istruttore di Roma, Dott. Cudillo, aveva dichiarato non doversi
procedere per intervenuta amnistia in relazione a talune imputazioni poste
alla base della domanda d'estradizione, di cui si dirà ancora. Alla stessa
data perveniva all'UFP un esposto 10 maggio 1983 del Giudice istruttore
presso il Tribunale di Milano, Dott. Antonio Pizzo, sulla regola della
specialità. L'UFP acquisiva agli atti un decreto di sequestro emesso il 16
maggio 1983 dal Procuratore pubblico della giurisdizione sottocenerina in
Lugano, avv. Paolo Bernasconi, concernente gli averi bancari del ricercato,
nonché fotocopie di una lettera 30 ottobre 1978 della Rizzoli Editore
S.p.A in Milano a Gelli e di deposizioni rese ai magistrati italiani da
Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. I difensori del ricercato facevano
pervenire all'UFP una memoria completiva d'opposizione di data 3 giugno
1983; anche di questo allegato si dirà in seguito.

    Con lettera del 23 giugno 1983 il Dipartimento federale di giustizia
e polizia trasmetteva gli atti al Tribunale federale, annettendovi due
rapporti dell'UFP di data 25 maggio 1983 e 20 giugno 1983, nonché un
esposto 21 giugno 1983 del Ministero pubblico della Confederazione. Mentre
l'UFP propone di accordare l'estradizione almeno per i fatti motivanti
le accuse di truffa e partecipazione a bancarotta fraudolenta, su cui si
tornerà in appresso, il Ministero pubblico della Confederazione conclude
a che la domanda d'estradizione sia respinta per i fatti motivanti
imputazioni per reati di natura politica assoluta e che sia, per il resto,
disattesa l'eccezione sollevata dall'opponente con riguardo all'art. 3
par. 2 della Convenzione europea d'estradizione (CEEstr).

    Con decreto 28 giugno 1983 del Giudice delegato, è stata data
ai difensori del ricercato la facoltà di esprimersi sul rapporto
dell'UFP e sull'esposto del Ministero pubblico federale. Con un secondo
memoriale aggiuntivo del 25 luglio 1983 i difensori hanno fatto uso di
questa facoltà. Essi concludono in linea principale all'accoglimento
dell'opposizione ed al rifiuto della estradizione. Eventualmente essi
prospettano che ogni decisione sia sospesa sino a quando siano verificate
una serie di condizioni, sulle quali si tornerà, se necessario, in seguito.

Auszug aus den Erwägungen:

                  Considerando in diritto:

Erwägung 10

    10.- a) L'ordine di cattura della Procura della Repubblica di Milano
del 17 settembre 1982 ascrive a Gelli di aver partecipato (art. 110 CPI)
a fatti di bancarotta fraudolenta aggravata (art. 223 cpv. 1 e cpv. 2 n. 2
in relazione con gli art. 216 e 219 della cosiddetta legge fallimentare,
Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) commessi, insieme con altri, dal
defunto Roberto Calvi, già presidente e amministratore delegato del Banco
Ambrosiano S.p.A., istituto posto in liquidazione coatta amministrativa
con decreto del Ministro del tesoro del 6 agosto 1982 e dichiarato in
stato d'insolvenza (art. 195, 202, 203 legge fallimentare) con sentenza
del Tribunale civile di Milano del 25 agosto 1982. Secondo la motivazione
dell'ordine di cattura e la relazione sui fatti che l'accompagna, Calvi,
nella sua duplice qualità di Presidente del Banco Ambrosiano S.p.A. di
Milano e del Banco Ambrosiano Holding Lussemburgo, società appartenente
all'istituto bancario milanese, avrebbe disposto che il Banco Ambrosiano
Overseas Limited di Nassau, l'Ambrosiano Group Banco Comercial S.A. di
Managua o il Banco Ambrosiano Andino di Lima - istituti dominati dalla
citata Holding lussemburghese e costituenti di fatto filiali del Banco
Ambrosiano - effettuassero accrediti per una somma complessiva di circa
70 milioni di dollari USA presso banche svizzere, segnatamente l'UBS di
Ginevra, su conti di cui disponevano Gelli o persone o enti a lui facenti
capo. Secondo la tesi accusatoria, il Banco Ambrosiano di Milano, l'Holding
lussemburghese e gli istituti Americani debbono esser economicamente
considerati come una sola entità, formante un unico complesso patrimoniale;
le erogazioni, per le loro modalità, la mancanza di controprestazioni
effettive, l'assenza di garanzie concrete e i rapporti fra le parti,
sarebbero ispirate ad un intento di mera distrazione e non potrebbero
costituire espressione di lecita ed usuale attività creditizia. Secondo
l'ordine di cattura, le predette operazioni sarebbero state effettuate
nel primo semestre del 1982.

    Con comunicazione del 16 aprile 1983 all'UFP, considerata da
quest'ultimo come un complemento alla domanda d'estradizione, il Giudice
istruttore del Tribunale civile e penale di Milano comunicava che ulteriori
indagini avevano permesso di accertare che, nella primavera del 1981,
il Banco Ambrosiano Andino, tramite il Banco Ambrosiano Overseas Limited
di Nassau, avendo ricevuto la provvista dal Banco Ambrosiano S.p.A. in
Milano, dalla Banca Cattolica del Veneto e dal Credito Varesino, aveva
concesso un prestito di 95 milioni di dollari USA per la durata di un
anno alla Società Bellatrix S.A. di Panama, importo da questa trasferito
presso la Rothschild Bank di Zurigo, con ordine di accredito a favore
della Zirka Corporation. Dai conti della Zirka Corporation, importi di 7
e 14 milioni di dollari sarebbero stati trasferiti il 4 maggio 1981 su
un conto "Mazut 66" presso l'UBS di Ginevra, seguiti il 13 maggio 1981
da altri due milioni di dollari; a quelle stesse due date importi di 7
milioni, rispettivamente 1,5 milioni di dollari USA sarebbero dal conto
"Mazut 66" affluiti su un conto 525779-X1 di pertinenza di Licio Gelli.

    b) Nell'opposizione del 7 febbraio 1983 il ricercato obietta in
sostanza che le cause del dissesto del Banco Ambrosiano S.p.A. (da
individuare a suo dire nei rapporti di questo con l'Istituto per le
opere di religione e nell'acquisto illecito di proprie azioni) sono
estranee sia alla persona di Gelli sia ai fatti rimproveratigli; che i
fatti addotti nell'ordine di cattura e relativi al 1o semestre 1982 sono
falsi, com'è comprovato dalle indagini esperite a Ginevra a richiesta
della Procura pubblica di Lugano; che all'estradizione fanno ostacolo
il principio di territorialità e la circostanza che un'inchiesta penale
è stata aperta dalle autorità giudiziarie ticinesi; che fa difetto la
condizione obiettiva di punibilità del reato di bancarotta costituita
dalla pronunzia del fallimento, poiché contro il giudizio del Tribunale
civile di Milano constatante l'insolvenza del Banco Ambrosiano taluni
creditori e azionisti hanno interposto appello, e la decisione del Ministro
italiano del tesoro ordinante la liquidazione coatta amministrativa
è stata impugnata con ricorso al Tribunale amministrativo regionale;
che, sempre sotto il profilo della doppia incriminazione, non è neppure
preteso nella domanda che il ricercato - che non era amministratore -
abbia conosciuto l'insolvibilità o cercato di trarne profitto.

    Nel parere giuridico del prof. Nuvolone si confermano queste obiezioni,
e si allega inoltre che le pretese distrazioni patrimoniali sarebbero state
commesse secondo l'ordine di cattura su beni di persone giuridiche estere
del tutto distinte dal Banco Ambrosiano, il che esclude la configurazione
di bancarotta fraudolenta; oltretutto l'azione - dal prelevamento al
versamento - sarebbe interamente stata commessa in territorio estero
rispetto all'Italia, ciò che esclude la competenza della giurisdizione
italiana secondo l'art. 7 CPI.

    Nella memoria complementare del 3 giugno 1983 questi argomenti sono
ribaditi. Vi si sottolinea in particolare che si giustifica in casu di
derogare alla regola per cui il giudice dell'estradizione non esamina la
colpevolezza, dal momento che si tratta di verificare un alibi invocato
dal ricercato. Circa il complemento fornito dall'autorità giudiziaria
italiana il 16 aprile 1983, l'opponente dichiara di ignorare i fatti
relativi alla Bellatrix S.A., al prestito ricevuto da quest'ultima, ai
versamenti alla Zirka Corporation ed agli accrediti al conto "Mazut 66"
presso l'UBS di Ginevra e rileva che neppure l'autorità italiana pretende
che egli li conoscesse: ammette per contro di aver ricevuto i versamenti
di 7 e 1,5 milioni di dollari del 4 e del 13 maggio 1981, accreditati
sul suo conto per motivi affatto legittimi, che sono stati esposti ai
magistrati che hanno condotto l'inchiesta esperita nel Ticino e a Ginevra.

    Anche nella seconda memoria complementare del 25 luglio 1983
gli argomenti dell'opposizione sono ulteriormente sviluppati. Vi si
sottolinea in particolare che base della richiesta d'estradizione italiana
è unicamente l'ordine di cattura del 17 settembre 1982, i cui addebiti
si sono rivelati falsi, e non invece il decreto di sequestro 16 maggio
1983 del Procuratore pubblico sottocenerino e nemmeno - contrariamente
all'opinione dell'UFP - la lettera 16 aprile 1983 del Giudice istruttore
presso il Tribunale di Milano, che non costituisce ordine d'arresto e non
ossequia agli altri requisiti dell'art. 12 CEEstr. A voler prescindere
da questa obiezione fondamentale, l'estradizione non entrerebbe comunque
in linea di conto - secondo l'opponente - per motivi analoghi a quelli
fatti valere contro l'ordine di cattura del 17 settembre 1982.

Erwägung 11

    11.- L'ordine di cattura e l'opposizione del ricercato inducono alle
considerazioni seguenti:

    a) L'esame deve limitarsi ai fatti ascritti a Gelli nell'ordine
di cattura del 17 settembre 1982. Gli ulteriori fatti menzionati nella
comunicazione 16 aprile 1983 del Giudice istruttore di Milano non hanno da
esser considerati, poiché non coperti dall'ordine di cattura che abbraccia
il 1o semestre del 1982. V'è ancor minor motivo di occuparsene, dal momento
che essi formano oggetto di una supplementare domanda d'estradizione.

    b) Come già s'è rilevato (consid. 7c), quale giudice dell'estradizione,
il Tribunale federale è legato all'esposto dei fatti contenuto
nei documenti su cui la domanda si fonda: spetta al giudice del
merito di pronunciarsi sulla loro sussistenza e la colpevolezza
dell'estradato. Eccezioni a questo principio possono farsi solo se i fatti
invocati sono manifestamente inesistenti o se i documenti della richiesta
sono inficiati da lacune, contraddizioni o errori evidenti. Ciò non è il
caso. Né mette conto che il Tribunale federale richiami - oltre quelli
acquisiti all'incarto dall'UFP - ulteriori atti dalla Procura pubblica
sottocenerina. Giova comunque rilevare che, contrariamente a quanto
sembra ritenere l'opponente, non si tratta di verificare un alibi ai sensi
dell'art. 53 AIMP: come risulta chiaramente dai testi tedesco e italiano
della legge, il termine di "alibi" dev'esser inteso nel suo senso classico,
cioè nel senso di prova che, al momento del fatto, la persona perseguita
non si trovava - contrariamente a quanto esplicitamente o implicitamente
assumerebbe la domanda d'estradizione - nel luogo di commissione del
reato. La portata dell'innovazione introdotta dall'art. 53 AIMP -
contrariamente a quanto sottintende l'opponente - non può venir estesa
a qualsiasi prova a discarico che invocasse la persona ricercata. Non
compete pertanto al giudice dell'estradizione di esperire indagini al fine
di stabilire se si possa escludere che, nel periodo oggetto dell'ordine
di cattura, siano effettivamente pervenuti al ricercato, direttamente
o indirettamente, fondi provenienti dalle consociate americane del
Banco Ambrosiano S.p.A. Giova inoltre aggiungere - e questo tanto con
riferimento all'alibi quanto più genericamente in relazione alla prova
(immediata) dell'innocenza - che l'esecuzione di verifiche a tal riguardo
da parte del giudice dell'estradizione ha senso di regola solo se in caso
positivo ci si possa ripromettere di giungere al rifiuto dell'estradizione
ed alla liberazione dell'innocente o quantomeno all'abbandono della
domanda d'estradizione (cfr. art. 53 cpv. 2 AIMP). Se - come in casu -
l'estradizione entra comunque in linea di conto per altre imputazioni,
tale verifica può esser lasciata, col tema generale della colpevolezza, al
giudice del merito: in simile evenienza, viene infatti a mancare la ragione
profonda che giustifica di derogare al principio per cui le risultanze
del mandato di cattura vincolano il giudice dell'estradizione, e che è
quella di risparmiare all'innocente i rigori della procedura (cfr. DTF
109 Ib 63/64 consid. 5a e la dottrina ivi citata, 95 I 467 consid. 5).

    c) Più delicata è l'eccezione dedotta dalla circostanza che la
sentenza del Tribunale civile di Milano del 25 agosto 1982 accertante
l'insolvenza del Banco Ambrosiano è stata impugnata in sede civile,
per cui non è tuttora passata in giudicato. L'esame deve farsi sotto
il duplice profilo del diritto svizzero e di quello italiano. Esso non
consente di negare l'estradizione.

    aa) Alle ipotesi di reato di cui agli art. 216 e 223 della legge
fallimentare italiana fa riscontro nel diritto svizzero il reato di
bancarotta fraudolenta previsto dall'art. 163 CPS. In diritto svizzero,
la pronunzia del fallimento è condizione obiettiva di punibilità (DTF 101
IV 22 consid. 2a, 84 IV 15/16; STRATENWERTH, op.cit., Besonderer Teil
I, pag. 286; SCHWANDER, Das Schweizerische Strafgesetzbuch, II ediz.,
pag. 373 n. 583a, e FJS n. 1128, § 8 n. 1/2; LOGOZ, Commentaire du Code
pénal suisse, Partie spéciale I, pag. 206 n. 4; NOLL, Schweizerisches
Strafrecht, Besonderer Teil I, pag. 176). Come si evince dalla seconda
delle due sentenze appena citate ed è ammesso in dottrina (SCHWANDER,
op.cit., ibidem), la dichiarazione di fallimento deve aver forza di
cosa giudicata: la provvisoria esecutività non basta per l'esercizio
dell'azione penale ed un'eventuale condanna. Sotto il regime della
cessata legge, la riferita circostanza avrebbe quindi fatto ostacolo
all'estradizione (cfr. SCHULTZ, Das Schweizerische Auslieferungsrecht,
pag. 335 e nota 136; cfr. inoltre, in materia d'assistenza giudiziaria
penale, DTF 106 Ib 267 nonché, in materia d'estradizione, la sentenza
inedita del 23 gennaio 1981 in re Bon, consid. 3a). Giusta l'art. 35
cpv. 2, prima frase AIMP, la punibilità secondo il diritto svizzero
deve però esser determinata "senza tener conto delle particolari forme
di colpa e condizioni di punibilità da questo previste". A proposito di
questo capoverso dell'art. 35 (corrispondente all'art. 31 del progetto) il
messaggio del Consiglio federale dell'8 marzo 1976 annovera fra gli esempi
di condizioni di punibilità proprio la dichiarazione di fallimento ed il
pignoramento infruttuoso (FF 1976 II pag. 461 n. 322). Ne viene che non si
può negare la punibilità secondo il diritto svizzero perché la declaratoria
giudiziaria d'insolvenza non è passata in giudicato: il legislatore ha
appunto inteso restringere, a tal riguardo, la portata del principio
della doppia incriminazione che l'art. 35 cpv. 2 tacitamente sottintende
(SCHULTZ, Das neue Schweizer Recht der internationalen Zusammenarbeit
in Strafsachen, SJZ (RSJ) 77/1981, pag. 95). La punibilità secondo il
diritto svizzero deve quindi essere ammessa.

    bb) Nel diritto italiano, le opinioni della dottrina circa la
qualifica da attribuire alla dichiarazione di fallimento, rispettivamente
all'accertamento dell'insolvenza, sono divise (cfr. ANTOLISEI,
op.cit., leggi complementari, III ediz., pag. 29 segg. e gli autori ivi
citati). La Corte di cassazione considera la dichiarazione di fallimento
un elemento costitutivo del reato (e non una mera condizione obiettiva
di punibilità), la cui pronuncia determina il momento consumativo
(cfr. Cassazione 30 marzo 1978, Conca, in Repertorio del Foro italiano
1978, voce "Bancarotta", n. 7 per molti; ANTOLISEI, op.cit., leggi
complementari, pag. 146 e nota 16). A parte queste divergenze che
potrebbero per avventura avere in parte solo portata terminologica, è
determinante che giusta l'art. 238 della legge fallimentare, l'azione
penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa
di fallimento o dell'accertamento giudiziario dello stato d'insolvenza e
che essa può esserlo anche prima in casi in cui concorrano gravi motivi
e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere
la dichiarazione suddetta. D'altra parte, secondo la giurisprudenza,
il processo per bancarotta deve esser sospeso obbligatoriamente in caso
di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, solo se tale
questione pregiudiziale sia ritenuta seria e cioè apparentemente fondata
dal giudice penale (Cassazione 25 gennaio 1978, Segattini, in Repertorio
del Foro italiano 1978, voce "Bancarotta", n. 12). In dottrina, si rileva
che l'apprezzamento della serietà dell'opposizione consente al magistrato
inquirente una sia pur limitata discrezionalità nel determinare il momento
della sospensione, consentendogli così di ovviare, sia pure soltanto in
parte, agli inconvenienti collegati ad opposizioni meramente dilatorie,
proposte al solo scopo di allontanare i rigori della persecuzione penale o
di ostacolare gli atti istruttori (ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari,
pag. 232/35). In simili circostanze, si deve concludere che nel diritto
italiano non è necessario per l'azione penale che la sentenza accertante
l'insolvenza, provvisoriamente esecutiva, sia passata in giudicato: ne
viene che il requisito della punibilità secondo il diritto italiano deve
considerarsi adempiuto, e che l'estradizione non può esser rifiutata per
il predetto motivo. Spetterà eventualmente alla magistratura italiana
sospendere il procedimento.

    d) Che le distrazioni ritenute nell'ordine di cattura non siano
state causali del dissesto del Banco Ambrosiano, come argomenta il
ricercato, potrebbe tutt'al più esser di rilievo per l'imputazione
riferita all'art. 223 cpv. 2 n. 2 della legge fallimentare, secondo
cui agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori si
applicano le pene previste dal primo capoverso dell'art. 216 se "hanno
cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento
della società". Questa fattispecie di reato, infatti, si distingue da
tutte le altre ipotesi di bancarotta poiché in essa il fallimento (inteso
qui come dissesto in senso materiale) non è condizione di punibilità né
presupposto, ma evento del reato, cioè conseguenza del comportamento del
soggetto (ANTOLISEI, op.cit., leggi complementari, pagg. 122/23). La
circostanza, tuttavia, non esige d'esser approfondita ulteriormente dal
giudice dell'estradizione: basti rilevare che al ricercato è ascritta
anche la partecipazione al reato previsto dall'art. 223 cpv. 1 della legge
fallimentare, per il quale - analogamente a quanto accade per l'art. 163
CPS - non è richiesto che l'azione in danno dei creditori sia la causale
del fallimento (ANTOLISEI, loc.cit. e pag. 116 segg.; STRATENWERTH,
op.cit., Besonderer Teil I, pag. 286; LOGOZ, op.cit., pag. 206 n. 4;
DTF 102 IV 23 consid. 4).

    e) L'eccezione tratta dal preteso difetto di giurisdizione italiana
(art. 7 CPI) non può esser ammessa. È infatti mera affermazione del
ricercato quella per cui i fatti che stanno alla base del mandato
di cattura si sarebbero svolti interamente fuori del territorio
italiano. Secondo la documentazione annessa alla domanda, infatti,
decisioni determinanti sarebbero state prese a Milano. È quindi superfluo
esaminare se l'estradizione potrebbe essere rifiutata in applicazione del
principio della doppia incriminazione oppure dell'art. 7 par. 2 CEEstr.

    f) Non v'è neppure ragione di rifiutare l'estradizione poiché i fatti
addebitati al ricercato in relazione con il Banco Ambrosiano S.p.A. si sono
svolti parzialmente in Svizzera, onde il ricercato potrebbe soggiacere alla
giurisdizione svizzera (art. 35 cpv. 1 AIMP) per un'eventuale ricettazione
ivi commessa.

    Giusta l'art. 7 cpv. 1 CEEstr, che è applicabile, dopo il ritiro della
riserva inizialmente espressa dalla Svizzera, in tutta la sua estensione,
il rifiuto dell'estradizione costituisce una mera facoltà della Parte
richiesta. In virtù dell'art. 36 cpv. 2, che deroga all'art. 35 cpv. 1
lett. b AIMP, se al ricercato sono ascritti, - come in casu - parecchi
reati, di cui uno motivante l'estradizione, questa è ammissibile per
tutti. Non v'è nessun motivo per non applicare l'art. 36 cpv. 2, dal
momento che le infrazioni di cui si tratta hanno indubbiamente il loro
centro di gravità in Italia, che è opportuno che un unico procedimento
penale venga istaurato e che infine - checché ne dica l'opponente - per
una tale soluzione depongono anche la cittadinanza del ricercato, la sua
residenza abituale ed i legami socio-culturali (cfr. sentenza 2 marzo 1983
in re Federici, consid. 5c non apparso in DTF 109 Ib 60 segg.). Identiche
considerazioni come per l'art. 7 CEEstr valgono a proposito dell'art. 8,
con il rilievo che comunque - come risulta dal decreto di sequestro del
16 maggio 1983 del Procuratore pubblico sottocenerino - non è sinora
stata promossa accusa in Svizzera.

    A queste considerazioni si aggiunga che, già prima del ritiro
delle riserve concernenti gli art. 7 e 8 CEEstr, la giurisprudenza
aveva stabilito che il principio di territorialità deve cedere il passo
all'esigenza di una efficace persecuzione del reato, allorquando per la
difficoltà iniziale di qualificare il reato si correrebbe altrimenti il
rischio di lasciarlo impunito per difetto di giurisdizione dello Stato
richiesto (DTF 101 Ia 598 segg. consid. 6). Giova da ultimo osservare che
l'estradizione avrebbe anche in codesto punto potuto e, per gli stessi
motivi, dovuto esser accordata anche sotto il diritto vigente anteriormente
al 1o gennaio 1983, poiché l'estradizione accessoria per reati perpetrati
(anche) in Svizzera era possibile in virtù della dichiarazione fatta
dalla Svizzera (cfr. DF del 27 settembre 1966 in RU 1967 pag. 839, 841):
la situazione del ricercato, quindi, non ha patito peggioramento.

    g) Tutte le altre obiezioni dell'opponente contro l'ordine di cattura
del 17 settembre 1982 si risolvono in definitiva in una contestazione
di colpevolezza, ed esorbitano chiaramente dal quadro dell'indagine che
può esser domandata al giudice dell'estradizione, segnatamente quando si
tratta - come in casu - di complesse operazioni economiche e finanziarie:
esse debbono esser riservate al giudice italiano del merito.

Erwägung 12

    12.- Riassumendo, le condizioni convenzionali dell'estradizione
risultano quindi adempiute in linea di principio per i fatti che motivano
le quattro imputazioni di calunnia (denuncia mendace; mandato del 20
gennaio 1982, lett. g), truffa (affare Savoia Assicurazioni; mandato
dell'11 giugno 1982), millantato credito (mandato del 15 settembre 1982,
capo d'imputazione 3) e concorso in bancarotta fraudolenta (ordine di
cattura del 17 settembre 1982).

    Ciò posto, restano tuttavia ancora da esaminare le ulteriori obiezioni
sollevate dall'opponente. Tra queste primeggia quella dedotta dal principio
della specialità dell'estradizione. Poiché - nella formulazione che le
vien data dalla difesa dell'opponente - tale obiezione è indipendente da
quelle sollevate con riferimento all'affermato carattere politico delle
imputazioni (art. 3 par. 1 CEEstr), rispettivamente da quelle dedotte
dall'art. 3 par. 2 CEEstr e dall'art. 6 CEDU, e poiché essa potrebbe
esser proposta, come resta da vedere, contro ogni domanda d'estradizione
presentata dalla Repubblica Italiana, conviene esaminarla per prima.

Erwägung 13

    13.- a) Al problema della specialità sono dedicate diffuse
allegazioni nella memoria d'opposizione del 7 febbraio 1983, nei
pareri del prof. Nuvolone e degli avv. Dean e Krogh e nelle due memorie
complementari del 3 giugno e del 25 luglio 1983. L'opponente asserisce che
la magistratura italiana ha della specialità una nozione inammissibile,
contraria all'art. 14 CEEstr, e che svuota tale principio di ogni portata
pratica, nella misura in cui la giurisprudenza della Corte di cassazione
ritiene in sostanza ch'esso non impedisce il giudizio per un altro
reato, diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa ed
anteriore, purché tale giudizio non comporti restrizione della libertà
personale dell'imputato (sentenze 1o marzo 1973, Cuci, in Giustizia penale
1975 III pag. 102/3, con espresso riferimento alla CEEstr; 6 luglio 1976,
Prampolini, in Giustizia penale 1977 III pagg. 10/11; 11 luglio 1977,
Lanza, in Giustizia penale 1978 III pag. 319, con riferimento al mandato
di cattura).

    b) Alla base di tutta l'argomentazione dell'opponente è la tesi per
cui la regola della specialità, sino al momento in cui cessa d'essere
applicabile, paralizzerebbe in modo assoluto qualsiasi esercizio dei
poteri giurisdizionali della Parte richiedente nei confronti della persona
consegnata per ogni fatto anteriore alla consegna, che non sia quello
che ha motivato l'estradizione. Come i patroni dell'opponente scrivono,
citando GIAN DOMENICO PISAPIA (L'estradizione nell'ordinamento giuridico
italiano: aspetti sostanziali, in Estradizione e spazio giuridico europeo,
pubblicazione del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 1981,
pag. 49 segg., 54), il principio della specialità, una volta accolto,
dovrebbe costituire "un vero e proprio sbarramento, che priva l'autorità
giudiziaria italiana di ogni potere in ordine ai reati che non siano
espressamente compresi nel provvedimento di estradizione". Sennonché
non è manifestamente questa la nozione di specialità consacrata dalla
Convenzione europea.

    Già dall'art. 14 par. 1 CEEstr si desume che il divieto di perseguire,
giudicare e detenere in vista dell'esecuzione di una pena o di una misura
di sicurezza per fatti anteriori alla consegna, che non siano quelli che
hanno motivato l'estradizione, ha il suo fondamento ma nel contempo il
suo limite nella coercizione personale che tali provvedimenti implicano:
ciò si evince dal fatto che - giustamente - a tali garanzie si aggiunge
quella per cui l'individuo consegnato non sarà "soumis à toute autre
restriction de sa liberté individuelle", senza la quale le prime potrebbero
esser maliziosamente vanificate. Qualsiasi esitazione in proposito è
poi fugata dal successivo paragrafo 2, in virtù del quale, "toutefois,
la Partie requérante pourra prendre les mesures nécessaires en vue d'une
part du renvoi éventuel du territoire, d'autre part d'une interruption
de la prescription conformément à sa législation, y compris le recours
à une procédure par défaut". Il "Rapport explicatif", edito nel 1969 dal
Consiglio d'Europa e che ha per oggetto di esporre le considerazioni di
base che hanno ispirato il testo definitivo della Convenzione, dice al
proposito testualmente (pag. 23):

    "Le paragraphe 2 permet à la Partie requérante de prendre les mesures
   indispensables pour interrompre la prescription. En effet, les experts
   ont reconnu qu'il fallait autoriser ces mesures puisqu'un Etat aurait
   pu les prendre si l'individu inculpé n'avait pas été extradé. En vertu
   de ce paragraphe, la Partie requérante pourra par exemple juger par
   défaut un individu extradé pour une infraction autre que celle ayant
   motivé l'extradition. Toutefois, dans ce cas, l'extradé ne pourra
   pas être détenu pour une telle infraction sans le consentement de la
   Partie requise."

    La soluzione adottata dalla Convenzione europea - che esclude
la possibilità di un procedimento contraddittorio ma non quello di un
procedimento contumaciale - è d'altronde conforme all'opinione dominante
in dottrina (SCHULTZ, Das Schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 364
e nota 36, pag. 369; HSU CHAO CHING, Du principe de la spécialité en
matière d'extradition, tesi Neuchâtel 1950, pag. 61 segg. e gli autori
citati; sulla conformità in particolare dell'art. 14 par. 2 CEEstr alla
dottrina tradizionale, cfr. SCHULTZ, Les principes du droit d'extradition
traditionnel, in Aspects juridiques de l'extradition entre Etats européens,
edito dal Consiglio d'Europa, 1970, pag. 7 segg., in part. 21 n. 6). Nella
dottrina italiana lo stesso TULLIO DELOGU, richiamato dall'opponente,
sottolinea tra l'altro con preciso riferimento all'art. 14 CEEstr, che
sugli effetti processuali del principio di specialità esiste un accordo
quasi inconsueto e che si riconosce unanimamente "che il diritto dello
Stato richiesto a veder osservata la clausola di specialità non può
arrivare a spogliare lo Stato richiedente anche dei poteri che a lui
competerebbero se non avesse richiesto l'estradizione, o questa gli fosse
stata negata; in particolare, del potere di instaurare un procedimento
contumaciale a carico del reo rifugiatosi all'estero. Il che significa
che, sul terreno delle limitazioni processuali, il contenuto della
clausola si esaurisce nel divieto di sottoporre l'estradato ad ogni e
qualunque forma di coercizione processuale ai fini dell'accertamento
e della esecuzione di una pretesa punitiva fondata su fatti diversi da
quelli che hanno motivato l'estradizione; e perciò i soli atti che possono
essere compiuti a questo fine sono esclusivamente quelli che non richiedono
la presenza dell'imputato" (Clausola di specialità della estradizione e
potere giurisdizionale dello Stato richiedente, in Rivista italiana di
diritto e procedura penale 1980, pag. 510 segg., in part. 518/19).

    Nella misura in cui l'opponente critica la giurisprudenza della Corte
di cassazione italiana, che è conforme a codesta dottrina, per dedurre
che la Parte richiedente non si conformerebbe al dettato dell'art. 14
CEEstr, la sua censura è manifestamente infondata. A questo proposito non
si pone pertanto neppure il problema (sul quale si tornerà) di sapere se
e in qual misura il giudice dell'estradizione, nell'esame della domanda,
possa tener conto di una prassi dello Stato richiedente che fosse contraria
agli impegni convenzionali.

Erwägung 14

    14.- a) Sempre in tema di specialità, il ricercato adduce tuttavia
anche che, in virtù di una sentenza 2 luglio 1976 della Cassazione penale,
sezione II, in re Salutini (Rivista italiana di diritto e procedura penale
1980, pag. 492 segg.), confermante la precedente pronunzia dell'11 aprile
1973 in re Mangiavillano, il principio della specialità non è ritenuto
applicabile nell'ipotesi in cui l'Italia, ancor prima di richiedere
l'estradizione di un imputato di un reato commesso in Italia, lo abbia
già sottoposto a procedimento penale in Italia: in tale ipotesi infatti,
secondo la citata giurisprudenza, "ancorché prosegua dopo l'estradizione
dell'imputato, concessa in virtù della sua eventuale responsabilità
per un successivo reato, il procedimento ha avuto rituale inizio prima
dell'estradizione e quindi indipendentemente da essa".

    A giusta ragione l'opponente afferma che tale opinione è
insostenibile. Essa si pone non solo in contrasto con la nozione
di specialità qual è ammessa dalla dottrina unanime, ma anche - se
riferita alla Convenzione europea d'estradizione qui applicabile - con il
tenore letterale chiaro ed esplicito dell'art. 14 par. 1, che vieta ogni
procedimento contraddittorio e ogni restrizione della libertà individuale
"pour un fait quelconque antérieur à la remise", diverso da quello
motivante l'estradizione, senza eccezione alcuna e con la sola riserva
del mutamento di qualificazione a termini del paragrafo 3 dello stesso
disposto. Il fatto che anteriormente alla consegna, per altro fatto,
una procedura sia stata aperta nello Stato richiedente è assolutamente
indifferente: una tale procedura non può esser continuata - se lo Stato
richiedente non chiede ed ottiene un complemento d'estradizione - che come
procedura contumaciale ai sensi dell'art. 14 par. 2 CEEstr. Vivacemente
e giustamente dette sentenze sono state d'altronde criticate nel citato
saggio di TULLIO DELOGU, con ampi riferimenti alla dottrina internazionale
e segnatamente a SCHULTZ.

    b) Nella sentenza inedita Rieble dell'11 luglio 1980 e nella già citata
sentenza Bon del 23 gennaio 1981, il Tribunale federale ha esaminato
il problema di sapere in quale misura una precedente violazione di una
convenzione da parte di uno Stato contraente consenta alla Svizzera
di rifiutare vuoi l'estradizione, vuoi la concessione dell'assistenza
giudiziaria in senso lato. Esso ha considerato che non v'è motivo di
rifiutare l'estradizione allorquando non v'è ragione di pensare che,
nel caso particolare, lo Stato richiedente non rispetterà i suoi impegni
internazionali ed ha addotto che da una passata infrazione di un trattato
non è consentito di trarre una simile deduzione. In uno dei due casi
citati, il Tribunale federale ha tuttavia ritenuto opportuno di segnalare
all'autorità esecutiva la verosimile inosservanza di una convenzione
invocata dall'opponente.

    c) I principi di questa giurisprudenza meritano di essere confermati.
Applicati in casu, essi non consentono - per più di un motivo - di
rifiutare l'estradizione.

    Come si evince dallo stesso saggio di TULLIO DELOGU, la giurisprudenza
italiana criticata risulta infatti isolata (cfr., oltre i due casi già
indicati: Cassazione 3 aprile 1974, Carinci, in Repertorio del Foro
italiano 1975, voce "Estradizione", n. 9/10). In secondo luogo, a quanto
è dato di vedere, tale giurisprudenza non è espressamente riferita alla
Convenzione europea, e segnatamente all'art. 14. In terzo luogo, essa non
risulta esser stata applicata nei confronti della Svizzera, permodoché non
si può far addebito all'autorità italiana di una violazione del principio
di specialità nei confronti del nostro Paese in un caso concreto. Anzi,
a riguardo della Svizzera, è noto il caso Prampolini, estradato all'Italia
in base alla sentenza pubblicata in DTF 101 Ia 592 segg. Arrestato in
Italia sulla scorta di un mandato di cattura emesso per reati, sia pure
concorrenti, ma "diversi da quelli di cui al provvedimento di estradizione
adottato dallo Stato svizzero in favore di quello italiano, senza che il
primo avesse acconsentito estendendo l'estradizione a questi ulteriori
reati", il provvedimento fu dichiarato illegittimo con sentenza 6 luglio
1976 della Suprema Corte di cassazione (Repertorio del Foro italiano
1977, voce "Libertà personale dell'imputato", n. 31/32). Questo caso
Prampolini può quindi esser addotto a riprova del rispetto da parte
dell'Italia della clausola di specialità. Si noti inoltre che l'Italia
ha presentato in questo (cfr. la sentenza inedita del 27 aprile 1977)
e in numerosi altri casi domande di estradizione addizionale.

    Nella fattispecie, v'è poi ancor meno motivo di esitare, dal
momento che il Ministero di grazia e giustizia - tramite l'Ambasciata
d'Italia - ha già fornito esplicite assicurazioni all'UFP. Tuttavia,
vista l'esistenza di questa sia pur isolata giurisprudenza della Suprema
Corte italiana di cassazione, l'UFP può esser sollecitato a ricordare ai
competenti organi italiani che, secondo lo Stato richiesto, l'art. 14
par. 1 CEEstr inibisce l'esercizio della potestà giurisdizionale,
fuori del procedimento contumaciale previsto dal paragrafo 2, anche
nel caso in cui procedimenti penali per fatti diversi da quelli per i
quali l'estradizione è stata accordata, fossero stati promossi contro la
persona estradata prima che la domanda d'estradizione fosse presentata,
e che la Svizzera considererebbe lesiva degli obblighi convenzionali
l'applicazione in casu della surriferita giurisprudenza.

Erwägung 15

    15.- Per esaurire il tema della specialità, invocato dall'opponente,
vanno considerati ancora due aspetti.

    a) L'opponente manifesta il timore d'esser sottoposto a misure
coercitive in vista dell'audizione da parte della Commissione parlamentare
d'inchiesta sulla loggia massonica P2 istituita con la legge del
23 settembre 1981, n. 527, per "accertare l'origine, la natura,
l'organizzazione e la consistenza" di questa associazione, nonché
"le finalità perseguite, le attività svolte, i mezzi impiegati per
lo svolgimento di detta attività e per la penetrazione negli apparati
pubblici e in quelli di interesse pubblico, gli eventuali collegamenti
interni e internazionali, le influenze tentate o esercitate sullo
svolgimento di funzioni pubbliche, di interesse pubblico e di attività
comunque rilevanti per l'interesse della collettività, nonché le eventuali
deviazioni dall'esercizio delle competenze istituzionali di organi dello
Stato, di enti pubblici e di enti sottoposti al controllo dello Stato"
(art. 1 della legge, in Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana,
1981, n. 264 pag. 6239).

    A questo proposito giova rilevare come, per il tramite dell'Ambasciata
svizzera a Roma, la Divisione assistenza giudiziaria internazionale
del Dipartimento federale di giustizia e polizia abbia già il 17 agosto
1982 rifiutato di accogliere una domanda di informazioni fondata sulla
Convenzione europea d'assistenza giudiziaria in materia penale presentata
da detta Commissione. La Svizzera ha ritenuto, sulla base della suddetta
descrizione delle finalità e dei compiti della Commissione parlamentare,
che non si aveva a che fare con una procedura concernente reati ai
sensi della Convenzione invocata, ma che si trattava di un'inchiesta
disciplinare o di un procedimento di natura amministrativa o di polizia,
nulla mutando a tal riguardo il fatto che la Commissione predetta,
giusta la legge istitutiva (art. 3), fosse munita degli stessi
poteri dell'autorità giudiziaria per procedere alle indagini ed agli
esami. Analoghe considerazioni si impongono per il caso della consegna
a fini estradizionali del ricercato: la regola della specialità vieta
ogni coercizione, anche di natura amministrativa, per fatti anteriori
alla consegna e diversi da quelli motivanti l'estradizione.

    Per tener conto di codesta situazione particolare, gioverà invitare
l'UFP a precisare espressamente che Gelli, secondo l'art. 14 par. 1 CEEstr
ed il principio di specialità, non potrà esser sottoposto a qualsiasi
misura coercitiva in vista dell'audizione da parte della predetta
Commissione parlamentare o di altro organismo analogo che dovesse esser
successivamente istituito.

    b) Il ricercato manifesta d'altra parte il timore che - privato di
passaporto in virtù della legislazione italiana - egli sarebbe posto
nell'impossibilità di lasciare il territorio italiano nei 45 giorni
successivi alla sua liberazione definitiva ai sensi dell'art. 14 par. 1
lett. b CEEstr. A questo proposito occorre rilevare che il termine di
"possibilité" contenuto alla lett. b è stato sostituito al termine di
"liberté" inizialmente previsto, tenuto conto del suo senso più generale
e dunque meno restrittivo. Come giustamente sottolinea il già citato
"Rapport explicatif" del Consiglio d'Europa (pagg. 22/23), l'individuo
non deve soltanto aver avuto la libertà di lasciare il territorio,
ma anche la possibilità di farlo, il che copre ugualmente il caso
della malattia e della mancanza di denaro. Nella disposizione, come
precisa ancora il rapporto, è inclusa d'altronde una duplice condizione:
liberazione definitiva, da un lato, possibilità di lasciare il territorio,
dall'altro. Per chiarire ogni dubbio al proposito, la Svizzera ha
d'altronde formulato e depositato, aderendo alla Convenzione, un'esplicita
dichiarazione a proposito dell'art. 14 par. 1 lett. b, nota a tutti gli
Stati contraenti (cfr. DF del 27 settembre 1966, in RU 1967 pag. 839,
842). Non v'è alcuna ragione di ritenere o di temere che l'Italia non
debba attenersi a tali condizioni, che sgorgano chiaramente dall'art. 14
e dalla dichiarazione svizzera: non è quindi il caso di formulare a tal
riguardo una particolare riserva o un richiamo specifico.

Erwägung 16

    16.- a) In connessione con il tema della specialità ed anche con le
eccezioni dedotte dagli art. 3 par. 1 e 2 CEEstr e dall'art. 6 CEDU,
la difesa dell'opponente rileva che in Italia le norme dei trattati
internazionali in parola (norme pattizie) non hanno livello di norme
costituzionali né rango superiore all'ordinario livello legislativo. La
circostanza sarà invero di rilievo per escludere - come ha ritenuto la
Corte costituzionale italiana (sentenza n. 188 del 22 dicembre 1980, in
Rivista di diritto internazionale 1981, pagg. 662 e 671) - che esse possano
davanti alla Corte costituzionale esser assunte a parametro di legittimità
costituzionale di altre leggi; non è peraltro contestato che esse siano
applicabili in Italia al pari dell'ulteriore diritto ordinario. Non si
vede quindi quale conclusione il giudice dell'estradizione potrebbe trarre
da codesto ordinamento interno italiano, sicuramente non lesivo degli
impegni internazionali assunti con l'adesione (cfr. sul tema: DELOGU,
op.cit., in Rivista italiana di diritto e procedura penale 1980, pag. 518).

    b) Le quattro imputazioni di calunnia, truffa, millantato credito e
bancarotta costituiscono tutte, prese in sé, reati di diritto comune. Ci
si deve però chiedere se essi non debbano esser considerati connessi
con delitti politici (art. 3 par. 1 CEEstr), oppure se, in virtù delle
circostanze in cui sono stati compiuti - segnatamente nel loro movente
e per il loro scopo - non debba esser riconosciuto loro il carattere di
delitti politici relativi, per i quali l'estradizione è parimenti esclusa
in forza della stessa disposizione. Affinché la predominanza del carattere
politico possa esser ammessa, occorre che il delitto si situi nell'ambito
della lotta contro e/o per il potere, o tenda a sottrarre qualcuno a un
potere che escluda ogni forma d'opposizione; tra l'atto e il fine politico
deve sussistere un rapporto chiaro, stretto e diretto e non soltanto una
relazione indiretta e lontana (DTF 108 Ib 409/10 consid. 7b, 106 Ib 301
consid. 4, 101 Ia 64/65, 425/26 consid. 6b, 605/607 consid. 7).

    La ricorrenza di questi elementi caratterizzanti dev'essere chiaramente
esclusa per i reati di truffa, millantato credito e bancarotta, tipici
reati economici a fine di lucro. Quand'anche si volesse pretendere che
essi dovessero servire - se effettivamente furono commessi - a procurare
fondi al movimento sovversivo che - sempre secondo l'accusa - Gelli
avrebbe creato al fine di minare le basi stesse dello Stato (imputazioni
di cui alle lettere a, c, f del mandato di cattura del 20 gennaio 1982),
una sufficiente relazione diretta dovrebbe chiaramente essere negata,
così come essa è sempre stata negata trattandosi di giudicare gli attacchi
alle banche presentati come semplice messa in pratica della teoria della
riappropriazione, che legittimerebbe i lavoratori proletari a recuperare
quanto i grandi capitalisti hanno sottratto in origine ai produttori
(cfr. l'affare Morlacchi in DTF 101 Ia 605/606). Non v'è motivo alcuno di
trattare in modo diverso, sotto questo profilo, l'attacco a mano armata
alla banca dal delitto dei cosiddetti colletti bianchi. Né può essere
il discorso per l'imputazione di calunnia (denuncia mendace), se si tien
conto che le tracce di reato che si attribuiscono a Gelli secondo l'accusa
tendevano a compromettere come colpevoli di gravi delitti contro i doveri
del loro ufficio magistrati che erano incaricati delle indagini contro
il ricercato.

    c) Resta infine da esaminare se sia fondata l'obiezione tratta
dall'opponente dall'art. 3 par. 2 CEEstr, nel quale quadro dev'essere
considerata anche l'eccezione dedotta dall'art. 6 CEDU. Com'è noto,
l'art. 3 par. 2 CEEstr contempla due ipotesi distinte, le quali
entrambe impongono al giudice dell'estradizione un giudizio di valore
estremamente delicato sugli affari interni della Parte richiedente,
in particolare il suo regime politico e le sue istituzioni, la sua
concezione delle libertà fondamentali della persona, il rispetto di cui -
concretamente - tali libertà godono, l'indipendenza e l'obiettività del suo
apparato giudiziario. Naturalmente non ogni situazione politico-giuridica
particolare in cui versasse lo Stato richiedente può avere come conseguenza
che la Svizzera debba rifiutare ogni misura d'estradizione a suo favore:
un tale rifiuto non interverrà che se si può temere oggettivamente, in
un preciso contesto fattuale, che la situazione dell'estradato abbia a
patire e che segnatamente un principio generale del diritto delle genti,
come quello consacrato nell'art. 3 CEDU, corra il rischio d'esser violato
(DTF 108 Ib 411/12, 95 I 468 consid. 6).

    Che sia verificata la prima ipotesi prevista dall'art. 3 par. 2
CEEstr - ovverosia che le imputazioni di diritto comune siano state
formulate allo scopo di perseguire il ricercato per ragioni politiche
o di credo religioso, in altre parole per ottenere un'estradizione che
le imputazioni politiche non consentano manifestamente di conseguire -
non si può seriamente sostenere, e non vale la pena di attardarsi sulle
allegazioni prive di sostegno del ricercato.

    Più delicato può invece apparire il giudizio per quanto ha tratto
alla seconda ipotesi prevista dall'art. 3 par. 2 CEEstr. Si pone infatti
la questione di sapere se v'è motivo serio per credere che la condizione
dell'estradando arrischi d'esser aggravata per considerazioni politiche:
in termini concreti, se ci si può aspettare per il ricercato un processo
giusto, sottratto ad influenze esercitate da stampa o partiti sulla
magistratura, e nel quale la regola della specialità sia ossequiata
non solo nella forma ma anche e soprattutto nello spirito. A sostegno
della prognosi negativa da essa formulata, la difesa del perseguito
adduce l'enorme clamore che indubbiamente quello che ormai vien definito
il caso Gelli ha suscitato nella pubblica opinione e nella stampa, la
legge varata per il dissolvimento della loggia massonica P2, il giudizio
negativo formulato in termini talvolta drastici da personalità politiche,
e denuncia altresì un'affermata caccia alle streghe e la designazione di
un capro espiatorio.

    Certo, ben si può ammettere che i casi Sindona e del Banco Ambrosiano e
il ritrovamento di atti e documenti nella perquisizione effettuata negli
uffici e al domicilio del ricercato hanno suscitato grande scalpore,
profondamente turbato l'opinione pubblica e provocato reazioni non sempre
serene negli organi della stampa o da parte di politici. Ma anche altri
tragici avvenimenti, che hanno scosso nell'ultimo decennio la Repubblica
Italiana, hanno provocato - comprensibilmente - fermenti e reazioni di non
minor violenza nell'opinione pubblica, nei circoli politici, nella stampa:
ciononostante non si può minimamente asserire che la magistratura - che ha
pagato e paga tuttora tributo anche di sangue nell'adempimento della sua
funzione - sia uscita nel complesso sminuita o rinvilita da queste vicende
o che essa non sia più in grado di garantire, al di là ed al disopra
delle contese di parte, un esercizio oggettivo della funzione giudiziaria.

    Ne discende che l'eccezione tratta dall'art. 3 par. 2 CEEstr e -
congiuntamente - dall'art. 6 CEDU è infondata e dev'essere respinta.