Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 105 V 74



105 V 74

19. Sentenza del 30 gennaio 1979 nella causa Mombelli contro Cassa
cantonale di compensazione e Tribunale delle assicurazioni del Cantone
Ticino Regeste

    Art. 27 Abs. 1 ELV, Art. 47 AHVG und 79 AHVV. Rückerstattung
unrechtmässig bezogener Ergänzungsleistungen:

    - Solidare Haftung der Miterben; Erlass der Rückerstattung, der in casu
von zwei Erben verlangt, von der Ausgleichskasse aber nur einem von ihnen
gewährt worden ist (Art. 603, 639 Abs. 1 und 2 ZGB, Art. 143 und 144 OR).

    - Zur Verjährung des Rückforderungsanspruchs im Laufe des
Erlassverfahrens, wenn die Rückerstattungsverfügung in Rechtskraft
erwachsen ist; analoge Anwendung der in Art. 16 Abs. 2 AHVG erwähnten
Verjährungsfrist.

Sachverhalt

    A.- Angiolina Mombelli, deceduta l'11 gennaio 1974, percepì
indebitamente dal 1968 al 1971 a titolo di prestazioni complementari
alla rendita AVS l'importo di Fr. 2096.-- che la Cassa di compensazione,
con decisione del 22 novembre 1971, le chiese di restituire.

    Una domanda di condono proposta dall'interessata venne respinta dalla
cassa medesima per carenza del presupposto della buona fede mediante
decisione del 6 dicembre 1971.

    Contro questa decisione Angiolina Mombelli interpose tempestivo
ricorso al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino.

    Soltanto nel maggio del 1974 la Cassa di compensazione presentò la
risposta al gravame chiedendone la reiezione. All'intimazione della copia
responsiva il figlio dell'assicurata, V. Mombelli, comunicò al Tribunale
cantonale che, nel frattempo, la madre era decessa e che né lui, né la
sorella vedova E. Lurati-Mombelli erano in grado di provvedere alla
restituzione della somma indebitamente percepita dalla madre.

    Con un primo giudizio del 5 agosto 1974 il Tribunale cantonale dispose
lo stralcio del ricorso dai ruoli e la trasmissione degli atti alla Cassa
di compensazione. I primi giudici costatarono che il debito dovuto a titolo
di restituzione da un'assicurato passa, in via di principio dopo il suo
decesso agli eredi, i quali hanno la facoltà di chiederne il condono a
seconda della loro situazione personale. Inoltre, essi asserirono che
se l'assicurato decede mentre è in corso un procedimento giudiziario
concernente il condono, si giustifica il rinvio della causa alla Cassa di
compensazione perché esamini se le condizioni del condono siano adempiute
dagli eredi.

    Il 5 febbraio 1976 la Cassa di compensazione si rivolse agli eredi
per ulteriori accertamenti. La relativa documentazione le venne trasmessa
quello stesso mese.

    Il 31 marzo 1978 la Cassa di compensazione chiese all'Ufficio
tassazioni i dati fiscali concernenti V. Mombelli. Costatato che il suo
reddito determinante superava il limite di reddito previsto dall'art. 42
cpv. 1 LAVS, con decisione del 5 aprile 1978 essa respinse la domanda
di condono di V. Mombelli affermando che, ammessa la buona fede, non
era dato il presupposto dell'onere troppo grave, il quale doveva essere
assolto dagli eredi obbligati alla restituzione e veniva accertato in
base alle condizioni di esistenza degli stessi, tenuto conto di tutte le
circostanze speciali.

    Con decisione della stessa data la Cassa di compensazione accolse la
domanda di condono di E. Lurati-Mombelli essendo dati i requisiti della
buona fede e dell'onere troppo grave.

    B.- Contro la decisione amministrativa di rifiuto del condono
V. Mombelli insorse con ricorso al Tribunale delle assicurazioni del
Cantone Ticino chiedendone l'annullamento e affermando che l'obbligo
di restituzione non poteva essere considerato solidalmente a carico
degli eredi. Poiché alla sorella era stato concesso il condono,
a suo carico sarebbe dovuta rimanere soltanto la metà della somma da
restituire. Infatti, l'intero asse ereditario (gravato da passività) era
stato diviso in parti uguali tra lui e la sorella e negli ultimi anni
egli aveva contribuito alle spese di cura e mantenimento della madre
e, da ultimo, aveva sopportato le spese funerarie. Subordinatamente il
ricorrente chiedeva la deduzione delle spese sopportate dalla somma che
sarebbe ancora stata da restituire.

    Replicando alla risposta della Cassa di compensazione V. Mombelli
chiese inoltre che l'onere gravoso fosse accertato considerando i suoi
redditi sino al 1974.

    Con giudizio del 4 settembre 1978 il Tribunale delle assicurazioni
del Cantone Ticino respinse il ricorso. In sostanza i primi giudici
argomentarono che a norma dell'art. 603 cpv. 1 CCS gli eredi rispondevano
solidalmente dei debiti della successione; che presupposti del condono
erano la buona fede e l'onere troppo gravoso e che questa ultima condizione
doveva essere considerata in base alle capacità finanziarie della persona
tenuta a restituire. Secondo i primi giudici la restituzione costituisce
un onere troppo grave quando l'obbligato - per far fronte al dovere
di rimborsare l'indebito - deve intaccare quella parte di redditi e
di sostanza di primaria necessità per la sopravvivenza propria e dei
familiari. Infine, ricordato che secondo la giurisprudenza federale
la nozione di onere troppo gravoso per il condono di una prestazione
deve essere interpretata alla luce degli art. 42 LAVS e 60 OAVS e che
l'onere deve essere stabilito al momento in cui l'obbligato è tenuto a
restituire e non in periodo precedente, essi conclusero ritenendo che se
il momento della restituzione era stato ritardato a seguito di ricorso,
l'onere gravoso era da valutare per il periodo immediatamente successivo
al giudizio da rendere. Esaminati i conteggi della Cassa di compensazione
i primi giudici ritennero che tale presupposto non era dato a beneficio
del ricorrente.

    C.- V. Mombelli deferisce la lite con ricorso di diritto amministrativo
a questa Corte chiedendo l'annullamento del giudizio impugnato e il
riconoscimento ch'egli nulla deve alla Cassa di compensazione. Asserisce
che a norma dell'art. 47 cpv. 2 LAVS il diritto di esigere la restituzione
si prescrive in un'anno dal momento in cui la Cassa di compensazione
ha avuto conoscenza del fatto e al più tardi 5 anni dopo il pagamento
della rendita. Dato che le prestazioni complementari di cui beneficiò
sua madre risalgono al 1968/71 e il Tribunale cantonale ha atteso dal
1971 sino all'agosto del 1974 per decidere il rinvio degli atti alla
Cassa di compensazione, la quale a sua volta ha emanato la controversa
decisione soltanto nell'aprile del 1978, il termine di 5 anni è trascorso
senza sua colpa. Il ricorrente trova inoltre ingiusto che il calcolo del
reddito determinante sia fatto sulla base del suo reddito attuale. Egli
è dell'avviso che se la Cassa di compensazione e il Tribunale cantonale
fossero stati più solleciti, al momento del giudizio il suo reddito
non sarebbe stato superiore a quello determinante. Sempre secondo il
ricorrente il giudizio cantonale richiama a torto l'art. 603 CCS, norma
non applicabile nel presente caso. Infatti, il diritto civile prevedendo la
responsabilità solidale dei coeredi la combina con il diritto di regresso
(art. 639 e 640 CCS). Ma se egli dovesse essere chiamato a restituire
la somma richiesta dalla Cassa di compensazione, non potrebbe ricuperare
nulla dalla sorella, la quale potrebbe eccepire di aver ottenuto il
condono. Di conseguenza, nella denegata ipotesi di restituzione gli
si potrebbe chiedere soltanto la metà della somma da restituire, ossia
Fr. 1048.--. D'altronde, secondo il ricorrente, gli art. 16 LPC e 47 LAVS
non sono stati introdotti per favorire, con il condono, le categorie meno
abbienti, né queste norme possono condurre a sfavorire un erede rispetto ad
un'altro mettendo a solo suo carico l'intero importo da restituire. Nemmeno
scopo di queste norme può essere quello di condonare un debito a una
determinata persona per poi interamente recuperarlo da un'altra.

    Cassa di compensazione e Ufficio federale delle assicurazioni sociali
postulano la disattenzione del gravame.

Auszug aus den Erwägungen:

                           Diritto:

Erwägung 1

    1.- In virtù dell'art. 3 cpv. 6 LPC il Consiglio federale può emanare
prescrizioni dettagliate sulla restituzione di prestazioni. Esso ha usato
di questa facoltà emanando l'art. 27 cpv. 1 OPC, che dispone quanto segue:

    "Le prestazioni complementari indebitamente riscosse devono essere
   restituite dal beneficiario o dai suoi eredi. Per ciò che concerne
   la restituzione di tali prestazioni e il condono dell'obbligo di
   restituirle, sono applicabili per analogia le prescrizioni relative
   alla legge federale sull'assicurazione per vecchiaia e i superstiti."

    Questa disposizione rinvia all'art. 47 LAVS, il cui primo capoverso
prescrive che le prestazioni indebitamente riscosse devono essere
restituite. Tuttavia il rimborso non può essere chiesto se l'interessato
era in buona fede e se la restituzione costituisce per lui un onere
troppo grave. Lo stesso articolo, al terzo capoverso, assegna al Consiglio
federale il potere di regolare la procedura. Agendo nell'ambito di detta
delegazione esso, nell'Ordinanza sull'assicurazione per la vecchiaia
e i superstiti, ha stabilito che se una cassa viene a conoscenza che
una persona, o per essa il suo rappresentante legale, ha ricevuto una
rendita alla quale non aveva diritto oppure una rendita troppo elevata,
la cassa medesima deve ordinare la restituzione dell'importo indebitamente
ricevuto da tale persona. Se la rendita è stata versata nelle mani di
una terza persona o di un'autorità a norma dell'art. 76 cpv. 1 OAVS,
quella è tenuta alla restituzione (art. 78 OAVS).

    Sulla portata e condono della restituzione il Consiglio federale
ha disposto che la restituzione dell'importo indebitamente ricevuto deve
essere condonata interamente o in parte se la persona tenuta a restituire o
il suo rappresentante legale poteva ammettere in buona fede di pretendere
giustamente la rendita o se la restituzione le impone un onere troppo
grave, avuto riguardo alle sue condizioni economiche (art. 79 cpv. 1
OAVS). Ha inoltre precisato che il condono è pronunciato dalla Cassa di
compensazione a domanda scritta della persona tenuta a restituire. La
domanda deve essere motivata e presentata alla Cassa di compensazione
entro 30 giorni dalla notificazione dell'ordine di restituzione emanato
dalla cassa stessa (art. 79 cpv. 2 OAVS). Se le condizioni indicate
all'art. 79 cpv. 1 OAVS sono adempite in modo evidente, la Cassa di
compensazione può accordare il condono di spontanea volontà (art. 79 cpv. 3
OAVS). Le disposizioni procedurali pertanto scindono il procedimento in
due fasi distinte: L'una concernente la restituzione di una prestazione
indebitamente percetta, l'altra riferita al condono e precisano, anche
nel tempo, che il condono possa essere chiesto solo dopo la notifica
dell'ordine di restituzione. Nella sentenza inedita del 3 maggio 1977 in
re Cubaynes questa Corte ha precisato che l'assicurato dispone di regola
di due rimedi di diritto nei confronti di una decisione in cui la cassa,
dichiarando che egli indebitamente ha percepito una prestazione, ne ordina
la restituzione:

    - Se pretende di avere avuto diritto alla prestazione deve ricorrere
nel termine di 30 giorni all'autorità di ricorso.

    - Se per contro egli ammette di aver indebitamente ricevuto la
prestazione, ma intende far valere la sua buona fede e la sua situazione
economica, deve nello stesso termine di 30 giorni presentare alla cassa
una domanda di condono.

Erwägung 2

    2.- Nel caso in esame la defunta Angiolina Mombelli non ha ricorso
contro la decisione che le ordinava la restituzione dell'indebito
riconoscendone quindi la legittimità. Di conseguenza la decisione
amministrativa del 22 novembre 1971, con cui la Cassa di compensazione
aveva disposto la restituzione dell'indebito è cresciuta in forza di cosa
giudicata (art. 97 cpv. 1 LAVS).

    V. Mombelli, figlio della defunta assicurata, subingreditole
solidalmente con la sorella nell'obbligo di restituzione, eccepisce,
per la prima volta con il ricorso di diritto amministrativo l'intervento
della prescrizione e richiama in diritto l'art. 47 cpv. 2 LAVS.

    a) Su questo punto occorre precisare che recentemente la Corte
plenaria del Tribunale federale delle assicurazioni deliberando in re
Albertalli ha affermato che l'eccezione di prescrizione deve essere
esaminata (d'ufficio o su istanza di parte) nel procedimento proposto
contro l'ordine di restituzione, non può invece essere ritenuta quando
oggetto di controversia sia solo il condono. Infatti, non è lecito al
giudice delle assicurazioni sociali di rimettere in discussione una
decisione di restituzione cresciuta in giudicato nel processo relativo
al condono, essendo i due procedimenti (quello riferito a restituzione e
quello riferito al condono) da considerare separati; principio questo di
regola applicabile e in particolare quando eccepibile sia la prescrizione.

    b) Nello stabilire questo principio la Corte implicitamente si era
riferita ad un eventuale fatto prescrittivo intervenuto prima che fosse
resa la decisione ordinante la restituzione, aperto rimanendo il tema di
stabilire come debba agire il giudice delle assicurazioni sociali adito con
un ricorso contro una decisione denegante il condono, quando eccepita sia
la prescrizione avvenuta dopo che la Cassa di compensazione abbia ordinato
la restituzione. In questa seconda ipotesi, se nel frattempo non sia
intervenuto un fatto estintivo del diritto di cui si chiede l'abbandono,
il giudice delle assicurazioni non può prescindere dall'esaminare la
questione ex officio (IMBODEN/RHINOW, volume 1o no 34 B II, p. 202),
anche se la decisione amministrativa è cresciuta in giudicato e se tema
controverso è il condono (quindi un provvedimento di grazia e non la
consistenza dell'obbligazione).

    c) Nell'evenienza concreta il ricorrente si prevale dell'art. 47
cpv. 2 LAVS per affermare l'intervento di un fatto prescrittivo del
credito vantato nei suoi confronti dalla Cassa di compensazione. Secondo
detta norma, applicabile come già si è detto per analogia nell'ambito
delle prestazioni complementari, il diritto di esigere la restituzione si
prescrive nel termine di un anno a contare dal momento in cui la Cassa di
compensazione ha avuto conoscenza del fatto e al più tardi 5 anni dopo il
pagamento della prestazione. Aperto il tema di dire se più esattamente
si debba accennare a termine di perenzione piuttosto che a termine di
prescrizione, resta la considerazione che tale disposizione è applicabile
unicamente alla decisione della cassa, la quale - pena la decadenza del
diritto - è tenuta a decidere entro il termine fissato e per il credito
a quel momento non prescritto. Una volta reso il provvedimento l'art. 47
cpv. 2 LAVS non è più applicabile.

    Da quanto sopra esposto discende che se nel ricorso di diritto
amministrativo V. Mombelli voleva accennare a prescrizione intervenuta
prima della decisione di restituzione della cassa, l'eccezione sarebbe
formalmente improponibile (v. consid. 1a) o comunque infondata perché
il 22 novembre 1971 la pretesa vantata dalla Cassa di compensazione per
prestazioni versate dal 1968 al 1971 non era manifestamente prescritta.

    Per una prescrizione successiva al 22 novembre 1971 - se, come già
si è detto, inapplicabile è l'art. 47 cpv. 2 LAVS - sorge il problema di
stabilire quando dopo la resa di una decisione amministrativa cresciuta in
forza di cosa giudicata - o in caso di ricorso dopo l'emanazione di una
sentenza pure cresciuta in forza - cominci a decorrere un nuovo termine
di prescrizione (prescrizione dell'esecuzione), quale sia la sua durata
e a quali interruzioni esso sia eventualmente soggetto.

    La LAVS nulla dice al riguardo. Per il credito di contributi (art. 16
cpv. 2 LAVS) essa prevede un termine di prescrizione di 3 anni dopo la fine
dell'anno civile in cui la decisione è passata in giudicato. Questo termine
rimane sospeso durante la procedura d'inventario chiesta dagli eredi o la
moratoria concordataria e se alla sua scadenza è in corso una procedura
di esecuzione e fallimento esso spira alla chiusura di tale procedura.

    A prescindere dalla natura diversa del credito di contributi e del
credito in restituzione di prestazioni indebitamente versate, ambedue i
crediti scaturiscono da decisioni amministrative cresciute in giudicato
e sono somme di denaro che la Cassa di compensazione deve provvedere
ad incassare. Pertanto, nulla osta all'applicazione per analogia del
disposto di cui all'art. 16 cpv. 2 LAVS nella procedura d'esecuzione
della restituzione, quando le prestazioni indebitamente versate siano
state determinate con decisione amministrativa cresciuta in giudicato. La
prescrizione dell'esecuzione si attua quindi 3 anni dopo la fine dell'anno
civile in cui è cresciuto in giudicato il provvedimento imponente il
pagamento di una somma di denaro se non interviene interruzione del
termine di prescrizione (IMBODEN/RHINOW, op.cit. p. 204).

    Nel caso in esame, ritenuto che tutti gli atti connessi ad un
procedimento di condono, intesi cioè a far accertare che sono dati i
presupposti per non solvere o per solvere solo parzialmente un credito
stabilito in una decisione definitiva, sono pur sempre idonei ad
interrompere la prescrizione, risulta dalla documentazione della causa
che la prescrizione dell'esecuzione non è intervenuta. Infatti, malgrado
le lungaggini della procedura amministrativa e giurisdizionale, la Cassa
di compensazione compiendo atti idonei ad interrompere la prescrizione
sino all'epoca in cui emanò la controversa decisione del 5 aprile 1978,
mai procrastinò il procedimento per 3 anni almeno.

Erwägung 3

    3.- Il ricorrente contesta inoltre che alla fattispecie sia applicabile
l'art. 603 CCS, il quale imponendo la responsabilità solidale dei coeredi,
la combina con la facoltà di uno di essi di esercitare il diritto di
regresso nei confronti degli altri. A mente del ricorrente ciò sarebbe
reso impossibile dal fatto che la Cassa di compensazione ha già condonato
la restituzione alla sorella.

    Premesso che eredi legittimi della defunta Angiolina Mombelli sono
il figlio V., qui ricorrente, e la figlia E. Lurati-Mombelli; che essi
(secondo le affermazioni contenute negli allegati di causa) non hanno
rinunciato all'eredità ai sensi dell'art. 566 CCS e che giusta l'art. 27
cpv. 1 OPC l'obbligazione di restituzione di prestazioni complementari
indebitamente percette dal de cuius diventa un'obbligazione degli eredi,
ne consegue che essi devono personalmente restituire l'indebito rispondendo
non solo con gli attivi della successione, ma anche con il loro patrimonio
personale (DTF 96 V 72 consid. 1 e la giurisprudenza ivi citata).

    Nel querelato giudizio i primi giudici hanno affermato che applicabile
era l'art. 603 CCS, secondo il quale gli eredi sono solidalmente
responsabili per i debiti della successione. Il richiamo a questa norma è
esatto nella misura in cui il credito venga portato in esecuzione prima
della divisione (infatti l'art. 603 CCS è contenuto nel Titolo XVII,
capo 1o riferito alla comunione prima della divisione) mentre dopo la
divisione deve valere l'art. 639 CCS, secondo il quale gli eredi rispondono
solidalmente per i debiti della successione anche dopo la divisione
e con tutti i loro beni, ritenuto però che la responsabilità solidale
si prescrive in 5 anni dalla divisione o dalla esigibilità del credito
verificatasi più tardi (art. 639 cpv. 2 CCS). Dalle due norme risulta
comunque affermata la validità generale del principio di responsabilità
solidale tra i coeredi. Per quanto concerne la disposizione dell'art. 639
cpv. 2 CCS occorre osservare che l'espressione "si prescrive" è impropria
e deve essere intesa nel senso che entro i 5 anni termina soltanto la
responsabilità solidale e non si prescrive il debito stesso e che tale
responsabilità si distingue quando non è stata fatta valere durante 5 anni
(ESCHER, Kommentar Zivilgesetzbuch/art. 639, p. 745 e seguenti). Quindi
da detta disposizione e dalla sua interpretazione risulta che per essa
non interviene una prescrizione dell'obbligazione, ma solo decade il
diritto di poterla pretendere quale obbligazione solidale.

    Nell'evenienza concreta si ignora quando ebbe luogo la
divisione dopo il decesso avvenuto l'11 gennaio 1974 di Angiolina
Mombelli. Comunque, ammettendo entro il termine di 5 anni la domanda
di condono della coerede E. Lurati-Mombelli e respingendo in data 5
aprile 1978 quella del ricorrente, che venne obbligato al pagamento
integrale dell'importo indebitamente percetto dalla madre, la Cassa di
compensazione ha manifestamente fatto valere il principio di responsabilità
solidale. Quindi anche a questo riguardo non può essere affermato che
valendo la responsabilità solidale, essa non è stata tempestivamente
fatta valere dalla Cassa di compensazione.

    Secondo l'art. 143 CO vi è responsabilità solidale fra più debitori
quando ciascuno di essi è singolarmente obbligato all'adempimento
dell'intera obbligazione. Il creditore in particolare può a sua scelta
esigere da tutti i debitori solidali o da uno di essi tutto il debito od
una parte soltanto (art. 144 cpv. 1 CO). L'espressione "a sua scelta"
non può evidentemente essere interpretata "a suo arbitrio" quando la
designazione del debitore solidale è fatta dall'amministrazione, da
un'ente cioè espletante funzioni di diritto pubblico e tenuto quindi a
rispettarne i principi.

    Nella fattispecie non appare per niente violatrice di diritto la
decisione della Cassa di compensazione, la quale esaminando la situazione
personale dei coeredi tenuti alla restituzione, decida di condonare il
debito soltanto ad uno di essi (quando adempiuti siano i presupposti
di buona fede e di onere troppo grave), escludendone l'altro contro cui
poi procede all'incasso. Né può essere argomentato che, in questo caso,
al coerede tenuto al pagamento possa essere imputata solo quella parte
di somma non condonata all'altro, dal momento che la responsabilità dei
coeredi è solidale e per l'intero importo e che appunto tale solidarietà
permette al creditore di procedere nei confronti di ciascuno e per
l'intero importo.

    Infondata infine è l'argomentazione ricorsuale secondo cui la
Cassa di compensazione condonando l'onere ad uno dei coeredi abbia così
reso impossibile l'esercizio del diritto di regresso di chi è tenuto al
pagamento. Diversi sono infatti i rapporti tra il creditore e i debitori e
quelli interni tra i debitori fra di loro. Inoltre, anche secondo il codice
delle obbligazioni un debitore non dispone di eccezioni derivate dalla
particolare situazione di un'altro debitore; in particolare un debitore
non può far valere il condono concesso ad un codebitore (VON BÜREN,
Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, p. 96). Ne deve
quindi essere dedotto che quale solidalmente responsabile il ricorrente
non può derivare un fatto prescrittivo dall'art. 639 CCS e nemmeno il
diritto a solvere, dato il condono concesso alla sorella, solo la metà
del credito fatto valere dalla Cassa di compensazione.

Erwägung 4

    4.- Resta ancora da esaminare se legittimamente la Cassa di
compensazione e i primi giudici abbiano ritenuto non sussistere i
presupposti per condonare al ricorrente l'obbligazione di rimborsare la
prestazione indebita percepita dalla madre.

    Per quanto concerne il condono occorre precisare che in questa materia
la procedura non riguarda l'assegnazione o il rifiuto di prestazioni
assicurative (art. 132 e 134 OG), motivo per cui il Tribunale federale
delle assicurazioni si limita ad esaminare se violato sia il diritto
federale, compreso l'eccesso o l'abuso del potere d'apprezzamento,
ed è vincolato all'accertamento di fatto di un tribunale cantonale,
salvo che detto accertamento non sia manifestamente inesatto o incompleto
(art. 104 e 105 cpv. 2 OG). Inoltre, la procedura non è gratuita (art. 135
in relazione con l'art. 156 OG).

    Come già esposto nel primo considerando, per l'art. 47 cpv. 1 LAVS
il condono può essere chiesto soltanto se l'interessato era di buona fede
e se la restituzione costituisce per lui un onere troppo grave.

    Nel caso in esame non è dubbia la buona fede del ricorrente. La
restituzione dell'indebito venne infatti richiesta perché la defunta sua
madre era personalmente venuta meno a un obbligo di informazione. Resta
quindi da esaminare se anche il presupposto dell'onere troppo grave
sia dato.

    Al riguardo il ricorrente critica i primi giudici, i quali avrebbero
ritenuto la sua situazione personale nel momento in cui essi decisero
e non già in epoca anteriore, quando il suo reddito era inferiore. In
sostanza, V. Mombelli considera ingiusto che le lungaggini della Cassa
di compensazione e il suo modico aumento di reddito gli comportino un
onere che in precedenza non sarebbe sussistito.

    Secondo i principi enunciati dal Tribunale federale delle assicurazioni
nella sentenza del 7 giugno 1978 in re Klaentschi (DTF 104 V 61),
determinante per statuire in materia di condono è la situazione economica
del debitore al momento in cui egli è tenuto a pagare. Questo procedimento,
richiamato rettamente dai primi giudici, non è illegittimo. Infatti,
nella fattispecie, se la decisione denegante il condono data del 5
aprile 1978, il giudizio cantonale che la conferma è stato prolato il
4 settembre 1978. Orbene, nel periodo trascorso fra queste due date,
dalla documentazione della causa non risulta che le condizioni del
ricorrente siano mutate. A ragione pertanto i primi giudici, fondandosi
sugli accertamenti fatti dalla Cassa di compensazione nell'aprile del
1978 - la quale doveva attenersi alla situazione di fatto esistente al
momento in cui decise (DTF 99 V 102) -, costatarono che essa aveva tenuto
esattamente conto della situazione economica di V. Mombelli a quel momento
e rifiutarono di riconoscere adempiuto il requisito dell'onere troppo
grave negandogli il condono dell'obbligo di restituzione.

Entscheid:

Per questi motivi, il Tribunale federale delle assicurazioni
                    dichiara e pronuncia:

    Il ricorso di diritto amministrativo è respinto.