Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 102 IA 533



102 Ia 533

73. Estratto della sentenza 17 marzo 1976 nella causa Unione Studi
d'Ingegneria Ticinesi (USIT) contro Consiglio di Stato del Cantone
Ticino Regeste

    1. Art. 84 OG.

    Voraussetzungen dafür, dass ein von einer Behörde ausgehendes
an eine ihr nicht direkt unterstellte öffentliche Körperschaft
gerichtetes Rundschreiben, das eine Empfehlung zum Inhalt hat, einem mit
staatsrechtlicher Beschwerde anfechtbaren Hoheitsakt gleichzustellen ist
(E. 1).

    2. Kant. Bestimmung betr. Ausschluss der Vergebung öffentlicher
Arbeiten an Bewerber, die sich nicht verpflichten, auf das mit ihren
Angestellten bestehende Vertragsverhältnis die Bestimmungen des für diese
Kategorie geltenden Gesamtarbeitsvertrages anzuwenden.

    Eine solche Vorschrift kann vom Kanton erlassen werden, obwohl
der Bund Bestimmungen über die Allgemeinverbindlicherklärung von
Gesamtarbeitsverträgen erlassen hat - Art. 34ter BV -, und bedeutet
weder eine Verletzung der derogatorischen Kraft des Bundesrechts - Art. 2
ÜbBest. BV - (E. 7) noch der Handels- und Gewerbefreiheit - Art. 31 BV
(E. 10 und 11).

    3. Handels- und Gewerbefreiheit.
   a) Verhältnis zur Vertragsfreiheit (E. 10a).  b) Sie verleiht dem
   Privaten kein Recht auf Leistungen des Staates (E. 10b).

    c) Der Vorbehalt zugunsten des kant. Rechts (Art. 31 Abs. 2 BV) umfasst
ausser Polizeibestimmungen im engen Sinn auch sozialpolitische Massnahmen,
sofern diese nicht in die freie Konkurrenz eingreifen oder deren Wirkung
abschwächen und im übrigen nicht gegen die andern Verfassungsgrundsätze
verstossen, deren Beachtung jede Beschränkung der verfassungsmässigen
Rechte voraussetzt (E. 10e).

    d) Die Tessiner Gesetzgebung über die Vergebung öffentlicher Arbeiten
geht nicht über den Vorbehalt des Art. 31 Abs. 2 BV hinaus (E. 10f),
entspricht einem öffentlichen Interesse (E. 11c), verletzt die Grundsätze
der Verhältnismässigkeit (E. 11d) und der rechtsgleichen Behandlung der
Berufsgenossen nicht (E. 11e).

Sachverhalt

    A.- Il 1o giugno 1973 l'Associazione dei datori di lavoro delle arti
tecniche (ADLAT), da una parte, e la Federazione svizzera dei lavoratori
edili e del legno (FLEL), la Camera del lavoro del Cantone Ticino nonché
l'Organizzazione Cristiano-sociale, dall'altra, stipularono un contratto
collettivo di lavoro per i disegnatori degli uffici di architettura,
di urbanistica, di ingegneria e di progettazione e direzione dei lavori
delle arti tecniche in genere (edilizia, genio civile, geologia, economia
forestale, impianti elettrici, sanitari e di riscaldamento) (art. 1 CCL).

    Un gruppo di datori di lavoro, segnatamente la maggioranza degli
ingegneri attivi nel Cantone Ticino, che allora apparteneva all'ADLAT, votò
contro l'adozione del nuovo CCL. Le discordanze manifestatesi indussero
gli ingegneri dissenzienti, venutisi a trovare in minoranza in occasione
del voto sul CCL, a uscire dall'ADLAT e a costituirsi in associazione:
venne così costituita l'Unione Studi d'Ingegneria Ticinese (USIT), i cui
membri non applicano le norme del CCL nei confronti dei disegnatori da
essi impiegati. L'USIT propose un suo contratto collettivo di lavoro,
essenzialmente meno favorevole di quello dell'ADLAT per i prestatori
d'opera, che rimase però allo stadio di progetto.

    In data 4 marzo 1975 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino indirizzò
a tutti i Comuni del Cantone la seguente lettera:

    "Il Consiglio di Stato ha deciso il 31.1.73 ed ha ribadito il 28.2.1975
   di conferire mandati per progetti ed opere di architettura ed ingegneria
   solo ai titolari degli studi che hanno aderito al Contratto Collettivo
   di

    Lavoro (CCL) pattuito tra le organizzazioni della Camera del lavoro e

    Cristiano Sociale da una parte e l'Associazione dei Datori di lavoro
delle

    Arti Tecniche del Cantone Ticino (ADLAT) dall'altra parte.

    Questa decisione si fonda sull'interpretazione in via analogica
di quanto
   previsto dalla legge cantonale sugli appalti.

    La decisione del Consiglio di Stato vale anche per tutti i lavori
   sussidiati dallo Stato (scuole, depurazione delle acque, strade,
   raggruppamenti terreni, case per anziani, ospedali, colonie, istituti
   minorili e così via), per cui la progettazione e l'esecuzione delle
   relative opere non possono essere affidate dai Comuni a professionisti
   che non abbiano aderito al CCL pattuito tra l'ADLAT e le organizzazioni
   sindacali.

    Qualora i Comuni non rispettassero questa decisione e affidassero
   comunque la progettazione o l'esecuzione di opere sussidiate a
   professionisti non firmatari del CCL, il Consiglio di Stato potrà
   negare i sussidi di sua competenza."

    Contro questa circolare l'USIT ha formato un ricorso di diritto
pubblico. Il Tribunale federale ha respinto il ricorso.

Auszug aus den Erwägungen:

                   Considerando in diritto:
Questioni d'ordine I. Impugnabilità dell'atto cantonale

Erwägung 1

    1.- Con ricorso di diritto pubblico possono essere impugnati gli atti
di imperio che un'autorità cantonale emana in quanto detentrice del potere
pubblico (leggi, decreti, decisioni) e che impongono a una o più persone di
compiere, omettere o tollerare una determinata attività (cfr. BIRCHMEIER,
Bundesrechtspflege, pag. 313 segg.; MARTI, Probleme der staatsrechtlichen
Beschwerde, pag. 42; BONNARD, Problèmes relatifs au recours de droit
public pag. 396 segg.). Alla luce di questa definizione generale si pone
pertanto la questione se la circolare impugnata costituisca o meno un
atto impugnabile ai sensi dell'art. 84 OG.

    a) La prima parte della circolare è costituita di una semplice
comunicazione e contiene, in particolare, il richiamo a due precedenti
decisioni governative del 31 luglio 1973 e del 28 febbraio 1975, con
cui il Consiglio di Stato risolveva di conferire mandati professionali
esclusivamente agli studi tecnici i cui titolari avessero aderito al
contratto collettivo di lavoro per i disegnatori.

    In secondo luogo l'atto impugnato sottolinea che questo principio
si applica anche ai lavori pubblici sussidiati dallo Stato (scuole,
impianti di depurazione delle acque, strade, raggruppamenti terreni,
case per anziani, colonie, istituti minorili ecc.) e ciò nel senso che
il Consiglio di Stato si riserva di negare i sussidi di sua competenza
qualora i Comuni affidassero la progettazione o l'esecuzione di opere a
professionisti non aderenti al contratto collettivo di lavoro.

    b) Stando al testo, la circolare non tocca le competenze decisionali
dei Comuni in materia di assegnazione di mandati di progettazione: questi
possono tuttora conferire incarichi di tal sorta agli studi tecnici di
loro scelta. In questa misura la circolare impugnata non crea a carico
dei Comuni nessun obbligo di fare, omettere o tollerare. Quanto poi ai
mandati per opere integralmente finanziate dai Comuni, il Consiglio
di Stato non interviene minimamente negli affari comunali. Tuttavia
per i lavori sussidiati dallo Stato con contributi di competenza del
Governo, la querelata circolare comporta una certa coercizione a carico
dei Comuni. Pur essendo solo relativa (nel senso che i pregiudizi che
potrebbe subire un Comune in concreto dipendono dalle circostanze del
singolo caso) e indiretta (nel senso che il Consiglio di Stato si limita
a render noto il proprio probabile atteggiamento senza prescrivere quello
dei Comuni) tale coercizione sussiste. Ininfluente è da questo profilo
che la sanzione comminata abbia carattere eventuale: un Comune non può
infatti permettersi, quando conferisce un mandato, di disattendere la
comminatoria della perdita di sussidi, sia pur espressa in forma attenuata.

    c) Ancor più indirettamente la circolare tocca gli ingegneri non
aderenti al contratto collettivo di lavoro, che vedono posto in forse
l'ottenimento di incarichi da parte dei Comuni. La circolare non li obbliga
di per sé né a fare né a tralasciare o tollerare alcunché; purtuttavia essa
costituisce un'innegabile pressione di ordine economico nei loro confronti.

    d) La classificazione della circolare impugnata in una delle
categorie stabilite da dottrina e giurisprudenza non è agevole. Nella
sua prima parte, essa presenta caratteri di semplice comunicazione,
rispettivamente, nella seconda parte, di mera raccomandazione. Atti
di tal sorta non sono di regola impugnabili in quanto è carente un
interesse degno di protezione (cfr. GYGI, Verwaltungsrechtspflege,
pag. 98; BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, pag. 318). Pur non trattandosi
di istruzioni di servizio, in quanto il Comune non dipende dallo Stato,
la circolare impugnata presenta tuttavia una certa analogia con tale
tipo di ordinanza amministrativa. Le "istruzioni di servizio", con
le quali l'amministrazione impone un determinato comportamento agli
uffici subordinati, non sono di regola impugnabili. La giurisprudenza
più recente ha però formulato riserve a tale principio. In particolare
venne precisato che le cosiddette istruzioni di servizio sono impugnabili
con ricorso di diritto pubblico nella misura in cui le regole in esse
contenute non si esauriscono in semplici istruzioni all'attenzione dei
funzionari, ma delineano direttamente o indirettamente la situazione
giuridica dei privati, intervenendo in tal modo nella sfera di interessi
giuridicamente protetti (cfr. DTF 98 Ia 511). La possibilità di impugnare
ordinanze di carattere generale quale quella contenuta nella circolare
impugnata deve essere facilitata soprattutto nei casi in cui chi è toccato
non potrebbe altrimenti mai difendere i propri diritti garantiti dalla
Costituzione. Nel caso concreto i tecnici che, per un motivo qualsiasi,
compreso il timore del Comune di incorrere in una perdita di sussidi,
non ottenessero incarichi da quell'ente, non potrebbero impugnare in
questa sede il conferimento dei mandati ad altri professionisti. Nessuno,
e in particolare nessuno dei membri della ricorrente, può infatti vantare
una qualsiasi pretesa giuridica alla conclusione di un contratto con
il Comune: la mancata scelta per il conferimento di tali incarichi non
comporta pertanto la lesione di alcun diritto.

    Intollerabile sarebbe quindi se i membri dell'associazione ricorrente
nulla potessero intraprendere contro un'ordinanza di portata generale
che li esclude fin dall'inizio dall'ottenimento di mandati. Una tale
ordinanza di portata generale, anche se stilata nella forma di una
mera raccomandazione, è suscettibile di comportare gravi conseguenze,
se non anche l'annientamento economico, di una determinata cerchia
di persone. Occorre pertanto che, in simili casi, il controllo della
costituzionalità di tali atti sia garantito (cfr. sentenza inedita del
10 ottobre 1973 in re Ackermann e consorti c. OBV e consorti).

    La circolare litigiosa, che, pur non regolando l'assegnazione
di incarichi professionali a ingegneri e architetti, la pregiudica a
danno di una determinata categoria professionale, deve pertanto essere
considerata quale atto di imperio impugnabile ai sensi dell'art. 84 OG.
II. Legittimazione... Questioni di merito I. Conformità dell'atto con
la legge cantonale... II. Costituzionalità della legge cantonale e
dell'atto impugnato... A.- Sotto il profilo dell'autonomia comunale...
B.- Sotto il profilo del principio della separazione dei poteri... C.-
Sotto il profilo del primato del diritto federale: diritto del lavoro
(consid. 7); sussidi federali (consid. 8).

Erwägung 7

    7.- L'art. 34ter Cost. conferisce alla Confederazione il diritto di
emanare disposizioni sulla protezione dei lavoratori. Nei limiti in cui la
Confederazione ha fatto uso di tale diritto decade di regola la competenza
dei Cantoni di legiferare in materia, in quanto deve presumersi che la
Confederazione abbia inteso dare alla sua regolamentazione un carattere
esclusivo.

    La Confederazione ha legiferato, tra l'altro, in materia di lavoro
nelle fabbriche, di contratto di lavoro e di conferimento del carattere
obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro. La nuova
legislazione in materia di diritto del lavoro limita senza dubbio in
modo essenziale le competenze cantonali. Ciò non toglie che il diritto
cantonale mantiene vigore quantomeno nella misura in cui la competenza del
cantone è espressamente riservata dalla legislazione federale (cfr. per
es. art. 329a cpv. 2 CO). Nell'art. 358 CO il legislatore federale ha
previsto espressamente che "il diritto imperativo federale e cantonale
prevale sul contratto collettivo" di lavoro.

    Norme cantonali intese a regolare, fuori dell'ambito delle competenze
espressamente riservate, una materia già esaustivamente disciplinata
dalla Confederazione sarebbero indubbiamente non valide. Né la circolare
governativa impugnata né la legge ticinese sugli appalti (LApp.) regolano
però rapporti fondati sul diritto del lavoro. Sia la legge che la
circolare non influenzano né vogliono influenzare il contenuto del
contratto collettivo di lavoro dell'ADLAT o i contratti singolarmente
stipulati dai membri della ricorrente con i propri disegnatori. Né d'altro
canto vengono create nuove norme, generali o speciali, del diritto del
lavoro. Col suo intervento lo Stato si limita a favorire quei datori di
lavoro che, a mente sua, offrono ai loro dipendenti condizioni di lavoro
socialmente adeguate, rispettivamente ancorate in un contratto collettivo
di lavoro. Un'influenza indiretta di tale natura è suscettibile di ledere
il diritto federale, e in particolare i principi sanciti dall'art. 2
disp.trans.Cost. e art. 6 CC, solo se e nella misura in cui risultassero
vanificati gli scopi perseguiti dalla legislazione federale. D'altronde
i Cantoni non possono adottare disposizioni atte a frustrare gli scopi
della legislazione federale neppure nelle materie in cui la competenza
legislativa è loro riservata (cfr. DTF 100 Ia 108; 98 Ia 495; 91 I 198;
HUBER, Commentario n. 174, 209 segg., 213 e 214 ad art. 6 CC; A. GRISEL,
Des rapports entre le droit civil fédéral et le droit public cantonal,
ZSR 70 pag. 296 segg.).

    La censura di violazione del diritto federale potrebbe,
per esempio, esser mossa a una legge cantonale sugli appalti, che
imponesse indiscriminatamente l'aggiudicazione di lavori pubblici al
minor offerente, e favorisse per questo una pressione negativa sulle
condizioni di lavoro, ponendosi in contrasto insanabile con la ratio
della legislazione federale. Simile rimprovero non può però essere mosso
ad una legislazione che, concretizzando l'opposta tendenza come la legge
ticinese sugli appalti, sostiene i fini della legislazione federale
prevedendo l'aggiudicazione di pubblici lavori solo a concorrenti che
assicurino sufficienti condizioni al proprio personale. Il contratto
collettivo di lavoro è uno degli instrumenti che la legislazione federale
offre al fine di conseguire uniformi buone condizioni di lavoro. Ove un
tale contratto collettivo esista, il Cantone che favorisce nei pubblici
appalti le ditte che lo rispettano, manifestamente non viola né il senso
né lo spirito della legislazione federale in materia di lavoro. Anzi,
l'unanime dottrina riconosce che simili leggi in materia di appalti e di
sussidiamento di opere pubbliche hanno favorito in modo essenziale tanto
il conseguimento della pace del lavoro, che vige ormai da alcuni decenni
nel nostro paese, quanto il perfezionamento dei contratti collettivi di
lavoro (TSCHUDI, Gesamtarbeitsvertrag und Aussenseiter, Wirtschaft und
Recht 1953 pag. 37 segg., in particolare pag. 46; SCHWEINGRUBER, Das
Arbeitsrecht der Schweiz 2a ediz., pag. 219 segg.; BERENSTEIN, Les effets
indirects des conventions collectives, Travail et sécurité sociale 1962
pag. 26; KREIS, Der Anschluss der Aussenseiter an den Gesamtarbeitsvertrag
pag. 49; HEITHER, Das kollektive Arbeitsrecht, Arbeitsrechtliche Studien,
fascicolo 13 pag. 111; MELANIE MEYER, Das Verhältnis des Aussenseiters
zum Gesamtarbeitsvertrag pag. 193).

    È ben vero che il legislatore federale, con l'istituto del conferimento
del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro, ha
creato un istrumento che consente di assicurare l'applicazione generale
di tali contratti nell'insieme della Confederazione. Dall'esistenza di
tale istituto, che trova invero certi limiti nelle condizioni poste
dalla legge stessa, sarebbe però assurdo dedurre che ai Cantoni sia
preclusa la possibilità di promuovere dal canto loro l'adozione di
contratti collettivi di lavoro e vietato di avvalersi, quali acquirenti o
committenti, del loro peso economico a tal fine. Neppur la Confederazione
d'altronde si limita nel suo intervento in tal senso a ricorrere
all'istituto del conferimento del carattere obbligatorio generale ai
contratti collettivi di lavoro. Nell'ordinanza del Consiglio Federale
del 31 marzo 1971 sulla messa a concorso e l'aggiudicazione di lavori
e forniture nell'edilizia e nel genio civile (Ordinanza sugli appalti)
vengono infatti adottate prescrizioni analoghe a quelle stabilite
dalla LApp. ticinese. In particolare l'art. 5 cpv. 9, ultima frase,
dell'ordinanza prevede espressamente che il concorrente deve impegnarsi
ad osservare i contratti collettivi in vigore e le condizioni locali di
lavoro. Tale ordinanza documenta che lo stesso legislatore federale non
ritiene superflue tali prescrizioni d'appalto, né ancor meno le considera
in urto con la sua legislazione del lavoro. D.- Sotto il profilo della
Libertà d'associazione... E.- In relazione con la Libertà di commercio
e d'industria.

Erwägung 10

    10.- La libertà di commercio e di industria garantisce,
contro ingerenze statali, ad ogni persona il diritto di esercitare
un'attività tendente al conseguimento di un guadagno (MARTI, Handels-
und Gewerbefreiheit, Berna 1950, pag. 31).

    a) La cosiddetta autonomia contrattuale, cioè la libertà di concludere
o meno un determinato contratto, di scegliere il proprio cocontraente e,
a certe condizioni, di rompere un contratto, sgorga direttamente dalla
libertà di industria e commercio e ha radice anche nella libertà personale
(A. GRISEL, Droit Administratif suisse, pag. 222; SALADIN, Grundrechte im
Wandel, pag. 272). In materia economica la libertà contrattuale soffre
delle limitazioni proprie della libertà di commercio e di industria. La
censura di violazione della libertà contrattuale dei propri membri
sollevata dalla ricorrente contro la LApp. e la circolare governativa
non ha pertanto una portata propria ma si identifica con la censura di
violazione della libertà di commercio e di industria.

    b) La libertà di commercio e di industria non conferisce ai privati
alcun diritto a prestazioni dello Stato. Lo Stato non è tenuto a creare
occasioni di attività lucrative o a concludere contratti con cittadini
attivi nel campo economico. Il commerciante o l'imprenditore la cui offerta
non è tenuta in considerazione in sede di aggiudicazione di acquisti o
lavori pubblici non è leso nella sua libertà di commercio e d'industria
(MARTI, op.cit., pag. 32). È quindi perlomeno dubbio che la circolare
del Consiglio di Stato, rispettivamente la LApp., possano comportare una
qualsivoglia lesione della libertà di commercio e di industria dei membri
della ricorrente.

    c) Con riferimento alla dichiarazione del Governo cantonale,
consegnata nel primo capoverso della circolare, la ricorrente, a ragione,
non lamenta la violazione della libertà di commercio e di industria dei
propri membri. Se quindi lo Stato non lede la libertà di commercio quando
scarta un concorrente dall'aggiudicazione di un lavoro, ancor meno può
violare tale libertà per il solo fatto di manifestare preventivamente
l'intenzione di non tener conto di determinate offerte.

    d) In altri termini si pone la questione di sapere se lo Stato,
accordando o negando sussidi, violi la libertà di commercio e di industria
di terzi che, a dipendenza di particolari condizioni cui soggiace
il sussidiamento, vengono esclusi dall'aggiudicazione di pubblici
incarichi. Da particolari condizioni poste al sussidiamento sarebbe
naturalmente leso in prima linea colui che al sussidio può far valere
un diritto fondato sulla legge o su di un'eventuale garanzia o promessa
di sussidi. Entrambe le ipotesi non si verificano nella fattispecie in
esame o, quantomeno, nel ricorso non è preteso che la circolare abbia
privato un qualsiasi Comune di sussidi cui avesse incondizionatamente e
direttamente diritto ope legis.

    Quand'anche ciò fosse, mal si vede come il rifiuto di sussidi ai
Comuni possa perfezionare una lesione della libertà di commercio e di
industria dei membri della ricorrente, puranche nell'ipotesi che in tale
rifiuto si scorgesse una specie di boicotto.

    La questione può tuttavia restare indecisa in quanto la censura di
violazione della libertà di commercio e di industria si rivela comunque
infondata.

    e) La libertà di commercio e di industria è garantita dall'art. 31
cpv. 1 Cost. Tale garanzia è però relativizzata, nella norma stessa,
con la riserva delle disposizioni restrittive della Costituzione e della
legislazione che ne deriva. Gli art. da 31bis a 34ter Cost. prevedono già
sul piano costituzionale tutto un sistema di limitazioni della libertà
di commercio. Altre limitazioni trovano fondamento nella legislazione
federale.

    Essenziale si rivela però, nell'ambito della fattispecie in esame, che
l'art. 31 cpv. 2 Cost. conferisce espressamente ai Cantoni il diritto di
emanare disposizioni circa l'esercizio del commercio e dell'industria ("le
disposizioni cantonali sull'esercizio... del commercio e dell'industria
rimangono riservate...") nei limiti in cui queste non ledano la libertà di
commercio e di industria (..."esse non possono tuttavia portare pregiudizio
alla libertà di commercio e di industria...").

    La norma costituzionale citata si limita a proibire le misure di
politica economica, le misure cioè che intervengono nel gioco della
libera concorrenza per favorire certi rami dell'attività lucrativa e
per dirigere l'attività economica secondo un certo piano prestabilito;
essa vieta quindi, in sostanza, unicamente le norme intese ad ostacolare
la libera concorrenza o ad attenuarne gli effetti. Il Tribunale federale
e la dottrina ne avevano dedotto che l'ambito in cui i Cantoni possono
legiferare fosse limitato alle sole prescrizioni di polizia. La nozione di
simili prescrizioni di polizia fu nel corso degli anni progressivamente
allargata nella giurisprudenza oltre i limiti tradizionali del concetto,
che ne usciva snaturato. Per questo, nella più recente giurisprudenza, il
Tribunale federale - rilevato come il testo costituzionale non impieghi
il termine di "prescrizioni di polizia", ma si limiti a circoscrivere
negativamente l'ambito della riserva del diritto cantonale - è da un canto
rivenuto alla nozione tradizionale e ristretta di prescrizioni di polizia,
ma ha nel contempo ammesso che la riserva a favore del diritto cantonale,
oltre le predette misure di polizia, si estende anche ad altre misure -
dette sociali o di politica sociale -, sempreché esse non abbiano per
fine di ostacolare il gioco della libera concorrenza o di attenuarne gli
effetti, e si conformino per il resto agli altri principi costituzionali
cui la restrizione di ogni diritto costituzionalmente garantito soggiace
(DTF 97 I 499 segg., in particolare 506; 98 Ia 395 segg.).

    f) La norma di cui all'art. 1 par. 1 LApp., in quanto prescrive,
per l'ottenimento della delibera di lavori per conto dello Stato o
sussidiati dallo Stato, l'accettazione e il rispetto degli esistenti
contratti collettivi di lavoro, rientra senza dubbio nel novero delle
disposizioni sociali o di politica sociale. Di natura sociale sono infatti
le disposizioni concernenti la durata del lavoro, le vacanze e i salari
minimi (SALADIN, Grundrechte im Wandel pag. 241 segg.).

    Sia la LApp. che la circolare impugnata sono quindi atti che non
esorbitano in principio dall'ambito riservato dall'art. 31 cpv. 2 Cost. al
Cantone.

Erwägung 11

    11.- Come già accennato non basta però che l'intervento cantonale
poggi su di una legge formale o materiale e sia fondato su motivazioni
di polizia o sociali. Affinché non vi sia "pregiudizio al principio della
libertà di commercio e d'industria" ai sensi dell'art. 31 cpv. 2 secondo
periodo Cost., occorre ancora che la disposizione cantonale risponda ad un
interesse pubblico, sia conforme al principio della proporzionalità e non
sia lesiva al principio dell'uguaglianza di trattamento dei concorrenti
(DTF 98 Ia 400 consid. 2).

    a) Analogamente alla maggioranza dei vari ordinamenti federali,
cantonali e comunali in materia di appalti, anche la LApp. persegue un
duplice scopo: promuovere la sicurezza sociale e favorire la pace del
lavoro, entrambi presupposti essenziali del benessere generale. Mal
s'addice all'ente pubblico - tenuto ad ordinare in modo socialmente
soddisfacente le condizioni di lavoro dei propri dipendenti - di trar
profitto negli appalti dai prezzi minimi consentiti a taluni concorrenti
dal rifiuto di aderire ad un contratto collettivo di lavoro vincolante
per altri (cfr. art. 1 cpv. 2 lett. b LCSl).

    Nell'interesse del benessere generale l'ente pubblico deve poter
tenere in considerazione eventualmente anche offerte più alte. Né si
può seriamente porre in dubbio che tale sacrificio non sia nel complesso
per finire ripagato, così come non si può negare che l'incentivo in tal
guisa fornito ai contratti collettivi di lavoro contribuisca in modo non
trascurabile al mantenimento della pace del lavoro in Svizzera e con essa
del benessere generale (cfr. SCHWEINGRUBER, Das Arbeitsrecht pag. 224).

    b) L'applicazione dell'art. 1 par. 1 LApp. ai mandati di progettazione
affidati a studi tecnici non tradisce codeste finalità. Al contrario:
Stato e Comuni hanno un innegabile interesse a che i dipendenti degli
studi tecnici accedano ad un certo livello sociale, e che siano loro
garantite condizioni di lavoro su una base di uguaglianza, qual è quella
assicurata da un contratto collettivo di lavoro. Né le tensioni sociali,
né il perturbamento del clima del lavoro ed ancor meno aperti conflitti
giovano alla comunità.

    E neppure è seriamente da temere il pericolo di una spinta
inflazionistica, adombrato dalla ricorrente. Gli onorari percepiti dagli
ingegneri e architetti sono regolati dalla tariffa SIA, e quindi non
variano da uno studio tecnico all'altro. Il rispetto delle disposizioni
del contratto collettivo di lavoro non dovrebbe quindi trar seco un
gonfiamento del prezzo globale di una determinata opera, ma comportare
unicamente un diverso riparto interno del reddito del lavoro.

    c) Né d'altro canto può ammettersi che la circolare impugnata
sia suscettibile di compromettere interessi pubblici. L'opinione
espressa in sede ricorsuale secondo cui all'USIT avrebbero aderito in
modo preponderante i migliori studi di ingegneria ticinese riflette
verosimilmente una valutazione meramente soggettiva. Anche se ciò
rispondesse in una certa misura al vero e da tale circostanza dovessero
sorgere difficoltà, tali difficoltà non potrebbero essere che di natura
transitoria e comunque non giustificherebbero una capitolazione dello
Stato chiamato a tutelare l'interesse preponderante della pace sociale.

    La circostanza, da ultimo, che il numero dei disegnatori favoriti
dall'accettazione del contratto collettivo sarebbe esiguo, è priva di
rilevanza. Scopo della misura è infatti il mantenimento in genere della
pace del lavoro e la tutela dei contratti collettivi di lavoro e non la
protezione di singoli gruppi, grandi o piccoli che siano, di prestatori
d'opera.

    d) La ricorrente tenta di dimostrare che le misure annunciate
dall'impugnata circolare colpirebbero duramente e in modo contrario ai
principi della proporzionalità i suoi membri e ciò in considerazione del
fatto che l'USIT è formata preponderantemente di studi di ingegneria. La
circostanza che per tali studi le commesse dell'ente pubblico rivestano
una notevole importanza è pacifica. Essa è però irrilevante. Lo Stato
non impone a questi studi tecnici di rinunciare a lavori per lo Stato
o sussidiati dallo Stato, ma si limita ad esigere ch'essi adeguino le
condizioni di lavoro dei loro disegnatori a quelle offerte ai disegnatori
dei membri dell'ADLAT. Trattasi in sostanza di pretendere dai membri
dell'USIT lo stesso sacrificio che i titolari degli studi tecnici rimasti
membri dell'ADLAT (la maggioranza degli architetti e una minoranza degli
ingegneri) già si sono contrattualmente assunti.

    La stessa USIT rileva a tal proposito di essere stata e di esser
tuttora disposta a fare rilevanti concessioni e che, attualmente, più non
sussisterebbero notevoli differenze. Ne consegue che, in tali circostanze,
nulla permette di far ritenere che la pretesa di far rispettare le
condizioni del contratto collettivo da parte dei membri dell'USIT possa
per questi comportare un aggravio assolutamente insopportabile.

    Il contratto collettivo di lavoro per i disegnatori è il risultato di
lunghe trattative condotte tra l'ADLAT, all'epoca in cui gli attuali membri
dell'USIT vi aderivano, e le associazioni sindacali e professionali dei
disegnatori. È ben vero che gli attuali membri dell'USIT avevano formulato
proprie proposte in sede di discussione. Compito dello Stato non è però
quello di analizzare se anche tale "offerta" adempia o meno le condizioni
dell'art. 1 par. 1 LApp. (d'altro canto la legge non offre lo spunto per
una tale verifica), ma solo quello di prendere atto dell'esistenza di un
contratto collettivo di lavoro in un determinato ramo e di pretenderne
il rispetto ai fini della delibera di incarichi professionali relativi
all'esecuzione di opere pubbliche per lo Stato o da questo sussidiate.

    e) I concorrenti (Gewerbegenossen), coloro cioè che esplicano la
propria attività nell'ambito della libertà di commercio e di industria,
hanno diritto all'uguaglianza di trattamento tanto da parte del
legislatore, quanto nell'applicazione della legge. Ciò non significa
però che sul piano legislativo sia proscritta ogni distinzione; occorre
unicamente che questa si giustifichi oggettivamente (MARTI, op.cit.,
pag. 105).

    La legge sugli appalti consta di norme intese a stabilire una
graduatoria, dunque un'ineguaglianza, ai fini dell'aggiudicazione dei
lavori di progettazione e di esecuzione di opere pubbliche. L'art. 1
par. 1 costituisce solo uno dei casi in cui nella legge vengono stabiliti
criteri di scelta, quindi di ineguaglianza, tra i concorrenti. Ben oltre
va l'art. 18 che stabilisce, tra imprese ugualmente qualificate, criteri
preferenziali quali, per esempio, quelli tratti dalla residenza in un
determinato luogo o dal fatto della regolare formazione di apprendisti
o ancora della maggiore o minore occupazione delle differenti ditte
concorrenti, sia nel settore pubblico che nel settore privato. In questa
sede non occorre esaminare se tali criteri di differenziazione siano o
meno conformi ai precetti costituzionali: l'esame in questa sede deve
ridursi ad accertare se l'adesione o la non adesione ad un contratto
collettivo di lavoro costituisca di per sé un valido criterio oggettivo di
differenziazione o, più precisamente, se l'esclusione di ditte non aderenti
a tale contratto comporti o meno un trattamento ineguale di cose uguali.

    Per essere ammissibili, tali differenziazioni devono giustificarsi con
oggettivi motivi di polizia o di politica sociale. Il fatto di preferire,
in sede di pubblici appalti, concorrenti che praticano nei confronti dei
loro dipendenti le condizioni di lavoro previste dai contratti collettivi
si giustifica con validissimi motivi, come dimostrato nei considerandi
precedenti. Proprio il precetto dell'uguaglianza di trattamento impone
anzi di privilegiare quei concorrenti che fanno integralmente beneficiare
i loro dipendenti dei vantaggi sociali derivanti dai contratti collettivi
di lavoro. Sarebbe inammissibile che anche nell'aggiudicazione di
lavori pubblici gli imprenditori meno socialmente aperti traessero
vantaggio dalla compressione dei costi, e pertanto delle offerte,
loro consentita dal rifiuto di sottomettersi agli oneri imposti ai
loro concorrenti dall'adesione al contratto collettivo. L'uguaglianza
delle probabilità presuppone una certa uniformità strutturale dei costi
del lavoro. L'esclusione dall'aggiudicazione di quelle ditte che non
intendono adeguarsi a tale presupposto non viola pertanto il precetto
della parità di trattamento dei concorrenti. E neppure viola il precetto
costituzionale l'estensione di tali principi anche ai mandati da conferire
agli studi tecnici.